La battaglia di Sentino
(...)
Livio "Storia di Roma" X 30,31
Negli stessi giorni anche le operazioni condotte in Etruria dal propretore Cneo Fulvio diedero il risultato che ci si augurava: oltre ai gravi danni inflitti al nemico con le devastazioni dei campi, si combatté anche con successo, furono uccisi più di tremila Perugini e Chiusini, e catturate una ventina d'insegne militari. Una schiera di Sanniti, in fuga attraverso il territorio dei Peligni, fu circondata dai Peligni stessi; di cinquemila uomini ne furono uccisi circa un migliaio grande fu la fama di quella giornata in cui si combatté nel territorio di Sentino, anche a volersi attenere alla realtà; ma alcuni esagerando andarono oltre i limiti del credibile, poiché scrissero che nell'esercito nemico v'erano seicentomila fanti, quarantaseimila cavalieri e un migliaio di carri, compresi naturalmente gli Umbri e i Tusci, che avrebbero partecipato anch'essi alla battaglia; e per accrescere anche Il numero dei Romani essi aggiungono ai consoli Lucio Volumnio, comandante in qualità di proconsole, e alle legioni dei consoli il suo eserbito. In diversi annali quella vittoria viene attribuita ai due consoli, mentre Votumnio combatte nel Sannio, costringe l'esercito dei Sanniti a ritirarsi sul monte Tiferno e, senza lasciarsi dissuadere dalla posizione sfavorevole, lo sbaraglia e lo mette in fuga.
Quinto Fabio, lasciato l'esercito di Decio a presidiare l'Etruria, ricondusse le sue legioni nell'Urbe e riportò il trionfo sui Galli, sugli Etruschi e sui Sanniti. I soldati lo seguirono nel trionfo. Non meno della vittoria di Quinto Fabio fu celebrata coi rozzi modi dei soldati la gloriosa morte di Publio Decio, e il ricordo del padre venne ridestato dalle lodi rivolte al figlio, col quale venne paragonato per la vita pubblica e privata. Del bottino, furono dati ai soldati ottantadue assi a testa, un mantello e una tunica, premi a quel tempo niente affatto disprezzabili per dei soldati.
Nonostante tali successi, né fra i Sanniti né in Etruria regnava ancora la pace; una nuova rivolta era infatti scoppiata, dopo che il console aveva ritirato il suo esercito per istigazine dei Perugini, e i Sanniti scendevano a far preda nel paese lei Vescini e dei Formiani e, da un'altra parte, in quello degli Isernini e nelle terre situate presso il fiume Volturno. Contro di loro fu inviato il pretore Appio Claudio con l'eserclto di Decio. Fabio nell'Etruria in rivolta uccise ancora quattromilacinquecento Perugini e ne fece prigionieri circa millesettecento, che furono riscattati per trecentodieci assi a testa; il resto della preda fu lasciato tutto ai soldati. Le legioni dei Sanniti, inseguite in parte dal pretore Appio Claudio, in parte dal proconsole Lucio Volumnio, si concentrarono nell'agro stellate; ivi s'accampano tutti presso Caiazia, ed Appio e Volumnio congiungono gli accampamenti. Si combatté con grande accanimenito, poiché da una parte si era spinti dall'esasperazione contro chi s'era tante volte ribellato, dall'altra si lottava per l'ultima speranza. Fra i Sanniti si ebbero dunque sedicimilatrecento morti e duemilasettecento prigionieri; nell'esercito romano i caduti furono duemilasettecento.
Fortunato per le imprese belliche, l'anno fu funestato da una pestilenza e turbato da prodigi; giunse infatti notizia che in molti luoghi era piovuta terra e che nell'esercito di Appio Claudio molti erano stati colpiti dal fulmine; perciò si consultarono "I libri" (I Libri Sibillini, che venivano consultati normalmente in caso di prodigi o di gravi difficoltà). Quell'anno Quinto Fabio Gurgite, figlio del console, inflisse una multa ad alcune matrone condannate davanti al popolo per adulterio: col denaro ricavato dalle multe fece costruire il tempio di Venere che si trova vicino al Circo.
Continuano ancora le guerre contro i Sanniti, la cui narrazione abbraccia già ininterrottamente quattro libri e un periodo di quarantasei anni, a partire dal consolato di Marco Valerio e Aulo Cornelio, che furono i primi a portare le armi contro il Sannio; e per non ripetere ora le sconfitte subite in tanti anni da entrambi i popoli e gli sforzi da essi sostenuti, che non valsero tuttavia a fiaccare quegli animi intrepidi, mi limiterò a ricordare che nell'ultimo anno i Sanniti, con le sole loro forze e uniti ad altri, erano stati battuti da quattro eserciti, da quattro comandanti romani, nel territorio di Sentino e in quello dei Peligni, presso Tiferno, nei campi Stellati; avevano perduto il comandante più famoso della loro gente; vedevano gli alleati di guerra, Etruschi, Umbri e Galli, nelle stesse condizioni in cui si trovavano loro; non potevano più resistere né con le proprie forze nè con quelle esterne, e tuttavia non desistevano dalla guerra: a tal punto non si stancavano di difendere, pur senza fortuna, la propria libertà, e preferivano essere vinti che rinunziare a tentare la vittoria. Quale sarà mai lo scrittore e il lettore che si sentirà infastidito dalla lunghezza di tali guerre, che non spossarono quelli che le sostennero?
