Scoperti all'Ostiense tombe e mosaici romani
CARLO ALBERTO BUCCI
26 OTT 2006, CORRIERE DELLA SERA
Roma delle meraviglie archeologiche. Negli scavi per una nuova costruzione sulla via Ostiense è appena tornato alla luce un nuovo tassello delle bellezze archeologiche romane, una piccola quanto preziosa necropoli dotata di colombari e interessanti mosaici. La scoperta è avvenuta a poca distanza dalla Centrale Montemartini, che da pochi anni si è trasformata in una geniale contaminazione archeo-industriale tra la vecchia struttura dell'impianto ottocentesco industriale post-unitario e l'inserimento nei suoi ambienti di una ricca dotazione di statue romane di epoca imperiale. Il nuovo colombario ritrovato è vicino al già noto «Sepolcreto Ostiense», vasta necropoli dei secoli I a.C.-IV d.C. visibile in parte da una tettoia al centro della strada e a ridosso dello strapiombo tufaceo detto Roccia di San Paolo, che precede la basilica di San Paolo fuori le Mura. Si suppone che il nuovo colombario faccia parte del sepolcreto già conosciuto. La scoperta permetterà di rivalutare l'intera zona archeologica che finora era scarsamente valorizzata.
UN UCCELLO spiega le ali. Un cervo maestoso. Una capiente anfora, fonte di vita. Incorniciati dal fregio geometrico di una città turrita. E sepolti per almeno 1700 anni sotto il "pacco alluvionale", la terra portata dal Tevere durante un'inondazione del terzo secolo. Ma ora c'è di nuovo vita a cinque metri di profondità sotto il livello di via Ostiense. Siamo nel fossato scavato accanto alla centrale Montemartini, archeologia industriale riconvertita in museo d'arte classica. Qui i sondaggi per la costruzione di un palazzo di uffici hanno portato alla luce tre strutture funerarie del cimitero che correva ai lati della via consolare. «A parte le strutture presenti davanti l'Università, è il primo sepolcreto ritrovato sull'Ostiense, una zona in cui la concentrazione dei palazzi non ha permesso di fare scavi», spiega Rita Paris, della Soprintendenza archeologica di Roma. «Questo ritrovamento — aggiunge l'archeo-loga — conferma l'importanza degli scavi preventivi che consegnano tesori alla collettività ma anche ai pro-prietari del palazzo in costruzione, nonostante i ritardi imposti al cantiere».
Il sepolcreto, con le sue 25 fosse, e il colombario (10 olle, con le ceneri dei defunti), sono accompagnati da un mosaico pavimentale di grande suggestione. È un inno alla vita—integro nel suo messaggio, nonostante le parti mancanti — in
un luogo in cui le sepolture dei defunti si sono succedute, e/o sovrapposte, dal primo al secondo secolo dopo Cristo. «Agli inizi dell'età tiberiana risale la prima struttura», racconta l'archeologo Giorgio Gatta, che porta avanti il lavoro con Anna Maria Durante, assistente di scavo della Soprintendenza. «Ma nel corso degli anni furono gli stessi, o successivi, padroni della "tomba", a far rompere il mosaico per inserire al-
tre sepolture».
Oltre l'arte musiva, le tracce di stucchi e d'intonaco, l'occhio e la mano del 39enne archeologo lisciano il muro in mattoni. Integro, come fatto oggi. «Un' opera laterizia perfetta anche agli angoli. Mentre il muro del sepolcreto neroniano è più grossolano». E l'attenzione si sposta sulla successiva "cappella di famìglia", costruita sotto Nerone alzando ben sei colonne, due delle quali giacciono ancora a terra. «Quando qui — aggiunge Gatta—arrivò la terra portata da un alluvione del fiume tra III e IV secolo, il sepolcreto era stato ormai abbandonato, pareti e colonnati erano già parzialmente caduti».
Come la cenere a Pompei, l'alluvione ha immobilizzato i reperti, fermato il tempo, consegnato all'oblio il cimitero in declino. Ma ecco che un'archeologa porta alla luce in diretta un teschio appena rinvenuto nella fossa della successiva struttura funeraria. La terza, ma non l'ultima... «Sotto quel mucchio di terra—annuncia Gatta-ci sono certamente altre sepolture: la linea continua che portava fino alla Piramide».
Non si sa a quali famiglia appartengano i poveri resti. «Un'iscrizione ricorda la gens pompeia» rivela Gatta. «Non è certo che fosse un sepolcreto di questo clan, ma ci conferma che siamo nel primo secolo. E, comunque, si è trattato di una famiglia benestante». Accanto alle tombe con mosaici, stucchi e corredi funerari, ecco però le povere cappuccine: una fossa, Io scheletro e una copertura con vecchie tegole che recano però impressi marchi di fabbrica del secondo secolo. L'Ostiense, come l'Appia, strada di commerci e di compianti. Via lungo la quale i romani ricordavano i loro avi seppelliti, come voleva la legge, fuori dalle mura. E gli stavano accanto anche attraverso le libagioni. Poco più in là, un operaio mette in luce un segnacolo: quattro sassi in croce che potevano fare da sostegno a un palo intorno al quale tendere un telo e stendersi per un pranzo frugale da consumare accanto ai propri cari.
