Eros senza volto, una copia romana di Lisippo
Stefano Bucci
Corriere della Sera 05/03/2009
Di Lisippo si sa davvero molto poco. Che era lo scultore (greco) prediletto di Alessandro Magno tanto che solo a lui era concesso di ritrarlo, in posa ufficiale o addirittura mentre cacciava un leone. Che avesse «prodotto », in un periodo compreso tra il 370 e il 300 avanti Cristo, almeno mille e cinquecento statue, la maggior parte delle quali in bronzo. E che di questi capolavori non è rimasto alcun originale, soltanto la leggenda e un esercito di copie (nella maggior parte romane). Più o meno belle, più o meno celebri: l'Apoxyomenos al Museo Pio Clementino del Vaticano, l'Hermes in riposo all'Archeologico di Napoli, l'Agias di Delfi, l'Atleta di Fano conteso tra l'Italia e il Getty Museum di Malibu, l'Eros
che incorda l'arco attualmente ai Musei Capitolini di Roma.
A questo esercito di repliche eccellenti si è da poco aggiunto un Eros senza volto
del periodo augusteo o giulio claudio, rimasto a lungo celato dentro una torre (o meglio in una «specola astronomica») nel giardino Torrigiani di Firenze: rinvenuta durante gli scavi condotti dal cardinal Luigi Torrigiani a Decima (vicino a Roma) nel 1749, la statua era stata poi trasportata dallo stesso cardinale a Firenze (le prime notizie ufficiali risalgono al 1875). Eredità dopo eredità, compresa quella Bardini, l'Eros è infine arrivato nelle stanze di un antiquario milanese dove sembra essersene innamorato Paolo Moreno, professore di archeologia e storia dell'arte greca e romana all'Università Roma Tre (autore di un saggio sulla bellezza classica edito da Allemandi). Che si autodefinisce (oltre che erede di Ranuccio Bianchi Bandinelli) «eroico nell'attaccamento alla forza del bello» e «alle spettacolari capacità delle attuali tecniche di restauro ». E che sogna «di portare il messaggio ellenico della bellezza a chi inconsapevolmente l'attende» (tra le sue altre passioni confessate l'«Amarone», Punto di fuga di Peter Weiss, Zelig di Woody Allen, Meryl Streep nella Scelta di Sophie,
le poesie di Alda Merini).
Di quella replica romana di un bronzo di Lisippo (naturalmente realizzata in marmo pario, il più prezioso) restano oggi la base del collo e l'attacco delle ali, il braccio destro e la parte superiore di quello sinistro, il fianco sinistro e la parte destra del ventre con parte della gamba. «L'antico originale» è dunque limitato essenzialmente al torso: le aggiunte successive sono di matrice sette-ottocentesca in una sorta di «puzzle» di frammenti che in qualche modo contribuisce ad accrescere il fascino di questa statua (alta all'incirca un metro e venti). In quel movimento, nella tensione del dio fanciullo bloccato «con le gambe divaricate, le braccia tese in avanti e il torace incurvato» mentre «prova la flessibilità dell'arco» c'è una bellezza che il professor Moreno giudica «preziosa e in qualche modo unica». Nel gesto di tendere l'arco sembra ad esempio celarsi il segreto delle parole di Pausania che nella sua Descrizione della Grecia
scrive: «Fra tutti gli Iddii i tespiesi hanno sempre onorato l'Amore. Lisippo fece così loro dono dell'Amore di bronzo». Nell'indice aperto ad occhiello c'è invece la spiegazione dei versi della Metamorfosi
di Ovidio: «E quello (Amore ndr) scelse la faretra... e contrastando col ginocchio curvò il flessibile corno, e colpì Dite nel cuore con la canna caudata».
Dietro quelle forme, per il professor Moreno, c'è dunque l'alchimia di una bellezza «dal pathos misterioso e ambiguo» assai simile allo «spirito celeste» che, secondo Winckelmann, definisce l'Apollo
del Belvedere. Ma c'è anche in qualche modo il mistero del David di Donatello (appena restaurato e ora al Bargello) e dell'innamoramento per la classicità che porterà Pietro Tenerani a realizzare quel gesso che raffigura Amore punto da un'ape.
E, a voler ben guardare, c'è persino il mistero di quell'Amore (di una magrezza «essenziale» che è segno della sua stessa «instabilità») che Sandro Penna avrebbe, molti anni dopo, descritto «nudo in riva di un mare sonoro». Il mare della classicità, insomma. Lo stesso mare che solcava Lisippo.