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Livio "Storia di Roma" X 30,31
Negli stessi giorni anche le operazioni condotte in Etruria dal propretore Cneo Fulvio diedero il risultato che ci si augurava: oltre ai gravi danni inflitti al nemico con le devastazioni dei campi, si combatté anche con successo, furono uccisi più di tremila Perugini e Chiusini, e catturate una ventina d'insegne militari. Una schiera di Sanniti, in fuga attraverso il territorio dei Peligni, fu circondata dai Peligni stessi; di cinquemila uomini ne furono uccisi circa un migliaio grande fu la fama di quella giornata in cui si combatté nel territorio di Sentino, anche a volersi attenere alla realtà; ma alcuni esagerando andarono oltre i limiti del credibile, poiché scrissero che nell'esercito nemico v'erano seicentomila fanti, quarantaseimila cavalieri e un migliaio di carri, compresi naturalmente gli Umbri e i Tusci, che avrebbero partecipato anch'essi alla battaglia; e per accrescere anche Il numero dei Romani essi aggiungono ai consoli Lucio Volumnio, comandante in qualità di proconsole, e alle legioni dei consoli il suo eserbito. In diversi annali quella vittoria viene attribuita ai due consoli, mentre Votumnio combatte nel Sannio, costringe l'esercito dei Sanniti a ritirarsi sul monte Tiferno e, senza lasciarsi dissuadere dalla posizione sfavorevole, lo sbaraglia e lo mette in fuga.
Quinto Fabio, lasciato l'esercito di Decio a presidiare l'Etruria, ricondusse le sue legioni nell'Urbe e riportò il trionfo sui Galli, sugli Etruschi e sui Sanniti. I soldati lo seguirono nel trionfo. Non meno della vittoria di Quinto Fabio fu celebrata coi rozzi modi dei soldati la gloriosa morte di Publio Decio, e il ricordo del padre venne ridestato dalle lodi rivolte al figlio, col quale venne paragonato per la vita pubblica e privata. Del bottino, furono dati ai soldati ottantadue assi a testa, un mantello e una tunica, premi a quel tempo niente affatto disprezzabili per dei soldati.
Nonostante tali successi, né fra i Sanniti né in Etruria regnava ancora la pace; una nuova rivolta era infatti scoppiata, dopo che il console aveva ritirato il suo esercito per istigazine dei Perugini, e i Sanniti scendevano a far preda nel paese lei Vescini e dei Formiani e, da un'altra parte, in quello degli Isernini e nelle terre situate presso il fiume Volturno. Contro di loro fu inviato il pretore Appio Claudio con l'eserclto di Decio. Fabio nell'Etruria in rivolta uccise ancora quattromilacinquecento Perugini e ne fece prigionieri circa millesettecento, che furono riscattati per trecentodieci assi a testa; il resto della preda fu lasciato tutto ai soldati. Le legioni dei Sanniti, inseguite in parte dal pretore Appio Claudio, in parte dal proconsole Lucio Volumnio, si concentrarono nell'agro stellate; ivi s'accampano tutti presso Caiazia, ed Appio e Volumnio congiungono gli accampamenti. Si combatté con grande accanimenito, poiché da una parte si era spinti dall'esasperazione contro chi s'era tante volte ribellato, dall'altra si lottava per l'ultima speranza. Fra i Sanniti si ebbero dunque sedicimilatrecento morti e duemilasettecento prigionieri; nell'esercito romano i caduti furono duemilasettecento.
Fortunato per le imprese belliche, l'anno fu funestato da una pestilenza e turbato da prodigi; giunse infatti notizia che in molti luoghi era piovuta terra e che nell'esercito di Appio Claudio molti erano stati colpiti dal fulmine; perciò si consultarono "I libri" (I Libri Sibillini, che venivano consultati normalmente in caso di prodigi o di gravi difficoltà). Quell'anno Quinto Fabio Gurgite, figlio del console, inflisse una multa ad alcune matrone condannate davanti al popolo per adulterio: col denaro ricavato dalle multe fece costruire il tempio di Venere che si trova vicino al Circo.
Continuano ancora le guerre contro i Sanniti, la cui narrazione abbraccia già ininterrottamente quattro libri e un periodo di quarantasei anni, a partire dal consolato di Marco Valerio e Aulo Cornelio, che furono i primi a portare le armi contro il Sannio; e per non ripetere ora le sconfitte subite in tanti anni da entrambi i popoli e gli sforzi da essi sostenuti, che non valsero tuttavia a fiaccare quegli animi intrepidi, mi limiterò a ricordare che nell'ultimo anno i Sanniti, con le sole loro forze e uniti ad altri, erano stati battuti da quattro eserciti, da quattro comandanti romani, nel territorio di Sentino e in quello dei Peligni, presso Tiferno, nei campi Stellati; avevano perduto il comandante più famoso della loro gente; vedevano gli alleati di guerra, Etruschi, Umbri e Galli, nelle stesse condizioni in cui si trovavano loro; non potevano più resistere né con le proprie forze nè con quelle esterne, e tuttavia non desistevano dalla guerra: a tal punto non si stancavano di difendere, pur senza fortuna, la propria libertà, e preferivano essere vinti che rinunziare a tentare la vittoria. Quale sarà mai lo scrittore e il lettore che si sentirà infastidito dalla lunghezza di tali guerre, che non spossarono quelli che le sostennero?
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