domenica 9 agosto 2009

L'organizzazione dello stato Romano secondo Polibio

Polibio "Storie" VI,11 - 18

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Come ho detto sopra, tre erano gli organi dello stato che si spartivano l'autorità; il loro potere era cosi ben diviso e distribuito, che neppure i Romani avrebbero potuto dire con sicurezza se il loro governo fosse nel complesso aristocratico, democratico, o monarchico. Ne è il caso di meravigliarsene, perché considerando il potere dei consoli, si sarebbe detto lo stato romano di forma monarchica, valutando quello del senato lo si sarebbe detto aristocratico; se qualcuno infine avesse considerato l'autorità del popolo, senz'altro avrebbe definito lo stato romano democratico. Le prerogative di ciascuno di questi organi, ai tempi della guerra annibalica e, tranne qualche piccola eccezione, ancora ai nostri giorni, sono quelle che ora dirò.

I consoli quando non sono lontani al comando delle legioni. ma si trovano in Roma, esercitano il potere esecutivo. Gli altri comandanti, fatta eccezione dei tribuni, sono loro sottoposti e obbediscono alloro ordini; essi presentano gli ambasciatori al senato, propongono i decreti urgenti, curano l'esecuzione dei provvedimenti. Invece per quanto riguarda gli affari pubblici di competenza del popolo, i consoli hanno l'incarico di riunire i comizi, di presentare loro le leggi, di eseguire i decreti della maggioranza. Per quel che concerne i preparativi di guerra e la condotta delle operazioni, hanno un potere pressoché assoluto: hanno diritto di fare qualunque imposizione agli alleati, di eleggere i tribuni, di arruolare i soldati, di scegliere fra loro gli idonei; inoltre finché sono in campo possono punire chi vogliono dei loro subalterni. Hanno pure il potere di spendere i beni dell'erario nella misura che credono opportuna e li accompagna un questore pronto a eseguire i loro ordini. Considerando la loro autorità, sarebbe giusto definire monarchica la costituzione romana. Quanto ho detto non perderebbe la sua validità neppure se al presente o in futuro avvenisse qualche mutamento negli organi dei quali ho trattato o in quelli dei quali parlerò in seguito.

Il senato ha prima di tutto il potere amministrativo e controlla tutte le entrate e tutte le uscite. I questori infatti non possono per nessuna ragione ordinare spese senza l'approvazione del senato, eccettuate quelle imposte dai consoli; il senato controlla pure lo stanziamento di gran lunga più cospicuo di tutti gli altri, quello che i censori stabiliscono ogni cinque anni per la costruzione e il riattamento delle opere pubbliche e deve concedere il suo nulla osta ai censori stessi. Inoltre il senato ha giurisdizione sui reati che si commettono in Italia e richiedono una inchiesta statale, come quelli di tradimento, di cospirazione, di veneficio, di assassinio. Se poi un privato o una città d'Italia richiedono l'intervento romano per risolvere una controversia, per punire un delitto, per ottenere soccorso o difesa, la cura di tutto ciò è affidata al senato. Se occorre mandare fuori d'Italia un'ambasceria per comporre discordie, rivolgere esortazioni o imporre ordini o infine per ricevere una sottomissione o dichiarare una guerra, il senato deve provvedere a tutto ciò e inoltre deve ricevere le ambascerie che arrivano a Roma e dare a ciascuna la risposta opportuna. Nessuno di questi incarichi spetta al popolo; perciò se uno straniero giunge in Roma in assenza del console, la costituzione romana gli appare senz'altro aristocratica; molti Greci e anche molti re sono convinti di questo, perché il senato tratta di tutte le questioni che li riguardano.

A questo punto si ha il diritto di domandarsi quale mai sia la parte di governo lasciata al popolo, dal momento che, come abbiamo detto, il senato è arbitro di tutte le questioni particolari e soprattutto amministra completamente le entrate e le uscite, mentre i consoli decidono di quel che concerne i preparativi di guerra e durante le spedizioni godono di pieni poteri. Eppure anche al popolo è lasciata una parte non trascurabile del governo. Il popolo infatti è il solo arbitro dell'assegnazione degli onori e delle punizioni, esercita cioè il potere sul quale si fondano le dinastie, le repubbliche e tutta quanta la vita consociata. I popoli che non conoscono la distinzione fra premi e pene o che, pur conoscendola, la applicano malamente, non possono infatti amministrare i loro sudditi come si conviene: come potrebbero, se i buoni e i malvagi godono di uguale stima? Il popolo interviene anche ad applicare le multe quando la colpa sia meritevole di una pena grave e particolarmente a danno degli alti magistrati ed è il solo che possa giudicare di delitti capitali. A proposito di questi vige pressò i Romani una usanza degna di lode e di menzione: dopo che è stata pronunciata una sentenza capitale, anche se manca solo il voto dell'ultima tribù, per rendere esecutiva la condanna, essi concedono per legge al reo la facoltà di allontanarsi in volontario esilio. I condannati possono riparare a Napoli, a Preneste, a Tivoli e in qualunque altra città federata. Il popolo poi assegna le pubbliche cariche a chi ne è degno, ed esse sono considerate il miglior premio della virtù; ha inoltre il potere di approvare le leggi e soprattutto di decidere della pace e della guerra; gli spetta infine di confermare con la sua sanzione o di annullare i patti di alleanza, di pace e di tregua, di modo che si potrebbe dire a ragione che il popolo ha la massima autorità nel governo e che la costituzione romana è democratica.