CARLO ALBERTO BUCCI
26 OTT 2006, CORRIERE DELLA SERA
Roma delle meraviglie archeologiche. Negli scavi per una nuova costruzione sulla via Ostiense è appena tornato alla luce un nuovo tassello delle bellezze archeologiche romane, una piccola quanto preziosa necropoli dotata di colombari e interessanti mosaici. La scoperta è avvenuta a poca distanza dalla Centrale Montemartini, che da pochi anni si è trasformata in una geniale contaminazione archeo-industriale tra la vecchia struttura dell'impianto ottocentesco industriale post-unitario e l'inserimento nei suoi ambienti di una ricca dotazione di statue romane di epoca imperiale. Il nuovo colombario ritrovato è vicino al già noto «Sepolcreto Ostiense», vasta necropoli dei secoli I a.C.-IV d.C. visibile in parte da una tettoia al centro della strada e a ridosso dello strapiombo tufaceo detto Roccia di San Paolo, che precede la basilica di San Paolo fuori le Mura. Si suppone che il nuovo colombario faccia parte del sepolcreto già conosciuto. La scoperta permetterà di rivalutare l'intera zona archeologica che finora era scarsamente valorizzata.
UN UCCELLO spiega le ali. Un cervo maestoso. Una capiente anfora, fonte di vita. Incorniciati dal fregio geometrico di una città turrita. E sepolti per almeno 1700 anni sotto il "pacco alluvionale", la terra portata dal Tevere durante un'inondazione del terzo secolo. Ma ora c'è di nuovo vita a cinque metri di profondità sotto il livello di via Ostiense. Siamo nel fossato scavato accanto alla centrale Montemartini, archeologia industriale riconvertita in museo d'arte classica. Qui i sondaggi per la costruzione di un palazzo di uffici hanno portato alla luce tre strutture funerarie del cimitero che correva ai lati della via consolare. «A parte le strutture presenti davanti l'Università, è il primo sepolcreto ritrovato sull'Ostiense, una zona in cui la concentrazione dei palazzi non ha permesso di fare scavi», spiega Rita Paris, della Soprintendenza archeologica di Roma. «Questo ritrovamento — aggiunge l'archeo-loga — conferma l'importanza degli scavi preventivi che consegnano tesori alla collettività ma anche ai pro-prietari del palazzo in costruzione, nonostante i ritardi imposti al cantiere».
Il sepolcreto, con le sue 25 fosse, e il colombario (10 olle, con le ceneri dei defunti), sono accompagnati da un mosaico pavimentale di grande suggestione. È un inno alla vita—integro nel suo messaggio, nonostante le parti mancanti — in
un luogo in cui le sepolture dei defunti si sono succedute, e/o sovrapposte, dal primo al secondo secolo dopo Cristo. «Agli inizi dell'età tiberiana risale la prima struttura», racconta l'archeologo Giorgio Gatta, che porta avanti il lavoro con Anna Maria Durante, assistente di scavo della Soprintendenza. «Ma nel corso degli anni furono gli stessi, o successivi, padroni della "tomba", a far rompere il mosaico per inserire al-
tre sepolture».
Oltre l'arte musiva, le tracce di stucchi e d'intonaco, l'occhio e la mano del 39enne archeologo lisciano il muro in mattoni. Integro, come fatto oggi. «Un' opera laterizia perfetta anche agli angoli. Mentre il muro del sepolcreto neroniano è più grossolano». E l'attenzione si sposta sulla successiva "cappella di famìglia", costruita sotto Nerone alzando ben sei colonne, due delle quali giacciono ancora a terra. «Quando qui — aggiunge Gatta—arrivò la terra portata da un alluvione del fiume tra III e IV secolo, il sepolcreto era stato ormai abbandonato, pareti e colonnati erano già parzialmente caduti».
Come la cenere a Pompei, l'alluvione ha immobilizzato i reperti, fermato il tempo, consegnato all'oblio il cimitero in declino. Ma ecco che un'archeologa porta alla luce in diretta un teschio appena rinvenuto nella fossa della successiva struttura funeraria. La terza, ma non l'ultima... «Sotto quel mucchio di terra—annuncia Gatta-ci sono certamente altre sepolture: la linea continua che portava fino alla Piramide».
Non si sa a quali famiglia appartengano i poveri resti. «Un'iscrizione ricorda la gens pompeia» rivela Gatta. «Non è certo che fosse un sepolcreto di questo clan, ma ci conferma che siamo nel primo secolo. E, comunque, si è trattato di una famiglia benestante». Accanto alle tombe con mosaici, stucchi e corredi funerari, ecco però le povere cappuccine: una fossa, Io scheletro e una copertura con vecchie tegole che recano però impressi marchi di fabbrica del secondo secolo. L'Ostiense, come l'Appia, strada di commerci e di compianti. Via lungo la quale i romani ricordavano i loro avi seppelliti, come voleva la legge, fuori dalle mura. E gli stavano accanto anche attraverso le libagioni. Poco più in là, un operaio mette in luce un segnacolo: quattro sassi in croce che potevano fare da sostegno a un palo intorno al quale tendere un telo e stendersi per un pranzo frugale da consumare accanto ai propri cari.