La Repubblica 18.9.07
Chi è il tribuno della plebe: parla Luciano Canfora
I capi popolo nell’antica Roma
di Antonio Gnoli
Equivoci. Tra noi moderni è rimasta la traccia di Livio per cui il tribuno è colui che ripara i torti subiti dal popolo
Televisione. Il palcoscenico televisivo ha reso patetico il comizio in piazza. Il tribuno muore con la sua scomparsa
Per i libri di storia fu Menenio Agrippa, console romano, a favorire con il suo celebre discorso sulle disiecta membra, la nascita del tribuno della plebe. Era il 454 a. C. venticinque secoli dopo quel tribuno continua a sopravvivere sotto i riflettori, ma è un´altra cosa, avverte Luciano Canfora, rispetto al modello originale. C´è tribuno e tribuno, insomma. Quello antico restava in carica per un anno, ed era un magistrato. Dunque esattamente il contrario, si potrebbe dire, del tribuno moderno che è soprattutto un parolaio. Uno è dentro la mischia, l´altro ne è fuori. Uno cerca l´equidistanza, l´altro vuole l´avvicinamento al popolo. Ma allora perché chiamare "tribuni" sia gli antichi che i moderni? Canfora sostiene che parlare del tribuno antico equivale a entrare in un ginepraio giuridico di cui è complicato rendere conto.
Come nasce il tribuno romano?
«Diciamo che affonda le sue radici nel terreno non del tutto limpido del rapporto tra patrizi e plebei. C´è una tesi, discutibile ma che indubbiamente ha avuto successo tra gli storici: sostiene che patrizi e plebei sono due comunità ben distinte che danno vita a una magistratura antagonistica».
Sembra una distinzione ovvia.
«Lo è indubbiamente. Ma la plebe lotterà proprio per essere parificata ai patrizi. E questo obiettivo verrà realizzato con le leggi promulgate tra il IV e il III secolo avanti Cristo, con le quali si creano le premesse per una unica nobilitas».
Plebei e patrizi finiscono con il godere dello stesso rango?
«Famiglie patrizie e plebee godono degli stessi diritti. Tanto è vero che il tribuno non è più il baluardo della plebe contro i patrizi. Ma un´entità in grado di difendere sia gli uni che gli altri. Il tribunato diventa così una magistratura istituzionalizzata che difende gli interessi del popolo di Roma, il quale popolo non necessariamente è costituito solo dalla plebe».
Mi scusi, siamo abituati a caricare la parola "plebe" di significati legati allo sfruttamento e alla sofferenza. Lei sostiene che non è così.
«Sostengo che è tra gli errori più ricorrenti identificare la plebe con il popolo oppresso. La plebe romana è un´altra cosa. Una delle strutture su cui poggia la società romana è l´ordo senatorius, al quale, da un certo momento in poi, possono accedere sia i patrizi che i plebei. Questi ultimi non hanno nulla a che vedere con le classi oppresse. È un equivoco duro a morire. Anche Karl Marx vi cadde. Nelle prime righe del Manifesto egli fa un po´ di confusione quando afferma che patrizi e plebei sono oppressori e oppressi e perciò divisi dalla lotta di classe».
Come è stato possibile incorrere in questo errore?
«Noi leggiamo gli episodi dell´antica repubblica attraverso i resoconti di Livio e Dionigi da Alicarnasso, i quali vivono nell´età di Augusto, e quando raccontano quei fatti remoti riverberano su di essi i recenti conflitti sociali tra ottimati e popolari. Nella storiografia moderna è rimasta l´impronta liviana, per cui il tribuno è colui che ripara i torti che il popolo oppresso ha subito».
È il tratto che la modernità ha conservato. Ma il tribuno oggi è visto anche come un abile oratore. Era così anche alle origini?
«Nel tribuno romano parola e azione potremmo dire coincidono, in modo vibrante e chiaro. Il tribuno cioè esprimeva una posizione davanti al popolo. Ma non è un suo esclusivo requisito. Anche i consoli, gli altri magistrati parlano davanti al senato, ma anche davanti al popolo. Quindi un´oratoria popolare efficace esiste nell´antica Roma a prescindere dai tribuni».
La figura del tribuno tornerà a splendere con la Rivoluzione Francese.
«È vero, ma solo come metafora di ciò che quella figura era stata nel mondo antico. I grandi oratori del parlamentarismo francese sono tribuni che parlano davanti a un popolo che si accalca, urla, commenta, mentre all´Assemblea si sta deliberando. Danton fu un grande tribuno».
E Robespierre?
«Parlava come un ragionatore, in questo somigliava a un Togliatti. Danton era il vero trascinatore delle folle. Tra l´altro fu lui ad inventare il terrore e dopo che lo ammazzarono diventò un santo come Trotskij».
