venerdì 7 agosto 2009

Porta Borsari. Segreti d’epoca romana

Porta Borsari. Segreti d’epoca romana
Giovedì 06 Agosto 2009 CRONACA Pagina 15 L'ARENA

SUL DECUMANO. All’incrocio con via IV Spade si trovano i resti di Giove Ammone mentre accanto alla primitiva Porta Iovia c’era quello dedicato a Giove Lustrale

Sotto il portico di palazzo Benciolini c’è una lapide funebre che commemora Petronia Tertulla morta a soli 13 anni

Corso Porta Borsari è una parte del decumano massimo, la strada più importante della città romana: quanti conoscono i suoi «segreti» più antichi, i suoi reperti nascosti?
Chissà quante volte ci si è appoggiati a quel grosso cippo che si trova vicino alla porta, sotto il portico di palazzo Benciolini, senza farci troppa attenzione. E' una lapide funeraria romana, molto bella nella sua severa linearità, con un'iscrizione agli Dei Mani, gli antenati della famiglia, per una ragazza, Petronia Tertulla, morta a soli 13 anni. Questo dicono le parole e le abbreviazioni incise in una faccia, mentre gli altri tre lati sono decorati con serti di fiori e di frutti, in parte consunti dal tempo.
LAPIDE. Colpisce il fatto che, nel luogo in cui i giovani veronesi dei giorni nostri si danno appuntamento, ci sia una lapide funebre di una ragazzina di duemila anni fa. Dall'altro lato, a destra, guardando i Portoni da corso Cavour, sotto l'altro portico, c'è il rilievo sepolcrale di un soldato, in cui, fra lesene scanalate, si riconoscono corazza, schinieri e giavellotto. Pochi passi più in là, su corso Porta Borsari, si ammira la testa di medusa, infissa in un palazzo all'angolo con via Catullo.
E' un altro monumento funerario romano a forma di tavola: il blocco è ornato da una testa di medusa, che con il suo potere terrificante doveva proteggere il sepolcro da eventuali violazioni. Sul fianco un tritone suona una buccina, cioè una conchiglia: gli esseri fantastici nei rilievi funerari accompagnavano le anime nell'aldilà.
Probabilmente queste tre lapidi provenivano da poco lontano: ad alcune centinaia di metri, lungo il tratto di via Postumia, oltre l'arco dei Gavi, che era posto non dove è oggi, ma dove c'è la torre dell'orologio di Castelvecchio sul corso omonimo, vi era la necropoli, che si estendeva per quasi due miglia, oltre quello che poi sarà il quartiere di San Zeno.
GIOVE. Proseguendo in corso Porta Borsari, al numero 31, dentro la vetrina del negozio d'angolo con via Quattro Spade, vi sono i resti del piccolo arco di Giove Ammone. Qui, vi è una struttura di cinque metri in profondità, in blocchi di calcare su plinto con colonna tortile: è il piedritto dell' arco, mentre un capitello è conservato al Museo lapidario maffeiano.
Torniamo a Porta Borsari: è uno dei grandi monumenti della città, ma quanti conoscono il suo nome romano? «Borsari», infatti, è un termine medioevale e fa riferimento ai bursarii, funzionari che qui riscuotevano il dazio sulle merci per conto del Vescovo e dei Canonici.
IOVIA. In epoca romana, la porta si chiamava «Iovia», perché nei pressi sorgeva il tempio di Giove Lustrale, entrambi della prima metà del I secolo dopo Cristo. Nel 1930, quando, per costruire il ponte della Vittoria, furono demolite le case fra Porta Borsari e l'Adige, sotto la chiesetta di San Michele alla Porta, che sorgeva qui, vennero alla luce parecchi grandi ruderi di un edificio romano: furono portati prima nella vicina piazzetta Santi Apostoli e poi nei giardini del Cimitero monumentale, dove si trovano ancora oggi. L'edificio scoperto era costituito da un sotterraneo in muratura e da una parte sopraelevata in pietra, che furono rimossi, senza particolari studi.
Sono stati recuperati un basamento, parallelepipedi di pietra del podio, un lastrone della sommità sempre del podio, fondamenti di pilastratura, una soglia di porta principale, due capitelli corinzi, senza volute esterne, ed elementi di cornici terminali, oltre a un pezzo di fusto di colonna e una lapide dedicatoria. Questi reperti hanno permesso di ricostruire l'edificio, che doveva essere una bella opera architettonica: lo studio, con i disegni, si deve a Vittorio Filippini che l'ha pubblicato sulla rivista «Vita Veronese» del novembre-dicembre 1954.
TEMPIETTO. L'ipotesi più plausibile è che fosse un tempietto, con un pronao a colonne o a pilastri, a cui si accedeva da una scalinata. L'interno era diviso in due parti. Gli archeologi hanno ipotizzato che fosse un tempio dedicato a Giove Lustrale, in quanto, in questa zona, nel 1932, furono trovate due lapidi dedicate a questa divinità che era la maggiore di Verona. Una, a forma di ara, oltre all'iscrizione, mostrava i vasi del sacrificio scolpiti ai lati. L'altra lapide è un frammento di cippo, con la stessa iscrizione. Non tutti gli studiosi concordarono, però, in quanto lo ritenevano un tempio troppo modesto per essere dedicato a Giove: così supposero che fosse un edificio funerario. L'ipotesi più plausibile resta quella di un tempietto in una zona termale.