La fibula prenestina
Maurizio Bettini
LUNEDÌ, 24 AGOSTO 2009, La Repubblica, Cultura
La bomba esplose nel 1980: la fibula Praenestina, uno dei monumenti più preziosi delle antichità romane, era in realtà un falso. Dopo la deflagrazione le schegge si sparsero un po´ dovunque - archeologia romana, epigrafia, linguistica storica, perfino i manuali universitari ne furono colpiti. Autrice dello sconquasso era una coraggiosa studiosa di antichità classiche, Margherita Guarducci, che in una Memoria Lincea di quell´anno aveva dimostrato – o così parve a molti – che questo venerabile cimelio, posseduto dal Museo Pigorini, era stato in realtà confezionato a Roma alla fine dell´Ottocento. L´oggetto di cui parliamo è una "fibbia" d´oro, ossia una sorta di grosso spillo da balia comunemente usato nell´antichità per fermare le vesti. Salvo che la fibula Praenestina reca incisa un´iscrizione di straordinario interesse. Scorrendo da destra a sinistra, infatti, vi si legge questa frase: Manios med fhefhaked Numasioi "Manio mi ha fatto per Numasio", poche parole scritte in un latino talmente arcaico che lo stesso Plauto avrebbe stentato a capirle. Fibbia e iscrizione venivano datate al VII secolo a. C., di conseguenza l´orgogliosa dichiarazione di Manio – un artefice che aveva confezionato quell´oggetto per Numasio? – costituiva la più antica testimonianza della lingua latina che ci fosse pervenuta. Come dicevamo, fino alla memoria della Guarducci non vi era manuale universitario che non prendesse le mosse da questa iscrizione.
Nella sua puntigliosa ricerca, la studiosa aveva proceduto ad una vera e propria indagine "poliziesca" (l´aggettivo è suo), scandagliando ogni angolo di quel milieu antiquario che rendeva unica la Roma di fine Ottocento. Le sue conclusioni, corroborate da opportune analisi chimiche e addirittura grafologiche, furono perentorie: la fibula sarebbe stata confezionata nel 1886 da un archeologo e filologo tedesco, Wofgang Helbig, e da un suo amico antiquario, Francesco Martinetti.
Entrambi personaggi di spicco nella Roma dell´epoca, entrambi capaci di mescolare con grande disinvoltura erudizione ed affari: cosa peraltro comune in un ambiente che maneggiava reperti di straordinario valore venale, oltre che scientifico. Helbig, buon antichista, avrebbe dunque confezionato l´iscrizione di Manio utilizzando le teorie che la linguistica storica dell´epoca stava man mano elaborando. Ne derivò un testo che non solo poteva apparire autentico, ma confermava addirittura quanto alcuni storici (Theodor Mommsen in primo luogo) andavano sostenendo a proposito dell´introduzione dell´alfabeto nel Lazio. Per l´iscrizione della fibula Praenestina fu semplicemente la fine. Ricordo ancora la lezione in cui, giovane professore di Grammatica Greca e Latina, dovetti invitare i miei studenti a dimenticare i meravigliosi arcaismi contenuti nell´iscrizione "parlante" di Manio.
Dietro la maschera del remoto artefice di Preneste, faceva adesso capolino la faccia dotta ed astuta di un professore tedesco.
Da quella fatidica memoria della Guarducci sono passati trent´anni, e adesso un´altra studiosa, Annalisa Franchi De Bellis, glottologa dell´Università di Urbino, rimette tutto in discussione. La fibula è autentica, ci viene detto. Anche la memoria della De Bellis, pubblicata nei "Quaderni dell´Istituto di Linguistica dell´Università di Urbino", ha la forma di un´indagine "poliziesca". Gli argomenti della Guarducci vengono passati al setaccio stretto – e molti di essi, in effetti, non paiono per nulla convincenti. Per citare un solo esempio, come spiegare il fatto che la fibula non fu venduta dal Martinetti, ma donata allo Stato? Un falsario falsifica per lucro, non per generosità. Il fatto è che la Guarducci sembra esser stata animata da una notevole antipatia nei confronti di personaggi come Martinetti e Helbig – i cui eredi del resto la portarono in tribunale per diffamazione – e questo probabilmente non favorì la sua serenità di giudizio. In ogni caso, la difesa della De Bellis si fonda non solo sulla confutazione degli argomenti portati dalla Guarducci, ma anche su nuove analisi archeometriche e, soprattutto, su nuovi riscontri filologici e linguistici. In particolare, la De Bellis mostra che il famoso fhefhaked "fece", accusato di essere un falso calcato sulle teorie dei glottologi tedeschi, trova invece riscontro in alcune epigrafi falische recentemente scoperte: testimonianze che non potevano esser note alla Guarducci e, a maggior ragione, neppure ad Helbig. Insomma, ce n´è più che abbastanza per riaprire il dossier sulla fibula Praenestina. E per ricominciare a parlarne con gli studenti.
