Sfida accademica sull'età della Lupa
Adele Cambria
L'Unità Roma 28/02/2007
Gran simposio, dalle tre del pomeriggio di oggi, fra i bianchi gessi del Museo dell'Arte Classica Odeion dell'Università La Sapienza: si affronteranno infatti, con raffinate armi dialeffiche - e il tema è la datazione ormai mediaticamente controversa, della Lupa Capitolima (etrusca o medioevale?) - una dozzina e più di allissimi «addetti ai lavori»: storici dell'arte antica ,e di quella medioevale, archeologi, restauratori, docenti delle tecnologie d'avanguardia che consentirebbero di indagare le origini e la storia cli un'opera d'arte con più precisione di quello strumento essenziale che, secondo Bruno Zevi, sarebbe l'occhio di uno esperto. Protagonisti del confronto, la restauratrice e storica dell'arte Anna Maria Carruba, che ha appena pubblicato una prima sintesi del suo lavoro di restauro delia Lupa - «La Lupa Capitolina», De Luca Editori - con un sottotitolo assertivo, e perciò stesso, provocatorio, «Un bronzo medioevale» - ed Adriano La Regina. L'ex Soprintendente ai Beni Archeologici di Roma e docente di Etruscologia della Sapienza, come è ormai noto, avalla, con il prestigio della propria fama, quella che definisce «la scoperta» di Anna Maria Carruba, valorizzando «l'indagine attenta (da lei svolta) sulle tecniche adottate per la fusione di quel bronzo» e concludendo che «la Lupa Capitolina si inserisce coerentemente nella classe della grande scultura bronzea d'epoca medievale, mentre per le qualità formali può essere molto probabilmente attribuita all'età carolingia o comunque ad epoca non anteriore a questa». Il panel di (probabili) contradditori delia tesi Carruba-La Regina non è da meno di quello schierato il dodici febbraio scorso nella sala conferenze di Palazzo Massimo (e di cui abbiamo dato notizia). Aprirà il convegno la Direttrice del Dipartimento di Scienze storiche, archeologiche e antropologiche dell'anrichità, Gilda Bartoloni. «Con una brevissima introduzione - avverte - che non potrà non essere super partes». Seguiranno il Soprintendente capitolino Eugenio La Rocca e il Conservatore dei Musei Capitolini Claudio Parise Presicce, a cui si deve la conferma della datazione tradizionale della Lupa al 480-470 a.C. e l'altrettanto tradizionale attribuzione della scultura bronzea ad una officina di Vejo: a quanto almeno risulta dall'opuscolo che accompagnò la presentazione, nel 2000, della Lupa appena restaurata. Andrea Carandini, dal canto suo, manterrà i dubbi sulla fattura medioevale della Lupa, rafforzati, avverte, dalla lettura del libro della restauratrice: mentre si annuncia risolutiva la relazione dell'etruscologo ritenuto l'erede di Massimo Pallottino, l'Accademico dei Lincei Giovanni Colonna. Non mancheranno i contributi dei «tecnici» - che sono poi tutti docenti universitari - come l'archeometra Gianni Lombardo, esperto delle analisi delle «terre di fusione»: quelle ritrovate, nel corso del restauro, all'interno della Lupa sono da attribuirsi, secondo Lombardo, alla probabilissima manipolazione della scultura nel momento in cui Antonio Pollaiolo avrebbe collocato i suoi esemplari gemelli bronzei, Romolo e Remo.
Adele Cambria
L'Unità Roma 28/02/2007
Gran simposio, dalle tre del pomeriggio di oggi, fra i bianchi gessi del Museo dell'Arte Classica Odeion dell'Università La Sapienza: si affronteranno infatti, con raffinate armi dialeffiche - e il tema è la datazione ormai mediaticamente controversa, della Lupa Capitolima (etrusca o medioevale?) - una dozzina e più di allissimi «addetti ai lavori»: storici dell'arte antica ,e di quella medioevale, archeologi, restauratori, docenti delle tecnologie d'avanguardia che consentirebbero di indagare le origini e la storia cli un'opera d'arte con più precisione di quello strumento essenziale che, secondo Bruno Zevi, sarebbe l'occhio di uno esperto. Protagonisti del confronto, la restauratrice e storica dell'arte Anna Maria Carruba, che ha appena pubblicato una prima sintesi del suo lavoro di restauro delia Lupa - «La Lupa Capitolina», De Luca Editori - con un sottotitolo assertivo, e perciò stesso, provocatorio, «Un bronzo medioevale» - ed Adriano La Regina. L'ex Soprintendente ai Beni Archeologici di Roma e docente di Etruscologia della Sapienza, come è ormai noto, avalla, con il prestigio della propria fama, quella che definisce «la scoperta» di Anna Maria Carruba, valorizzando «l'indagine attenta (da lei svolta) sulle tecniche adottate per la fusione di quel bronzo» e concludendo che «la Lupa Capitolina si inserisce coerentemente nella classe della grande scultura bronzea d'epoca medievale, mentre per le qualità formali può essere molto probabilmente attribuita all'età carolingia o comunque ad epoca non anteriore a questa». Il panel di (probabili) contradditori delia tesi Carruba-La Regina non è da meno di quello schierato il dodici febbraio scorso nella sala conferenze di Palazzo Massimo (e di cui abbiamo dato notizia). Aprirà il convegno la Direttrice del Dipartimento di Scienze storiche, archeologiche e antropologiche dell'anrichità, Gilda Bartoloni. «Con una brevissima introduzione - avverte - che non potrà non essere super partes». Seguiranno il Soprintendente capitolino Eugenio La Rocca e il Conservatore dei Musei Capitolini Claudio Parise Presicce, a cui si deve la conferma della datazione tradizionale della Lupa al 480-470 a.C. e l'altrettanto tradizionale attribuzione della scultura bronzea ad una officina di Vejo: a quanto almeno risulta dall'opuscolo che accompagnò la presentazione, nel 2000, della Lupa appena restaurata. Andrea Carandini, dal canto suo, manterrà i dubbi sulla fattura medioevale della Lupa, rafforzati, avverte, dalla lettura del libro della restauratrice: mentre si annuncia risolutiva la relazione dell'etruscologo ritenuto l'erede di Massimo Pallottino, l'Accademico dei Lincei Giovanni Colonna. Non mancheranno i contributi dei «tecnici» - che sono poi tutti docenti universitari - come l'archeometra Gianni Lombardo, esperto delle analisi delle «terre di fusione»: quelle ritrovate, nel corso del restauro, all'interno della Lupa sono da attribuirsi, secondo Lombardo, alla probabilissima manipolazione della scultura nel momento in cui Antonio Pollaiolo avrebbe collocato i suoi esemplari gemelli bronzei, Romolo e Remo.