LE TERME DEI ROMANI
Giuseppe Lugli
LE PIÙ grandiose rovine di Roma, come di quasi tutte le città dell’Impero, sono costituite dalle terme, le quali raggiunsero nel Il e III sec. d. C. uno sviluppo tale da non poter essere paragonato con nessun altro genere di edifici dell’antichità. Ancora oggi i resti colossali delle Terme di Traiano, di Caracalla
e di Diocleziano in Roma, e quelli di tante stazioni balneari antiche, come Civitavecchia, Viterbo, Terracina, Baia, Pozzuoli, oppure di città che giunsero ad un notevole grado di importanza, come Treviri, Timgad, Dougga, Cirene, Leptis Magna, ecc., questi colossali resti destano in noi la più grande impressione e sono tra le testimonianze più importanti e più suggestive della romanità.
Seneca, che visse sotto i primi Cesari e vide appena le prime terme pubbliche di Roma costruite secondo un criterio monumentale, si meravigliava che un romano ricco e famoso come il Vecchio Scipione Africano avesse potuto aver nella sua villa un bagno così «angusto e tenebroso », dove ai suoi tempi appena un servo avrebbe osato bagnarsi. Eppure non era eccessiva frugalità quella degli Scipioni, non era stolto e vano fasto quello dei Cesari; nel corso dei secoli, non solo l’igiene si era notevolmente sviluppata, ma più ancora il concetto che i Romani avevano di questi edifici, lo scopo cui essi erano destinati.
Infatti, per tutta la Repubblica il bagno era considerato come una necessità corporale, come un comodo delle famiglie di una certa agiatezza, i bagni pubblici avendo una funzione molto modesta e molto limitata; esistevano piuttosto bagni privati messi a disposizione del pubblico dietro pagamento, come vediamo in Pompei e come sappiamo essere esistiti anche in Roma, anziché bagni pubblici eretti a spese dello Stato.
Lo Stato non aveva ancora assunto a questo riguardo una speciale iniziativa, una politica, diremo cosi, del bagno. Agrippa fu il primo che nel rinnovamento del Campo Marzio, compiuto da lui e da Augusto, ideò uno stabilimento termale e lo costruì nelle adiacenze del Pantheon; di questo stabilimento non sappiamo nulla, ma certamente non doveva essere una gran cosa, perché un secolo dopo Adriano senti il bisogno di ricostruirlo interamente, tanto che del primitivo edificio non resta più nulla.
A poca distanza, dalla parte opposta del Pantheon, Nerone costruì un nuovo stabilimento balneare per il popolo, il quale durò circa due secoli, ma anche questo in una certa età si mostrò inadeguato e fu più o meno ricostruito da Severo Alessandro, secondo una pianta che ci è pervenuta attraverso i disegni di alcuni studiosi del Rinascimento, ogni avanzo di esso essendo interamente scomparso.
Quindi fino a Nerone non possiamo dire esattamente come fossero concepite le terme pubbliche in una grande città e soli esempi sono quelle di Pompei, cioè le Terme Stabiane, le Terme del Foro, e le Terme Centrali.
Le prime sono le più antiche, costruite fino dall’età sannitica, cioè nel II sec. a. C., e restaurate poi nel secolo seguente sotto la dominazione romana, per opera dei duumviri 5. Ulio e P. Aninio che vi aggiunsero un laconicum, cioè una sala più intensamente riscaldata per il bagno di sudore, e un districtariurn, cioè un luogo per il massaggio dopo il bagno e la lotta; essi apportarono inoltre notevoli modificazioni alla palestra e al portico.
Per la necessità di tenere il portico il più soleggiato possibile, le stanze adibite ai bagni si svolgevano specialmente verso levante e verso settentrione, mentre negli altri due lati soltanto basse botteghe recingevano l’edificio: dall’ingresso principale sulla via degli Hocolnii si entrava nel peristilio o palestra: a destra erano i bagni caldi e a sinistra i bagni freddi; ambedue i gruppi erano preceduti da un vestibolo (apodyterium), riccamente decorato con stucchi e fornito di tante nicchie nelle pareti, chiuse da sportelli di legno per custodire gli abiti dei bagnanti. Dal vestibolo di destra si passava in una sala detta tepidarium, perché ben riparata e giustamente riscaldata, ove chi voleva prendere il bagno caldo si svestiva interamente e poi entrava nelle sale particolari, alcune capaci di contenere parecchie persone, altre riservate a poche di maggiore riguardo, tutte elegantemente decorate con soffitti a cassettoni in stucco e fornite di vasche di marmo e di mobili di legno, con rivestimento di avorio e di bronzo.
