martedì 25 agosto 2009

Da San Giovanni a Porta Maggiore tra sepolcri, acquedotti e binari

Da San Giovanni a Porta Maggiore tra sepolcri, acquedotti e binari
EMANUELE TREVI
DOMENICA, 23 AGOSTO 2009, La Repubblica, Roma

Sotto gli archi, dai quali si usciva per imboccare la Casilina o la Prenestina, esiste ancora qualche metro dell´antica strada, con le lastre di basalto

Da Porta San Giovanni a Porta Metronia: prosegue il viaggio con lo scrittore alla scoperta dell´antica cinta delle Mura Aureliane, uno dei grandi tesori di Roma
Mi lascio alle spalle anche Porta San Giovanni, in direzione della chiesa di Santa Croce in Gerusalemme e di Porta Maggiore. Percorrendo la parte interna del perimetro, la camminata è tutt´altro che spiacevole, grazie ai giardini ricavati fra viale Carlo Felice e le mura. Ma mi tengo all´esterno per godermi l´apparizione dell´Anfiteatro Castrense, con la sua perfetta forma ellittica, che può far pensare alla prua di un´immensa nave costruita in mattoni. Le Mura Aureliane, come ho già avuto modo di osservare, hanno la caratteristica di inglobare nel loro sistema difensivo tutto ciò che incontrano sul loro cammino, fosse anche una piramide oppure, come in questo caso, un teatro destinato al divertimento della famiglia imperiale, inserito in quel complesso di edifici detto il «Sessorium» sul quale poi è sorta la basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
I cultori delle storie romane più folli e perverse non possono che legare questi luoghi alla memoria di Eliogabalo e delle sue leggende: «l´anarchico incoronato», come lo ha definito un grande scrittore moderno. Ed eccolo, finalmente, questo teatro trasformato in possente bastione, che interrompe il corso rettilineo delle mura. Le quali proseguono, sull´altro lato, fino all´imbocco della sopraelevata della Tangenziale. Ammesso che riusciate a trovarvi un posto abbastanza tranquillo per godervelo, il colpo d´occhio che si gode alla fine di viale Castrense è eccezionale nella sua confusione di antico e contemporaneo. La confusione ubriaca lo sguardo, quasi ci trovassimo in una città asiatica, e le antiche pietre delle mura e degli acquedotti che convergono in questa zona si fondono in maniera indistricabile agli svincoli, ai semafori, ai tralicci e ai terrapieni della ferrovia. È come se le epoche, invece di sovrapporsi in maniera meccanica, con la nuova che cancella tutto ciò che la precede, si fossero accordate per collaborare insieme a un disegno, a una segreta armonia di linee, volumi, prospettive. Confesso che all´antichità relegata in un parco archeologico preferisco questa, che convive con il caos urbano e vi si confonde, riprendendo di quando in quando il sopravvento. A patto di non farcele crollare in testa, o deturparle irreparabilmente, le cosiddette "rovine" dovrebbero far parte il più possibile della vita quotidiana. Circondata com´è dai binari dei tram, non fa eccezione nemmeno l´isola monumentale formata dalla Porta Maggiore e dal monumento funebre di Marco Virgilio Eurisace e di sua moglie Atistia.
Forse non c´è vista migliore di tutto questo insieme marmoreo di quella che si gode dal terrapieno della ferrovia, quando si arriva a Roma dal sud, quando un semaforo blocca il treno a poche centinaia di metri dalla stazione Termini. E´ la maestà imperiale nel pieno del suo apogeo quella che fa mostra di sé a Porta Maggiore, costruita da Claudio nel 52 dopo Cristo nel punto in cui convergevano ben otto dei dodici acquedotti che rifornivano Roma. Un progetto architettonico così ambizioso, questo, che sia Vespasiano che Tito, nel giro di pochi anni, dovettero intervenire con dei restauri, come attestano le tre solenni iscrizioni sull´ampia fronte della porta. Sotto gli archi, dai quali si usciva dalla città per imboccare la Casilina o la Prenestina, esiste ancora qualche metro dell´antica strada, con le lastre di basalto segnate dall´impronta di innumerevoli carri. Verso la fine del primo secolo avanti Cristo, quando ancora questa zona era ben fuori dall´abitato, Eurisace, ricco panettiere e fornitore ufficiale dello stato, decise di far costruire qui il suo inconfondibile monumento funebre, in tutto e per tutto simile a un grande forno con le sue bocche circolari spalancate. Dalla pesatura del grano alla cottura, tutte le fasi della nobile arte della panificazione (non molto cambiate nei secoli, in fin dei conti) sono rappresentate nei bassorilievi di un fregio decorativo che scorre lungo la sommità del monumento. Questo amore per il proprio lavoro, che resiste anche alla morte, è un segno di nobiltà umana più eloquente di qualunque elogio. E ci si allontana da Porta Maggiore con un sentimento di ammirazione per Eurisace il panettiere (che forse in origine era nient´altro che un liberto) che nemmeno il più glorioso imperatore saprebbe ottenere da noi.
Per continuare a seguire le mura, bisogna attraversare il ponte ferroviario e svoltare subito a sinistra in via di Porta Labicana. Sul lato interno del tracciato, inizia l´area della stazione Termini, mentre da questa parte le mura costeggiano il quartiere di San Lorenzo, creando il fondo prospettico di moltissime strade, da via dei Messapi su su fino a via dei Frentani. Tanto che l´immagine delle mura e quella del quartiere sembrano fondersi indistricabilmente nel ricordo, come non avviene in nessun altro luogo della città. Attraversato piazzale Tiburtino, dove sbocca il buio tunnel proveniente da viale Giolitti, si continua a passeggiare beatamente lungo viale di Porta Tiburtina. Ecco un altro caso di ‘cannibalismo´ delle mura, più visibile dall´interno che dall´esterno: molto prima della costruzione delle Mura Aureliane, infatti, già esisteva l´arco, eretto nientemeno che da Augusto. Oggi il monumento, come già accadeva a Porta Asinaria, è protetto da un recinto, e lievemente al di sotto del livello stradale. Le teste di toro che ornano la volta fanno pensare un poco a un ranch americano. Ma a pochi metri da Porta Tiburtina, alzando lo sguardo sugli spalti, si potrebbe credere di avere le traveggole: c´è un bellissimo palazzo settecentesco, di un sobrio rococò (se così si può dire) cotto dal sole e dagli anni, appollaiato sulle mura. Fu Filippo Raguzzini, il più brioso ed elegante architetto del settecento romano, a firmare il progetto di Villa Gentili, poi Dominici. Quale epoca storica, quale stile, quale estetica non ha trovato ospitalità su queste mura, nate per respingere goti e visigoti? Più che un monumento, le si potrebbe definire il riassunto, il compendio dell´intera città.
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nella foto Acquedotto di Claudio, foto dall'archivio fotografico di questo blog.