La battaglia di Arausione
Fu questa una catastrofe che materialmente e moralmente superò di molto la battaglia di Canne. Le sconfitte toccate a Carbone, a Silano, a Longino erano passate senza lasciare durevole impressione sugli Italici. Si erano già abituati a vedere incominciata ogni guerra con avversa fortuna; la invincibilità delle armi romane era tanto indubbia, che pareva superfluo por mente alle eccezioni che pur erano numerose. Ma la battaglia di Arausione, la vicinanza in cui il vittorioso esercito cimbrico si trovava agli sguarniti passi delle Alpi, l’insurrezione scoppiata di nuovo e più violenta nel paese romano transalpino ed anche nella Lusitania, lo stato inerme dell’Italia scossero formidabilmente i Romani da questi sogni.
Si ravvivò nella loro mente la memoria non mai assopita interamente, delle procelle suscitate nel quarto secolo dai Celti, della battaglia sulle rive dell’Allia e dell’incendio di Roma; con la doppia violenza dell’antica memoria e della più recente angoscia per tutta l’Italia si sparse lo spavento dei Galli; pareva che tutto l’Occidente si avvedesse che il dominio dei Romani cominciava a vacillare. Come dopo la giornata di Canne fu ridotto con senato-consulto il tempo di vestire di bruno ~. I nuovi arruolamenti svelarono la più dolorosa diminuzione nella popolazione. Tutti gli Italici atti alle armi dovettero giurare di non lasciare l’Italia; ai capitani delle navi che si trovavano nei porti italici, fu ingiunto di non ricevere a bordo nessun uomo soggetto a coscrizione.
Non parleremo di ciò che sarebbe potuto accadere se i Cimbri subito dopo la loro duplice vittoria, passate le Alpi, fossero calati in Italia. Intanto, essi cominciarono coll’innondare il territorio degli Alverniati, che a fatica si difendevano dai loro nemici nelle fortezze, e stanchi degli assedi procedettero oltre, non verso l’Italia, ma verso l’Occidente ed i Pirenei.
Th. Mommsen, Storia di Roma antica, II, Sansoni, Firenze, 1965, pp. 212-213.
Fu questa una catastrofe che materialmente e moralmente superò di molto la battaglia di Canne. Le sconfitte toccate a Carbone, a Silano, a Longino erano passate senza lasciare durevole impressione sugli Italici. Si erano già abituati a vedere incominciata ogni guerra con avversa fortuna; la invincibilità delle armi romane era tanto indubbia, che pareva superfluo por mente alle eccezioni che pur erano numerose. Ma la battaglia di Arausione, la vicinanza in cui il vittorioso esercito cimbrico si trovava agli sguarniti passi delle Alpi, l’insurrezione scoppiata di nuovo e più violenta nel paese romano transalpino ed anche nella Lusitania, lo stato inerme dell’Italia scossero formidabilmente i Romani da questi sogni.
Si ravvivò nella loro mente la memoria non mai assopita interamente, delle procelle suscitate nel quarto secolo dai Celti, della battaglia sulle rive dell’Allia e dell’incendio di Roma; con la doppia violenza dell’antica memoria e della più recente angoscia per tutta l’Italia si sparse lo spavento dei Galli; pareva che tutto l’Occidente si avvedesse che il dominio dei Romani cominciava a vacillare. Come dopo la giornata di Canne fu ridotto con senato-consulto il tempo di vestire di bruno ~. I nuovi arruolamenti svelarono la più dolorosa diminuzione nella popolazione. Tutti gli Italici atti alle armi dovettero giurare di non lasciare l’Italia; ai capitani delle navi che si trovavano nei porti italici, fu ingiunto di non ricevere a bordo nessun uomo soggetto a coscrizione.
Non parleremo di ciò che sarebbe potuto accadere se i Cimbri subito dopo la loro duplice vittoria, passate le Alpi, fossero calati in Italia. Intanto, essi cominciarono coll’innondare il territorio degli Alverniati, che a fatica si difendevano dai loro nemici nelle fortezze, e stanchi degli assedi procedettero oltre, non verso l’Italia, ma verso l’Occidente ed i Pirenei.
Th. Mommsen, Storia di Roma antica, II, Sansoni, Firenze, 1965, pp. 212-213.