Lenin e Trostkji furono anche loro eccellenti tribuni.
«Lenin non possedeva una straordinaria oratoria. Trostkij era più dotato. Ma direi che grandi tribuni, fin dall´Ottocento, li troviamo tra i sindacalisti. Nel capitalismo ottocentesco, con i parlamenti che vengono eletti a suffragio ristretto, i lavoratori creano attraverso i sindacati le prime forme di contropotere. Sindacalisti sono quelli che sanno parlare meglio. Il sindacalismo moderno è storicamente il fenomeno che più somiglia al tribunato».
Anche Mussolini fu un tribuno d´eccezione. In che misura la macchina totalitaria ne esaltò le doti?
«Mussolini ebbe straordinarie doti oratorie che non necessariamente erano da porsi in rapporto con il suo ruolo di capo del fascismo. Schematicamente si può dire che movimenti popolari e populistici si servono dei grandi oratori».
Veniamo all´attualità. Il tribuno televisivo o che agisce attraverso i Blog che figura è?
«Non lo definirei tribuno. Il palcoscenico televisivo ha reso patetico il comizio in piazza. E il tribuno muore con la scomparsa della piazza. La comunicazione tv è velocissima e va scandita per formule. Si serve di tecniche diverse che creano stili e persone differenti. Se la parola tribuno è legata pur sempre alla sua collocazione antagonistica, è evidente che il nuovo modello che la televisione ci propone non può rientrare in quello schema. Il salto tecnologico, stilistico, culturale ha determinato una cesura rispetto anche al passato più recente. Il tribuno come lo abbiamo conosciuto è tramontato».
E chi ha preso il suo posto?
«Ritengo che il ciclo della democrazia rappresentativa che è iniziato all´incirca due secoli fa si è chiuso. Le nuove figure di cui vorremmo capire di più hanno aperto un nuovo ciclo in cui la tecnologia è l´elemento dominate. Non conosciamo le fattezze di questo ciclo né i suoi futuri protagonisti. Forse "tecnocrazia" è la parola più appropriata per descriverlo. Essa continua a tenere in vita i vecchi strumenti elettivi e rappresentativi, perché sono ancora un veicolo di legittimazione, ma sono stati del tutto snaturati. Inutile fare raffronti con il passato. Un filo si è spezzato».
Chi è il tribuno della plebe: parla Luciano Canfora
I capi popolo nell’antica Roma
di Antonio Gnoli
Equivoci. Tra noi moderni è rimasta la traccia di Livio per cui il tribuno è colui che ripara i torti subiti dal popolo
Televisione. Il palcoscenico televisivo ha reso patetico il comizio in piazza. Il tribuno muore con la sua scomparsa
Per i libri di storia fu Menenio Agrippa, console romano, a favorire con il suo celebre discorso sulle disiecta membra, la nascita del tribuno della plebe. Era il 454 a. C. venticinque secoli dopo quel tribuno continua a sopravvivere sotto i riflettori, ma è un´altra cosa, avverte Luciano Canfora, rispetto al modello originale. C´è tribuno e tribuno, insomma. Quello antico restava in carica per un anno, ed era un magistrato. Dunque esattamente il contrario, si potrebbe dire, del tribuno moderno che è soprattutto un parolaio. Uno è dentro la mischia, l´altro ne è fuori. Uno cerca l´equidistanza, l´altro vuole l´avvicinamento al popolo. Ma allora perché chiamare "tribuni" sia gli antichi che i moderni? Canfora sostiene che parlare del tribuno antico equivale a entrare in un ginepraio giuridico di cui è complicato rendere conto.
Come nasce il tribuno romano?
«Diciamo che affonda le sue radici nel terreno non del tutto limpido del rapporto tra patrizi e plebei. C´è una tesi, discutibile ma che indubbiamente ha avuto successo tra gli storici: sostiene che patrizi e plebei sono due comunità ben distinte che danno vita a una magistratura antagonistica».
Sembra una distinzione ovvia.
«Lo è indubbiamente. Ma la plebe lotterà proprio per essere parificata ai patrizi. E questo obiettivo verrà realizzato con le leggi promulgate tra il IV e il III secolo avanti Cristo, con le quali si creano le premesse per una unica nobilitas».
Plebei e patrizi finiscono con il godere dello stesso rango?
«Famiglie patrizie e plebee godono degli stessi diritti. Tanto è vero che il tribuno non è più il baluardo della plebe contro i patrizi. Ma un´entità in grado di difendere sia gli uni che gli altri. Il tribunato diventa così una magistratura istituzionalizzata che difende gli interessi del popolo di Roma, il quale popolo non necessariamente è costituito solo dalla plebe».
