Lo sporco trucco di «tuniche pulite»
La Repubblica 10 maggio 2001
Carlo Avvisati
Pensavo che la mia veste fosse bianca, sino a quando non ho visto la sua. E allora, giù con lo sbiancante per dare l'impressione che l'indumento vestito fosse più candido di quello dell'avversario. Bluffavano senza ritegno, 20 secoli fa, i candidati che nella Roma dei Cesari indossavano appunto una veste bianchissima a dimostrazione della loro «pulizia morale» e con l'obiettivo di assicurarsi cariche pubbliche. Tanto che fu emanata una legge che proibiva questa specie di «uso improprio» del colore per farsi pubblicità elettorale. Nella capitale, duemila anni fa, le cose andavano così. Più o meno come adesso. Qualche volta meglio. In altri casi, peggio. Tanto che evitare che candidati o loro amici intimidissero gli elettori, le passerelle che i votanti dovevano attraversare per raggiungere il seggio furono ristrette e rese praticabili da un solo elettore per volta. Altro che la propaganda attuale a 200 metri dalla cabina.
Un altro trucco era quello di condizionare la scelta della Centuria Prerogativa (le centurie raggruppavano i cittadini per capitale posseduto e quella detta Prerogativa era estratta a sorte e scrutinata subito, con possibilità di influenzare il voto delle altre centurie) per cui si stabilì che le palline per l'estrazione dovessero essere tutte uguali e altrettanto ben levigate. Un altro broglio che spesso si faceva, era quello della votazione multipla con lo stesso elettore che votava più volte l'identico candidato. Il trucco fu scoperto da Catone l'Uticense che avendo notato tavolette diverse scritte con uguale calligrafia, ottenne la ripetizione delle elezioni per gli edili. Agli aspiranti sindaci e assessori era anche vietato offrire pranzi ai supporters. La legge, però, era sbeffeggiata con il far organizzare le abbuffate dagli amici del candidato. Che per avere il diritto a essere considerato tale doveva assicurare d'essere benestante. Un patrimonio di centomila sesterzi era stimato sufficiente a mettere al sicuro da furti e sottrazioni le casse cittadine. Di tres nundinae: tre mercati (27 giorni) era il periodo intercorrente tra candidatura e giorno delle votazioni. Evento a cui prendevano parte i cittadini liberi maschi e i liberti. Le donne? Non votavano, ma facevano lo stesso propaganda elettorale. Come la pompeiana Petronia che, a proposito di un candidato di Pompei, scrisse «Vi prego di eleggere Ceio Secondo a sindaco. Lo chiedo ardentemente». Ardentemente, chissà, poi, perché.
La Repubblica 10 maggio 2001
Carlo Avvisati
Pensavo che la mia veste fosse bianca, sino a quando non ho visto la sua. E allora, giù con lo sbiancante per dare l'impressione che l'indumento vestito fosse più candido di quello dell'avversario. Bluffavano senza ritegno, 20 secoli fa, i candidati che nella Roma dei Cesari indossavano appunto una veste bianchissima a dimostrazione della loro «pulizia morale» e con l'obiettivo di assicurarsi cariche pubbliche. Tanto che fu emanata una legge che proibiva questa specie di «uso improprio» del colore per farsi pubblicità elettorale. Nella capitale, duemila anni fa, le cose andavano così. Più o meno come adesso. Qualche volta meglio. In altri casi, peggio. Tanto che evitare che candidati o loro amici intimidissero gli elettori, le passerelle che i votanti dovevano attraversare per raggiungere il seggio furono ristrette e rese praticabili da un solo elettore per volta. Altro che la propaganda attuale a 200 metri dalla cabina.
Un altro trucco era quello di condizionare la scelta della Centuria Prerogativa (le centurie raggruppavano i cittadini per capitale posseduto e quella detta Prerogativa era estratta a sorte e scrutinata subito, con possibilità di influenzare il voto delle altre centurie) per cui si stabilì che le palline per l'estrazione dovessero essere tutte uguali e altrettanto ben levigate. Un altro broglio che spesso si faceva, era quello della votazione multipla con lo stesso elettore che votava più volte l'identico candidato. Il trucco fu scoperto da Catone l'Uticense che avendo notato tavolette diverse scritte con uguale calligrafia, ottenne la ripetizione delle elezioni per gli edili. Agli aspiranti sindaci e assessori era anche vietato offrire pranzi ai supporters. La legge, però, era sbeffeggiata con il far organizzare le abbuffate dagli amici del candidato. Che per avere il diritto a essere considerato tale doveva assicurare d'essere benestante. Un patrimonio di centomila sesterzi era stimato sufficiente a mettere al sicuro da furti e sottrazioni le casse cittadine. Di tres nundinae: tre mercati (27 giorni) era il periodo intercorrente tra candidatura e giorno delle votazioni. Evento a cui prendevano parte i cittadini liberi maschi e i liberti. Le donne? Non votavano, ma facevano lo stesso propaganda elettorale. Come la pompeiana Petronia che, a proposito di un candidato di Pompei, scrisse «Vi prego di eleggere Ceio Secondo a sindaco. Lo chiedo ardentemente». Ardentemente, chissà, poi, perché.