martedì 15 aprile 2008

La civiltà dei barbari

La Repubblica 15.4.08
Un saggio dello storico Modzelewski
La civiltà dei barbari
di Adriano Prosperi

Un´indagine sui rapporti tra le culture europee nel passaggio dal paganesimo , mai del tutto veramente estinto, all´affermarsi del cristianesimo
È molto fragile il mito di un popolo tedesco fatto per la guerra diffuso dai nazisti
Il dominio dei Longobardi in Italia fu costruito come una monarchia

Barbaro: una parola greca, nata per fare il verso col suo balbettìo inarticolato (bar-bar) a quelli di cui non si capiva la lingua. Al riso dei greci seguì il severo spirito ordinatore e la volontà di conquista dei romani: la parola servì per distinguere la civiltà come patrimonio dei «cives romani» da chi ancora non la possedeva. Certo, poteva già allora accendersi il gioco di specchi che ha reso celebre l´osservazione di Michel de Montaigne davanti ai selvaggi americani: ognuno definisce barbari gli usi diversi dai propri. Quando Ovidio fu esiliato a Soci tra le popolazioni del Mar Nero si rese conto che i ruoli potevano rovesciarsi e che il più raffinato cittadino romano poteva diventare il barbaro di chi non capiva la sua lingua. Col crollo dell´impero romano la storia dei barbari è diventata la storia d´Europa. Ma chi erano coloro che travolsero i confini romani e dilagarono in occidente? Su di loro gli storici dell´800 proiettarono i confini degli stati nazionali: la divisione tra popoli germanici, baltici e slavi apparve allora obbligatoria. Oggi una importante opera dello storico polacco Karol Modzelewski affronta l´impegnativo compito di ridefinire la carta dell´Europa alto-medievale in una fase in cui non c´è solo da cancellare gli anacronismi del nazionalismo (L´Europa dei barbari. Le culture tribali di fronte alla cultura romano-cristiana, Bollati Boringhieri, pagg.481, euro 40). La discussione sulle radici culturali cristiane dell´Europa che si è accesa intorno al preambolo della costituzione europea impone a chi affronta il tema da storico un compito imponente: quello di fare un bilancio storico - non politico, non religioso - del rapporto tra culture pagane e cristianità romana. Karol Modzelewski non si è sottratto all´impegno. Il suo libro affronta la questione dei rapporti tra le culture europee su di un arco temporale che va dalle invasioni barbariche alle radici sopravviventi di un mondo pagano che «non morì completamente». E´ proprio con questa citazione oraziana che il libro si conclude.
Che cosa non è morto? Per esempio il fondamento religioso germanico della regola dell´unanimità del verdetto dei giurati, oggi indiscusso pilastro del sistema giudiziario statunitense: oppure l´archetipo del legame di sangue tra i membri della tribù che è rimasto nella definizione della guerra civile come «lotta fratricida». Certo, gli antichi dèi furono sconfitti: lo riconobbero gli abitanti di Stettino quando, davanti al ludibrio che i missionari cristiani facevano dei loro idoli, si sentirono non più protetti e si rassegnarono al battesimo con parole non diverse da quelle che secoli dopo furono pronunziate in America dagli aztechi sconfitti da Cortès. Quel mondo pagano crollò come l´albero altissimo che impediva al cielo di cadere sulla testa degli uomini (chi non ricorda Asterix?). I Sassoni adoravano un grande tronco di albero, che chiamavano «colonna universale»: così racconta Rudolf di Fulda. I missionari cristiani tagliarono l´albero, fecero trascinare via gli idoli, frantumarono i recinti sacri delle assemblee. Si ripeteva il trauma della fine del paganesimo antico simboleggiata dalla morte del dio Pan. Ma la morte delle culture non è come quella degli esseri umani: di quella barbarica sopravvissero forme nascoste e profonde, che il volume di Modzelewski decifra seguendo percorsi inconsueti e ricostruendo processi storici complessi su di uno scenario di grande ampiezza spaziale e cronologica e dominando una straordinaria ricchezza di fonti. Lo storico ha dovuto lavorare in condizioni di speciale difficoltà, che è facile immaginare se si pensa che ha avuto a disposizione tracce incerte, nell´assenza spesso quasi completa di documenti scritti, e dovendo per di più fare i conti con rappresentazioni tenaci quanto infondate. Facciamo un solo esempio per intenderci.
Il mito di un popolo tedesco fatto per la guerra e per l´obbedienza ha ricevuto diritto di presenza nel passato quando storici filonazisti elaborarono la costruzione di un ipotetico gruppo sociale - i cosiddetti «liberi del re» soggetti solo al sovrano e dediti esclusivamente alla guerra - che sarebbe stato tipico dei popoli germanici.
Quella costruzione aveva basi fragilissime e oggi appare a pezzi, nota Karol Modzelewski. Ma questo non le ha impedito di resistere a lungo. Prova - se ce ne fosse bisogno - della verità dell´osservazione che su di un piano generale Modzelewski propone al lettore: «Ogni riflessione sul passato si accompagna a un certo modo di valutare e di comprendere il mondo contemporaneo». Alle realtà politiche del mondo contemporaneo Karol Modzelewski ha partecipato personalmente militando nell´opposizione da sinistra al regime filosovietico in Polonia dove è stato tra i fondatori del sindacato Solidarnosc. Ma, a differenza di altri intellettuali polacchi, per lui l´impegno politico non è diventato una professione: ha continuato a fare il mestiere di insegnante e di storico conservando di quella esperienza di impegno politico una vigile attenzione al rapporto tra presente e passato. Oggi, con