lunedì 3 marzo 2008

E Roma diede il voto ai Galli

Corriere della Sera, 18/10/2003, Luciano Canfora

E Roma diede il voto ai Galli
IERI E OGGI

Nell'anno 48 d.C., mentre si discuteva sul modo di integrare il Senato, i capi della Gallia cosiddetta «Comata», che già avevano acquisito il diritto di «federati» e la «cittadinanza romana», chiesero di ottenere di poter ricoprire cariche (l'«elettorato passivo») a Roma. Scoppiò una discussione violentissima. Si diceva: «Un tempo erano bastati i Romani!»; e ovviamente venivano ricordati gli esempi di virtù dei Romani del tempo antico. E ancora: «Non era già grave che i Veneti e gli Insubri fossero stati immessi in Senato?»; «Tutte le cariche sarebbero state occupate dai nipoti di coloro che un tempo avevano fatto a pezzi i nostri eserciti e stretto Giulio Cesare ad Alesia? Godessero pure i diritti di cittadinanza ma non si prostituisse il decoro delle cariche pubbliche!». Mentre si discuteva animatamente l'imperatore Claudio convocò il Senato e così parlò: «E' il caso forse di pentirsi che dalla Spagna siano venuti i Balbi e dalla Gallia Narbonese uomini non meno famosi? Ci sono qui tra noi i loro discendenti, che non sono secondi a noi nell'amore verso questa patria. Perché mai pensate che siano decaduti Spartani e Ateniesi se non perché trattavano i vinti come stranieri? Romolo invece, il fondatore della nostra città, fu così saggio da considerare parecchi popoli, in uno stesso giorno, prima nemici e subito dopo concittadini. Stranieri ebbero presso di noi il regno e abbiamo affidato uffici pubblici a figli di schiavi affrancati. Senatori! Tutte le cose che si credono ora antichissime, un tempo furono nuove. Dopo i magistrati patrizi vennero i plebei. Dopo i plebei i Latini. Dopo i Latini quelli degli altri popoli italici. Anche questa nostra odierna deliberazione invecchierà e quello che oggi noi giustifichiamo con antichi esempi sarà un giorno citato tra gli esempi». E la proposta passò. Così narra Tacito nell'undecimo degli Annali .