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Giuseppe Lugli
LE PIÙ grandiose rovine di Roma, come di quasi tutte le città dell’Impero, sono costituite dalle terme, le quali raggiunsero nel Il e III sec. d. C. uno sviluppo tale da non poter essere paragonato con nessun altro genere di edifici dell’antichità. Ancora oggi i resti colossali delle Terme di Traiano, di Caracalla
e di Diocleziano in Roma, e quelli di tante stazioni balneari antiche, come Civitavecchia, Viterbo, Terracina, Baia, Pozzuoli, oppure di città che giunsero ad un notevole grado di importanza, come Treviri, Timgad, Dougga, Cirene, Leptis Magna, ecc., questi colossali resti destano in noi la più grande impressione e sono tra le testimonianze più importanti e più suggestive della romanità.
Seneca, che visse sotto i primi Cesari e vide appena le prime terme pubbliche di Roma costruite secondo un criterio monumentale, si meravigliava che un romano ricco e famoso come il Vecchio Scipione Africano avesse potuto aver nella sua villa un bagno così «angusto e tenebroso », dove ai suoi tempi appena un servo avrebbe osato bagnarsi. Eppure non era eccessiva frugalità quella degli Scipioni, non era stolto e vano fasto quello dei Cesari; nel corso dei secoli, non solo l’igiene si era notevolmente sviluppata, ma più ancora il concetto che i Romani avevano di questi edifici, lo scopo cui essi erano destinati.
Infatti, per tutta la Repubblica il bagno era considerato come una necessità corporale, come un comodo delle famiglie di una certa agiatezza, i bagni pubblici avendo una funzione molto modesta e molto limitata; esistevano piuttosto bagni privati messi a disposizione del pubblico dietro pagamento, come vediamo in Pompei e come sappiamo essere esistiti anche in Roma, anziché bagni pubblici eretti a spese dello Stato.
Lo Stato non aveva ancora assunto a questo riguardo una speciale iniziativa, una politica, diremo cosi, del bagno. Agrippa fu il primo che nel rinnovamento del Campo Marzio, compiuto da lui e da Augusto, ideò uno stabilimento termale e lo costruì nelle adiacenze del Pantheon; di questo stabilimento non sappiamo nulla, ma certamente non doveva essere una gran cosa, perché un secolo dopo Adriano senti il bisogno di ricostruirlo interamente, tanto che del primitivo edificio non resta più nulla.
A poca distanza, dalla parte opposta del Pantheon, Nerone costruì un nuovo stabilimento balneare per il popolo, il quale durò circa due secoli, ma anche questo in una certa età si mostrò inadeguato e fu più o meno ricostruito da Severo Alessandro, secondo una pianta che ci è pervenuta attraverso i disegni di alcuni studiosi del Rinascimento, ogni avanzo di esso essendo interamente scomparso.
Quindi fino a Nerone non possiamo dire esattamente come fossero concepite le terme pubbliche in una grande città e soli esempi sono quelle di Pompei, cioè le Terme Stabiane, le Terme del Foro, e le Terme Centrali.
Le prime sono le più antiche, costruite fino dall’età sannitica, cioè nel II sec. a. C., e restaurate poi nel secolo seguente sotto la dominazione romana, per opera dei duumviri 5. Ulio e P. Aninio che vi aggiunsero un laconicum, cioè una sala più intensamente riscaldata per il bagno di sudore, e un districtariurn, cioè un luogo per il massaggio dopo il bagno e la lotta; essi apportarono inoltre notevoli modificazioni alla palestra e al portico.
Per la necessità di tenere il portico il più soleggiato possibile, le stanze adibite ai bagni si svolgevano specialmente verso levante e verso settentrione, mentre negli altri due lati soltanto basse botteghe recingevano l’edificio: dall’ingresso principale sulla via degli Hocolnii si entrava nel peristilio o palestra: a destra erano i bagni caldi e a sinistra i bagni freddi; ambedue i gruppi erano preceduti da un vestibolo (apodyterium), riccamente decorato con stucchi e fornito di tante nicchie nelle pareti, chiuse da sportelli di legno per custodire gli abiti dei bagnanti. Dal vestibolo di destra si passava in una sala detta tepidarium, perché ben riparata e giustamente riscaldata, ove chi voleva prendere il bagno caldo si svestiva interamente e poi entrava nelle sale particolari, alcune capaci di contenere parecchie persone, altre riservate a poche di maggiore riguardo, tutte elegantemente decorate con soffitti a cassettoni in stucco e fornite di vasche di marmo e di mobili di legno, con rivestimento di avorio e di bronzo.
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