Stefano Bucci
Corriere della Sera 05/03/2009
Di Lisippo si sa davvero molto poco. Che era lo scultore (greco) prediletto di Alessandro Magno tanto che solo a lui era concesso di ritrarlo, in posa ufficiale o addirittura mentre cacciava un leone. Che avesse «prodotto », in un periodo compreso tra il 370 e il 300 avanti Cristo, almeno mille e cinquecento statue, la maggior parte delle quali in bronzo. E che di questi capolavori non è rimasto alcun originale, soltanto la leggenda e un esercito di copie (nella maggior parte romane). Più o meno belle, più o meno celebri: l'Apoxyomenos al Museo Pio Clementino del Vaticano, l'Hermes in riposo all'Archeologico di Napoli, l'Agias di Delfi, l'Atleta di Fano conteso tra l'Italia e il Getty Museum di Malibu, l'Eros
che incorda l'arco attualmente ai Musei Capitolini di Roma.
A questo esercito di repliche eccellenti si è da poco aggiunto un Eros senza volto
del periodo augusteo o giulio claudio, rimasto a lungo celato dentro una torre (o meglio in una «specola astronomica») nel giardino Torrigiani di Firenze: rinvenuta durante gli scavi condotti dal cardinal Luigi Torrigiani a Decima (vicino a Roma) nel 1749, la statua era stata poi trasportata dallo stesso cardinale a Firenze (le prime notizie ufficiali risalgono al 1875). Eredità dopo eredità, compresa quella Bardini, l'Eros è infine arrivato nelle stanze di un antiquario milanese dove sembra essersene innamorato Paolo Moreno, professore di archeologia e storia dell'arte greca e romana all'Università Roma Tre (autore di un saggio sulla bellezza classica edito da Allemandi). Che si autodefinisce (oltre che erede di Ranuccio Bianchi Bandinelli) «eroico nell'attaccamento alla forza del bello» e «alle spettacolari capacità delle attuali tecniche di restauro ». E che sogna «di portare il messaggio ellenico della bellezza a chi inconsapevolmente l'attende» (tra le sue altre passioni confessate l'«Amarone», Punto di fuga di Peter Weiss, Zelig di Woody Allen, Meryl Streep nella Scelta di Sophie,
le poesie di Alda Merini).
Di quella replica romana di un bronzo di Lisippo (naturalmente realizzata in marmo pario, il più prezioso) restano oggi la base del collo e l'attacco delle ali, il braccio destro e la parte superiore di quello sinistro, il fianco sinistro e la parte destra del ventre con parte della gamba. «L'antico originale» è dunque limitato essenzialmente al torso: le aggiunte successive sono di matrice sette-ottocentesca in una sorta di «puzzle» di frammenti che in qualche modo contribuisce ad accrescere il fascino di questa statua (alta all'incirca un metro e venti). In quel movimento, nella tensione del dio fanciullo bloccato «con le gambe divaricate, le braccia tese in avanti e il torace incurvato» mentre «prova la flessibilità dell'arco» c'è una bellezza che il professor Moreno giudica «preziosa e in qualche modo unica». Nel gesto di tendere l'arco sembra ad esempio celarsi il segreto delle parole di Pausania che nella sua Descrizione della Grecia
scrive: «Fra tutti gli Iddii i tespiesi hanno sempre onorato l'Amore. Lisippo fece così loro dono dell'Amore di bronzo». Nell'indice aperto ad occhiello c'è invece la spiegazione dei versi della Metamorfosi
di Ovidio: «E quello (Amore ndr) scelse la faretra... e contrastando col ginocchio curvò il flessibile corno, e colpì Dite nel cuore con la canna caudata».
Dietro quelle forme, per il professor Moreno, c'è dunque l'alchimia di una bellezza «dal pathos misterioso e ambiguo» assai simile allo «spirito celeste» che, secondo Winckelmann, definisce l'Apollo
del Belvedere. Ma c'è anche in qualche modo il mistero del David di Donatello (appena restaurato e ora al Bargello) e dell'innamoramento per la classicità che porterà Pietro Tenerani a realizzare quel gesso che raffigura Amore punto da un'ape.
E, a voler ben guardare, c'è persino il mistero di quell'Amore (di una magrezza «essenziale» che è segno della sua stessa «instabilità») che Sandro Penna avrebbe, molti anni dopo, descritto «nudo in riva di un mare sonoro». Il mare della classicità, insomma. Lo stesso mare che solcava Lisippo.