questo robusto e affascinante volume, offre il suo contributo per rispondere alla domanda se ci siano e quali siano le basi comuni della cultura europea derivate dalla tradizione dei barbari. Questa Europa barbarica venne integrata nell´ambito della cultura dominata dalla Roma pagana e poi cristiana durante una vicenda lunga tredici secoli, dalla guerra gallica di Cesare fino alle campagne dei cavalieri teutonici. Si svolse allora il confronto e il conflitto tra le culture tribali germaniche, slave e baltiche e la cultura romano-cristiana. Questo è il tema del libro. I confini abbracciati dalla ricerca di Modzelewski comprendono territori e popoli oggi divisi da identità nazionali fortemente consapevoli delle proprie diversità e spesso reciprocamente risentite. Per ricostruirne i tratti culturali comuni c´è voluto un esercizio straordinario di microanalisi associata a una capacità di mettere in relazione testimonianze di natura diversa e di epoche lontane fra di loro.
Facciamo anche qui un solo esempio: nel 1030 un missionario cristiano di nome Volfred giunto dall´Inghilterra in Svezia fu messo a morte per aver fatto a pezzi l´idolo del dio Thor. Il suo corpo dilaniato fu gettato nella palude. Così racconta Adamo di Brema. Ora, che il rito dell´esecuzione capitale germanico prevedesse l´affogamento di certi tipi di condannati nel fango delle paludi era stato scritto nella Germania di Tacito, un´opera che riemerse nella cultura dotta solo nel 1455 da un unico manoscritto trovato in monastero tedesco. Forse Adamo di Brema aveva letto l´opera di Tacito o quella di un altro autore che aveva utilizzato Tacito? Questo poteva accadere; in altri casi accadde. La grande affidabilità e acutezza dell´inchiesta antropologica di Tacito trova continue conferme nello studio di Modzelewski che in molti punti si può quasi considerare un omaggio al grande storico romano. Ma nel caso di Adamo di Brema le analogie fra i due testi non si spiegano ricorrendo alla trasmissione di un motivo letterario. Qui Modzelewski apre un ampio spiraglio sulla realtà medievale delle sopravvivenze pagane tra i popoli barbari e ne mostra gli scontri e gli accomodamenti col cristianesimo e con la cultura latina: intanto le leggi consuetudinarie di popoli «barbari» - i Burgundi (inizi del VI secolo), i Frisoni (norma codificata nell´803) - attestano la pena capitale dell´affogamento nel fango. La pena aveva un carattere religioso, di espiazione per offese agli dèi. E che venisse praticata lo dimostra una prova materiale: in Danimarca, Olanda, Irlanda gli scavi archeologici e le estrazioni della torba hanno portato al rinvenimento di alcune centinaia di «cadaveri di palude» alcuni dei quali con gli occhi bendati e con segni di torture (i terreni paludosi hanno notoriamente la caratteristica di conservare perfettamente i resti organici).
Questo è solo un piccolo esempio dell´interesse di questa storia: dall´indagine di Karol Modzelewski vengono illuminate pratiche divinatorie pagane solo superficialmente cristianizzate, come quella in uso per scoprire il colpevole in un processo penale. Sono particolarmente interessanti le sue osservazioni sui caratteri sacrali dell´assemblea pubblica (fu necessario un ordine specifico di Carlo Magno per imporre l´obbligo del culto festivo al Dio cristiano a danno di quelle assemblee). Si tenga conto di quanto il terreno di riti e miti dell´antichità germanica sia stato reso un campo minato dalla propaganda nazista e dagli storici tedeschi del III Reich: per reazione gli studiosi hanno poi ecceduto nel metterne in ombra gli aspetti sacrali e le convinzioni religiose soggiacenti. L´analisi di Modzelewski invece è un restauro paziente e accurato di un mondo che ha lasciato tracce nelle leggi, nelle consuetudini e nel linguaggio in un´area che abbraccia popoli germanici, slavi, ugrofinnici e si estende dalla Svezia all´Irlanda, alla Lettonia e a tanti altri paesi. Anche all´Italia: anzi, specialmente all´Italia perché il dominio del Longobardi su parte della penisola fu costruito come una monarchia di conquistatori, senza il concorso delle élite romane che furono invece determinanti nella storia della vicina Gallia. Perciò le leggi longobarde hanno uno speciale valore di prova in questa inchiesta sulle categorie delle culture barbariche. Si pensi allo speciale diritto del re sulle donne del popolo longobardo, che si spiega solo sulla base di una concezione privatistica del sovrano come un grande parente di ogni famiglia.
«C´è voluto un secolo o più di duro lavoro - ha scritto Zygmunt Bauman - ... per convincere i prussiani, i bavaresi, i renani, i turingi o i sassoni... che sono tutti parenti stretti e discendenti dello stesso ceppo germanico» (Le vespe di Panama, Laterza, p.12). Senza ricorrere alla forza militare, con l´intelligenza e lo sguardo dello storico Karol Modzelewski ha raggiunto un risultato di gran lunga maggiore: dimostrare l´appartenenza dei popoli della Scandinavia, della Russia, della Polonia e naturalmente della Germania - cioè di tutte le popolazioni discendenti dai «barbari» - a una stessa cultura originaria, frammentata in seguito dal diverso livello di integrazione con la cultura dell´impero romano e con la religione cristiana ma non cancellata del tutto. La vittoria del cristianesimo fu non uno smantellamento ma una interazione con l´eredità del mondo dei barbari: e l´Europa di oggi reca nella sua cultura le diverse facce delle reciproche influenze - mondo romano, mondo bizantino e retaggio culturale barbarico.