giovedì 6 marzo 2008

Una maschera d'avorio per Apollo

Una maschera d'avorio per Apollo
Andrea Carandini
Corriere della Sera, 20/3/2003

«II recupero di queste statue di avorio è rocambolesco — racconta il colonnello Zottin — fra Anguillara, Cipro, la Svizzera, la Germania e l'Inghilterra». «Tra crimine organizzato, antiquari, musei di dubbia etica — rivela il direttore generale Proietti — e soldi da capogiro». Il merito del recupero, presentato ieri da Giuliano Urbani nella sede del ministero per i Beni culturali, va ai nostri carabinieri (otto anni di lavoro). I frammenti di Apollo e Diana giacciono in una teca ai piedi di Vittorio Emanuelc II nel salone (1881) di quella che fu la Biblioteca nazionale al Collegio Romano. Oggetti mirabili fuggono, dunque, ancora dall'Italia e il fronte dei Paesi archeologicamente ricchi non riesce a difendersi dai Paesi più disinvolti e mercantili. Gli scavi clandestini non solo riducono in mezzi le opere, come queste, ma le privano del loro contesto, per cui bisognerà rintracciare il luogo di provenienza per dare inizio alla ricerca.

Anche la così detta Alena eburnea della Biblioteca vaticana viene da una villa vicino a Roma. Opere greche, romane? Sicuramente greche sono le statue di Apollo, Arthemis e Latona trovate a Delfi (metà del VI secolo a.C.), che costituiscono il ritrovamento più spettacolare della produzione crisoelefantina (d'oro e di avorio). I frammenti recuperati non sono, dunque, unici ma certamente ultrarari, per cui il rinvenimento è un evento.

Le statue crisoelefantine più famose sono l'Atena del Partenone e lo Zeus di di Fidia, la cui bottega stata è riconosciuta a Olimpia. Vi hanno trovato frammenti di matrici di terracotta, di ossidiana, di conchiglie, di avorio, di piombo, di vetro e di corno, per non dire dei ceselli d'osso e degli altri strumenti m bronzo che l'artista maneggiava per "costruire" i suoi dei giganteschi. Queste statue erano l'emblema del classicismo e nello stesso tempo, per la loro sfolgorante varietà di materiali di diversa natura, colore e valore, quanto di più distante dal bianco neoclassico invalso nel 700.
La maschera del volto di Apollo è mirabilmente conservata: la bocca è carnosa (traspare qualche dente), il mento è arrotondato con fossetta, le cavità oculari dovevano accogliere paste vitree o pietre preziose e dal naso regolare spiccano le sopracciglia appena arcuate, e poi un braccio, due piedi, uno maschile e uno femminile. Il tono è di un freddo classicismo, quasi una caricatura di compostezza, che fa rivivere la scultura greca della prima metà del IV secolo a. C. in età ellenistica, II secolo a. C., come reazione ai precedenti barocchismi.
Questo neoclassicismo di II secolo a. C. nasce ad Atene e artisti ateniesi vengono a lavorare a Roma — come la famiglia di Timarchides — al servizio della nobilitas. Questo rinascimento classicistico — primo della storia — fa scrivere a Plinio il famoso revixit ars, e un confronto alla nostra statua lo troviamo nella divinità femminile dei Musei capitolini della metà del II secolo a. C. E' attraverso questi artisti che l'arte ellenistica diventa, tramite Roma, un'arte universale, che influenzerà anche l'arte europea fino al Romanticismo. Si tratta del corrispettivo figurativo della cultura atti-cizzante di un Terenzio. Il tutto è poi finito — a me sembra — in una villa imperiale, affacciata forse sul lago di Bracciano, a partire da Domiziano (come sembra indicare la documentazione epigrafica).