Pompei, svelato il mistero dei colori
Carlo Avvisati
Il Mattino 01/12/2006
Furono realizzate usando delle vere e proprie tempere e non con la tecnica dell’affresco, le pitture della casa detta «del bracciale d’oro» a Pompei. La scoperta è stata fatta dai chimici del dipartimento di chimica e di chimica industriale dell’Università di Pisa. Gli scienziati hanno analizzato con sofisticate apparecchiature i campioni di stucco dipinto, scoprendo che la parete destinata ad accogliere i colori venne preparata prima con una pittura a base di colla animale «che solo successivamente» rivela Maria Perla Colombini «venne coperta con la pittura bella prodotta con leganti a base di uovo». Per quello che riguarda i colori si è accertato che sono stati utilizzati i pigmenti classici in uso nella pittura murale romana: terra verde, blu egiziano, ocra gialla e rossa. I risultati dello studio, destinati a essere presentati al convegno nazionale di archeometria (è la scienza che collega l’uso delle moderne tecnologie d’indagine e d’intervento con l’archeologia) in programma a Firenze dal 28 febbraio al 2 marzo 2007 e il cui tema è appunto «Colore e arte: storia e tecnologia del colore nei secoli», saranno anticipati al «Restaura», il secondo salone del restauro dei beni culturali, che apre a Venezia da oggi al 3 dicembre. Un incontro evento, quello del «Restaura», il cui obiettivo è favorire il dialogo tra gli operatori del settore (archeologi, storici dell’arte e restauratori) e le aziende che producono tecnologie fruibili dai beni culturali. Una consistente parte delle pitture della casa del bracciale d’oro fu rinvenuta nel 1983 durante lo scavo del giardino: l’intonaco dipinto, 2000 anni fa, era stato usato per interrare la canaletta di scarico di una grande vasca circolare. «La ricomposizione dei frammenti - sottolineano gli scienziati - ha riportato alla luce un capolavoro, visto che in quelli più integri si possono contare fino a cinque strati di preparazione, cosa abbastanza rara a Pompei. La superficie perfettamente levigata dell’ultimo strato, fatto interamente con calce e polvere di marmo finissima, ha consentito poi la realizzazione di una decorazione quasi miniaturistica e dalla resa pittorica raffinata». Accanto ai risultati sui dipinti della casa del bracciale d’oro, la Soprintendenza di Pompei presenterà al salone veneziano altri quattro progetti che hanno consentito la salvaguardia e la fruizione del bene archeologico campano. Si tratta degli interventi di recupero sulle officine «coactiliaria» (bottega dove si producevano le vesti e le tuniche) e infectoria (era la tintoria), situate in via dell’Abbondanza, e delle quali si sono restaurate le pareti e gli affreschi che le abbellivano. Un dato interessante emerso da quegli interventi è il ritrovamento di oro a ventiquattro carati su alcune pitture. Dalle indagini si è scoperto che a essere letteralmente coperta di prezioso metallo è la figura di Venere pompeiana, i cui gioielli, le decorazioni della veste, il timone che regge con il braccio sinistro, duemila anni fa vennero dipinti con foglie di oro zecchino. Quindi, il restauro della statua (la cui copia è stata posta sull’antico piedistallo) di Marco Nonio Balbo, governatore delle province di Cirene e Creta e cittadino illustre di Ercolano. Il marmo venne trovato frammentato e recuperato in tempi successivi, tra il 1942 e il 1981, tra la terrazza delle Terme e i fornici della marina. Infine, il recupero della fontana di bronzo raffigurante un’Hydra (un serpente a cinque teste) rinvenuta a Ercolano da don Amedeo Maiuri, il 9 agosto 1952, a pochi metri di distanza dal centro della grande vasca a forma di croce.
Carlo Avvisati
Il Mattino 01/12/2006
Furono realizzate usando delle vere e proprie tempere e non con la tecnica dell’affresco, le pitture della casa detta «del bracciale d’oro» a Pompei. La scoperta è stata fatta dai chimici del dipartimento di chimica e di chimica industriale dell’Università di Pisa. Gli scienziati hanno analizzato con sofisticate apparecchiature i campioni di stucco dipinto, scoprendo che la parete destinata ad accogliere i colori venne preparata prima con una pittura a base di colla animale «che solo successivamente» rivela Maria Perla Colombini «venne coperta con la pittura bella prodotta con leganti a base di uovo». Per quello che riguarda i colori si è accertato che sono stati utilizzati i pigmenti classici in uso nella pittura murale romana: terra verde, blu egiziano, ocra gialla e rossa. I risultati dello studio, destinati a essere presentati al convegno nazionale di archeometria (è la scienza che collega l’uso delle moderne tecnologie d’indagine e d’intervento con l’archeologia) in programma a Firenze dal 28 febbraio al 2 marzo 2007 e il cui tema è appunto «Colore e arte: storia e tecnologia del colore nei secoli», saranno anticipati al «Restaura», il secondo salone del restauro dei beni culturali, che apre a Venezia da oggi al 3 dicembre. Un incontro evento, quello del «Restaura», il cui obiettivo è favorire il dialogo tra gli operatori del settore (archeologi, storici dell’arte e restauratori) e le aziende che producono tecnologie fruibili dai beni culturali. Una consistente parte delle pitture della casa del bracciale d’oro fu rinvenuta nel 1983 durante lo scavo del giardino: l’intonaco dipinto, 2000 anni fa, era stato usato per interrare la canaletta di scarico di una grande vasca circolare. «La ricomposizione dei frammenti - sottolineano gli scienziati - ha riportato alla luce un capolavoro, visto che in quelli più integri si possono contare fino a cinque strati di preparazione, cosa abbastanza rara a Pompei. La superficie perfettamente levigata dell’ultimo strato, fatto interamente con calce e polvere di marmo finissima, ha consentito poi la realizzazione di una decorazione quasi miniaturistica e dalla resa pittorica raffinata». Accanto ai risultati sui dipinti della casa del bracciale d’oro, la Soprintendenza di Pompei presenterà al salone veneziano altri quattro progetti che hanno consentito la salvaguardia e la fruizione del bene archeologico campano. Si tratta degli interventi di recupero sulle officine «coactiliaria» (bottega dove si producevano le vesti e le tuniche) e infectoria (era la tintoria), situate in via dell’Abbondanza, e delle quali si sono restaurate le pareti e gli affreschi che le abbellivano. Un dato interessante emerso da quegli interventi è il ritrovamento di oro a ventiquattro carati su alcune pitture. Dalle indagini si è scoperto che a essere letteralmente coperta di prezioso metallo è la figura di Venere pompeiana, i cui gioielli, le decorazioni della veste, il timone che regge con il braccio sinistro, duemila anni fa vennero dipinti con foglie di oro zecchino. Quindi, il restauro della statua (la cui copia è stata posta sull’antico piedistallo) di Marco Nonio Balbo, governatore delle province di Cirene e Creta e cittadino illustre di Ercolano. Il marmo venne trovato frammentato e recuperato in tempi successivi, tra il 1942 e il 1981, tra la terrazza delle Terme e i fornici della marina. Infine, il recupero della fontana di bronzo raffigurante un’Hydra (un serpente a cinque teste) rinvenuta a Ercolano da don Amedeo Maiuri, il 9 agosto 1952, a pochi metri di distanza dal centro della grande vasca a forma di croce.