Maurizio Bettini
LUNEDÌ, 24 AGOSTO 2009, La Repubblica, Cultura
La bomba esplose nel 1980: la fibula Praenestina, uno dei monumenti più preziosi delle antichità romane, era in realtà un falso. Dopo la deflagrazione le schegge si sparsero un po´ dovunque - archeologia romana, epigrafia, linguistica storica, perfino i manuali universitari ne furono colpiti. Autrice dello sconquasso era una coraggiosa studiosa di antichità classiche, Margherita Guarducci, che in una Memoria Lincea di quell´anno aveva dimostrato – o così parve a molti – che questo venerabile cimelio, posseduto dal Museo Pigorini, era stato in realtà confezionato a Roma alla fine dell´Ottocento. L´oggetto di cui parliamo è una "fibbia" d´oro, ossia una sorta di grosso spillo da balia comunemente usato nell´antichità per fermare le vesti. Salvo che la fibula Praenestina reca incisa un´iscrizione di straordinario interesse. Scorrendo da destra a sinistra, infatti, vi si legge questa frase: Manios med fhefhaked Numasioi "Manio mi ha fatto per Numasio", poche parole scritte in un latino talmente arcaico che lo stesso Plauto avrebbe stentato a capirle. Fibbia e iscrizione venivano datate al VII secolo a. C., di conseguenza l´orgogliosa dichiarazione di Manio – un artefice che aveva confezionato quell´oggetto per Numasio? – costituiva la più antica testimonianza della lingua latina che ci fosse pervenuta. Come dicevamo, fino alla memoria della Guarducci non vi era manuale universitario che non prendesse le mosse da questa iscrizione.
Nella sua puntigliosa ricerca, la studiosa aveva proceduto ad una vera e propria indagine "poliziesca" (l´aggettivo è suo), scandagliando ogni angolo di quel milieu antiquario che rendeva unica la Roma di fine Ottocento. Le sue conclusioni, corroborate da opportune analisi chimiche e addirittura grafologiche, furono perentorie: la fibula sarebbe stata confezionata nel 1886 da un archeologo e filologo tedesco, Wofgang Helbig, e da un suo amico antiquario, Francesco Martinetti.
Entrambi personaggi di spicco nella Roma dell´epoca, entrambi capaci di mescolare con grande disinvoltura erudizione ed affari: cosa peraltro comune in un ambiente che maneggiava reperti di straordinario valore venale, oltre che scientifico. Helbig, buon antichista, avrebbe dunque confezionato l´iscrizione di Manio utilizzando le teorie che la linguistica storica dell´epoca stava man mano elaborando. Ne derivò un testo che non solo poteva apparire autentico, ma confermava addirittura quanto alcuni storici (Theodor Mommsen in primo luogo) andavano sostenendo a proposito dell´introduzione dell´alfabeto nel Lazio. Per l´iscrizione della fibula Praenestina fu semplicemente la fine. Ricordo ancora la lezione in cui, giovane professore di Grammatica Greca e Latina, dovetti invitare i miei studenti a dimenticare i meravigliosi arcaismi contenuti nell´iscrizione "parlante" di Manio.
Dietro la maschera del remoto artefice di Preneste, faceva adesso capolino la faccia dotta ed astuta di un professore tedesco.
Da quella fatidica memoria della Guarducci sono passati trent´anni, e adesso un´altra studiosa, Annalisa Franchi De Bellis, glottologa dell´Università di Urbino, rimette tutto in discussione. La fibula è autentica, ci viene detto. Anche la memoria della De Bellis, pubblicata nei "Quaderni dell´Istituto di Linguistica dell´Università di Urbino", ha la forma di un´indagine "poliziesca". Gli argomenti della Guarducci vengono passati al setaccio stretto – e molti di essi, in effetti, non paiono per nulla convincenti. Per citare un solo esempio, come spiegare il fatto che la fibula non fu venduta dal Martinetti, ma donata allo Stato? Un falsario falsifica per lucro, non per generosità. Il fatto è che la Guarducci sembra esser stata animata da una notevole antipatia nei confronti di personaggi come Martinetti e Helbig – i cui eredi del resto la portarono in tribunale per diffamazione – e questo probabilmente non favorì la sua serenità di giudizio. In ogni caso, la difesa della De Bellis si fonda non solo sulla confutazione degli argomenti portati dalla Guarducci, ma anche su nuove analisi archeometriche e, soprattutto, su nuovi riscontri filologici e linguistici. In particolare, la De Bellis mostra che il famoso fhefhaked "fece", accusato di essere un falso calcato sulle teorie dei glottologi tedeschi, trova invece riscontro in alcune epigrafi falische recentemente scoperte: testimonianze che non potevano esser note alla Guarducci e, a maggior ragione, neppure ad Helbig. Insomma, ce n´è più che abbastanza per riaprire il dossier sulla fibula Praenestina. E per ricominciare a parlarne con gli studenti.