Mi scusi, siamo abituati a caricare la parola "plebe" di significati legati allo sfruttamento e alla sofferenza. Lei sostiene che non è così.
«Sostengo che è tra gli errori più ricorrenti identificare la plebe con il popolo oppresso. La plebe romana è un´altra cosa. Una delle strutture su cui poggia la società romana è l´ordo senatorius, al quale, da un certo momento in poi, possono accedere sia i patrizi che i plebei. Questi ultimi non hanno nulla a che vedere con le classi oppresse. È un equivoco duro a morire. Anche Karl Marx vi cadde. Nelle prime righe del Manifesto egli fa un po´ di confusione quando afferma che patrizi e plebei sono oppressori e oppressi e perciò divisi dalla lotta di classe».
Come è stato possibile incorrere in questo errore?
«Noi leggiamo gli episodi dell´antica repubblica attraverso i resoconti di Livio e Dionigi da Alicarnasso, i quali vivono nell´età di Augusto, e quando raccontano quei fatti remoti riverberano su di essi i recenti conflitti sociali tra ottimati e popolari. Nella storiografia moderna è rimasta l´impronta liviana, per cui il tribuno è colui che ripara i torti che il popolo oppresso ha subito».
È il tratto che la modernità ha conservato. Ma il tribuno oggi è visto anche come un abile oratore. Era così anche alle origini?
«Nel tribuno romano parola e azione potremmo dire coincidono, in modo vibrante e chiaro. Il tribuno cioè esprimeva una posizione davanti al popolo. Ma non è un suo esclusivo requisito. Anche i consoli, gli altri magistrati parlano davanti al senato, ma anche davanti al popolo. Quindi un´oratoria popolare efficace esiste nell´antica Roma a prescindere dai tribuni».
La figura del tribuno tornerà a splendere con la Rivoluzione Francese.
«È vero, ma solo come metafora di ciò che quella figura era stata nel mondo antico. I grandi oratori del parlamentarismo francese sono tribuni che parlano davanti a un popolo che si accalca, urla, commenta, mentre all´Assemblea si sta deliberando. Danton fu un grande tribuno».
E Robespierre?
«Parlava come un ragionatore, in questo somigliava a un Togliatti. Danton era il vero trascinatore delle folle. Tra l´altro fu lui ad inventare il terrore e dopo che lo ammazzarono diventò un santo come Trotskij».
Lenin e Trostkji furono anche loro eccellenti tribuni.
«Lenin non possedeva una straordinaria oratoria. Trostkij era più dotato. Ma direi che grandi tribuni, fin dall´Ottocento, li troviamo tra i sindacalisti. Nel capitalismo ottocentesco, con i parlamenti che vengono eletti a suffragio ristretto, i lavoratori creano attraverso i sindacati le prime forme di contropotere. Sindacalisti sono quelli che sanno parlare meglio. Il sindacalismo moderno è storicamente il fenomeno che più somiglia al tribunato».
Anche Mussolini fu un tribuno d´eccezione. In che misura la macchina totalitaria ne esaltò le doti?
«Mussolini ebbe straordinarie doti oratorie che non necessariamente erano da porsi in rapporto con il suo ruolo di capo del fascismo. Schematicamente si può dire che movimenti popolari e populistici si servono dei grandi oratori».
Veniamo all´attualità. Il tribuno televisivo o che agisce attraverso i Blog che figura è?
«Non lo definirei tribuno. Il palcoscenico televisivo ha reso patetico il comizio in piazza. E il tribuno muore con la scomparsa della piazza. La comunicazione tv è velocissima e va scandita per formule. Si serve di tecniche diverse che creano stili e persone differenti. Se la parola tribuno è legata pur sempre alla sua collocazione antagonistica, è evidente che il nuovo modello che la televisione ci propone non può rientrare in quello schema. Il salto tecnologico, stilistico, culturale ha determinato una cesura rispetto anche al passato più recente. Il tribuno come lo abbiamo conosciuto è tramontato».
E chi ha preso il suo posto?
«Ritengo che il ciclo della democrazia rappresentativa che è iniziato all´incirca due secoli fa si è chiuso. Le nuove figure di cui vorremmo capire di più hanno aperto un nuovo ciclo in cui la tecnologia è l´elemento dominate. Non conosciamo le fattezze di questo ciclo né i suoi futuri protagonisti. Forse "tecnocrazia" è la parola più appropriata per descriverlo. Essa continua a tenere in vita i vecchi strumenti elettivi e rappresentativi, perché sono ancora un veicolo di legittimazione, ma sono stati del tutto snaturati. Inutile fare raffronti con il passato. Un filo si è spezzato».