Parlare latino ai Fori. Lo vogliono i turisti
Gianluca Ferretti
Il Tempo 03/11/2006
No, il latino non è una lingua morta. Forse il ministro per i Beni e le Attività Culturali (e vice premier) Francesco Rutelli non lo sa, ma sono numerosi i turisti (tanti gli americani) che arrivando al Foro Romano sperano di trovare una guida in grado di parlare in latino. E, purtroppo, non la trovano. È davvero un peccato, perché o fascino dei monumenti - e della storia - dell'antica Roma potrebbe permettere a centinaia di studiosi (anche giovani, amanti della nostra vecchia lingua) di continuare a dialogare, nel mondo contemporaneo, in latino, senza dover abbandonare quanto è stato appreso durante gli anni trascorsi nei licei. Nelle nazioni anglosassoni c'è un vero e proprio culto per la storia dell'impero romano (da Mondadori è appena uscito un libro intitolato "Imperium", firmato da Robert Harris), anche grazie ad alcune serie televisive che hanno raccontato la vita quotidiana di due millenni fa.
E poi, una volta, il latino rappresentava una lingua internazionale, capace di abbattere le differenze tra i popoli: come oggi accade con l'inglese. Gli appassionati non mancano, in ogni parte del pianeta: qualsiasi edizione di "certamen" viene letteralmente invasa da esperti internazionali che sono in grado di ricordare - parola per parola - testi di Cicerone, Tacito, Svetonio, Palma il Vecchio. Chissà quanti turisti colti accorrerebbero, davanti alla promessa di poter incontrare una guida capace di condurli a scoprire la via Appia Antica parlando in latino. All'Auditorium è stato dimostrato, con la conferenza di Andrea Carandini, che in questa città non mancano cinquemila persone che - di domenica - abbandonano altri piaceri per mettersi in fila ed ascoltare una lezione d'autore sulla storia romana. Nel mondo sono ancora in tanti a conoscere il latino: perché non proviamo a riutilizzare la lingua dei nostri antenati, per donare ulteriore fascino al turismo culturale?
Gianluca Ferretti
Il Tempo 03/11/2006
No, il latino non è una lingua morta. Forse il ministro per i Beni e le Attività Culturali (e vice premier) Francesco Rutelli non lo sa, ma sono numerosi i turisti (tanti gli americani) che arrivando al Foro Romano sperano di trovare una guida in grado di parlare in latino. E, purtroppo, non la trovano. È davvero un peccato, perché o fascino dei monumenti - e della storia - dell'antica Roma potrebbe permettere a centinaia di studiosi (anche giovani, amanti della nostra vecchia lingua) di continuare a dialogare, nel mondo contemporaneo, in latino, senza dover abbandonare quanto è stato appreso durante gli anni trascorsi nei licei. Nelle nazioni anglosassoni c'è un vero e proprio culto per la storia dell'impero romano (da Mondadori è appena uscito un libro intitolato "Imperium", firmato da Robert Harris), anche grazie ad alcune serie televisive che hanno raccontato la vita quotidiana di due millenni fa.
E poi, una volta, il latino rappresentava una lingua internazionale, capace di abbattere le differenze tra i popoli: come oggi accade con l'inglese. Gli appassionati non mancano, in ogni parte del pianeta: qualsiasi edizione di "certamen" viene letteralmente invasa da esperti internazionali che sono in grado di ricordare - parola per parola - testi di Cicerone, Tacito, Svetonio, Palma il Vecchio. Chissà quanti turisti colti accorrerebbero, davanti alla promessa di poter incontrare una guida capace di condurli a scoprire la via Appia Antica parlando in latino. All'Auditorium è stato dimostrato, con la conferenza di Andrea Carandini, che in questa città non mancano cinquemila persone che - di domenica - abbandonano altri piaceri per mettersi in fila ed ascoltare una lezione d'autore sulla storia romana. Nel mondo sono ancora in tanti a conoscere il latino: perché non proviamo a riutilizzare la lingua dei nostri antenati, per donare ulteriore fascino al turismo culturale?