Dopo aver esposto come il potere politico sia distribuito fra i vari organi dello stato, dirò ora come questi abbiano la facoltà di opporsi l'uno all'altro, o di collaborare nel comune interesse. Quando il console, investito dell'autorità che gli è propria, parte con le legioni, apparentemente egli dispone di pieni poteri per l'attuazione dei suoi piani, ma in realtà ha bisogno dell'appoggio del popolo e del senato e senza questi non può condurre a termine nessuna impresa. Evidentemente infatti è indispensabile che ai soldati vengano inviati rifornimenti, ma senza il voto del senato le legioni non possono essere rifornite nè di cibo, nè di vestiario, nè di denaro, di modo che i piani dei consoli riescono assolutamente vani se il senato decide di far opposizione e di esercitare ostruzionismo. Dipende dunque dal senato che i progetti dei consoli siano portati o meno a compimento; esso ha pure le facoltà di inviare un altro comandante quando sia scaduto il termine annuale, o di confermare il console in carica. Inoltre il senato ha il potere di celebrare e ingrandire, oppure di rimpicciolire e fare apparire insignificanti i successi dei comandanti; infatti se il senato non stanzia e assegna il danaro necessario, i consoli non possono celebrare col conveniente splendore e talvolta neppure modestamente i così detti trionfi, con i quali rendono nota al popolo l'importanza delle imprese compiute. Allo stesso modo i consoli, anche se per molto tempo rimangono lontani dalla patria, debbono fare di tutto per conservare il favore del popolo che, come ho detto sopra, col suo voto annulla o sanziona le clausole dei trattati di pace. Infine, quel che è più importante, quando depongono la carica, i consoli debbono rendere conto del loro operato, di modo che nel complesso è per loro impossibile fare a meno della benevolenza del senato o del popolo.

Il senato a sua volta, pur godendo di tanta autorità, è costretto a tener conto nei pubblici affari del volere del popolo; difatti non può condurre a termine, se il popolo non conferma la sua decisione preliminare, i processi per i reati politici più importanti e più gravi per i quali è prevista la pena di morte. Lo stesso può ripetersi per i reati che lo riguardano; se infatti viene proposta una legge mirante ad abolire le prerogative tradizionali spettanti al senato o i privilegi e gli onori dei senatori o anche, per Giove, a limitare le loro fortune private, spetta al popolo di approvare o meno tale legge. Inoltre se uno dei tribuni interpone il suo veto, il senato non può attuare le sue decisioni e neppure tenere sedute nella curia o altrove; i tribuni agiscono sempre nell'interesse del popolo e secondo i suoi desideri. Per tutte queste ragioni il senato ha ragione di temere il popolo e di usargli riguardo.

Allo stesso modo il popolo è legato al senato e deve tener conto dei suoi voleri sia per la difesa degli interessi pubblici sia di quelli privati. I questori danno in appalto molte opere in tutta Italia per l'allestimento e la conservazione dei pubblici beni; si tratta di molti grandiosi lavori per sistemare il corso dei fiumi, i porti, le culture, le miniere in tutto il territorio che è sotto la giurisdizione romana; l'esecuzione di tutti questi lavori è amministrata dal popolo, che è interessato negli appalti e nei guadagni ad essi connessi; alcuni infatti prendono personalmente gli appalti, altri vi partecipano in società, altri garantiscono per gli appaltatori, altri infine danno in deposito i loro beni all'erario a garanzia degli appalti stessi. Di tutte queste operazioni decide il senato, che ha la facoltà di concedere proroghe, di alleggerire gli oneri alle scadenze, di sciogliere

i contratti qualora sia impossibile eseguirli. In vari modi dunque il senato può danneggiare e aiutare coloro che lavorano per lo stato, poiché discute di tutte le questioni che li riguardano. Ma la cosa più importante è che tra i membri del senato sono eletti i giudici dei processi pubblici e privati di una certa importanza; perciò i cittadini sono vincolati al senato e temendo di poterne aver bisogno, si guardano dal resistere e dall'opporsi alle sue decisioni. Allo stesso modo difficilmente si oppongono al volere dei consoli, per il fatto che durante le spedizioni militari sono in loro potere sia individualmente sia collettivamente.

I singoli organi del governo possono dunque danneggiarsi a vicenda o collaborare fra loro; il rapporto fra le diverse autorità è così ben congegnato, che non è possibile trovare una costituzione migliore di quella romana. Quando infatti un pericolo comune sovrasti dall'esterno e costringa i Romani a una concorde collaborazione, lo Stato acquista tale e tanto potere, che nulla Viene trascurato, anzi tutti compiono quanto è necessario e i provvedimenti non risultano mai presi in ritardo, poiché ogni cittadino singolarmente e collettivamente collabora alla loro attuazione. Ne segue che i Romani sono insuperabili e la loro costituzione è perfetta sotto tutti i riguardi. Quando poi, liberati dai timori esterni, essi godono del benessere seguito ai loro fortunati successi e vivono in pace, se nell'ozio e nella tranquillità, come suole accadere, qualcuno si abbandona alla prepotenza e alla superbia, subito la costituzione interviene a difendere l'autorità dello stato. Se difatti uno degli organi che lo costituiscono diventa troppo potente in confronto agli altri e agisce con tracotanza, non essendo esso indipendente come abbiamo detto, ma essendo i singoli organi legati l'uno all'altro e controllati nella loro azione, nessuno di essi può agire con violenza e di propria iniziativa. Ciascuno dunque si tiene nei limiti prescritti o perché non riesce ad attuare i suoi piani o perché fin da principio teme il controllo degli altri.
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