giovedì 6 marzo 2008

Storia di Roma, che passione

Storia di Roma, che passione
ANDREA GIARDINA
Il Messaggero 30/10/2006

PUÒ accadere, a Roma, che migliaia di persone si rechino ad assistere a una brillante ma dotta conferenza sulla storia della città, che altre migliaia debbano addirittura rinunciare per mancanza di posto, e che questo si verifichi per giunta in un’assolata domenica autunnale, circostanza ideale per una gita al mare o in campagna. E’ accaduto ieri all’Auditorium, dove l’archeologo Andrea Carandini ha parlato della fondazione di Roma, nel primo di un ciclo di nove incontri ideati dall’editore Laterza e dedicati ad altrettanti giorni “epocali” nella lunga storia della capitale: dal 21 aprile del 753 a.C. alle Fosse Ardeatine, passando per l’incendio neroniano, l’incoronazione di Carlomagno, il sacco del 1527, la marcia su Roma e altri eventi che hanno lasciato una forte impronta nei libri di storia e nella cultura diffusa. Certo, il conferenziere di ieri è un personaggio famoso e l’archeologia esercita sempre un richiamo potente, ma l’avvenimento ha implicazioni più vaste, che richiedono alcune riflessioni.
E’ evidente che i romani hanno imparato ad amare la storia della loro città: vogliono saperne di più e non si accontentano degli aneddoti e del trito repertorio della cattiva divulgazione. Purtroppo, alcune splendide mostre che avrebbero potuto rispondere efficacemente a una simile richiesta non ci sono riuscite per la carenza di apparati didattici e per la cattiva abitudine di riempire i pannelli con la più astrusa prosa accademica: ci vorrebbe un vero e proprio codice deontologico per i curatori di mostre, mentre gli enti finanziatori dovrebbero esigere garanzie al riguardo.
Questo crescente interesse dei romani per la loro storia è un fenomeno relativamente nuovo e si spiega in vario modo. Anzitutto è venuta meno, per il semplice trascorrere del tempo, l’immagine di Roma arrogante creata e propagandata dal fascismo, con il suo corredo di retorica. Quella retorica che ha prodotto l’accaparramento politico dei simboli romani, protrattosi ben oltre la caduta del regime e reso possibile dal carattere pervasivo del culto fascista della romanità.
Ma il semplice trascorrere del tempo, da solo, non sarebbe bastato. La storia di Roma si è “democratizzata” soprattutto grazie al lavoro dei politici, degli amministratori e degli studiosi, che ha diffuso con successo una diversa immagine della città: pluralista, accogliente, ariosa nel suo passato come nel suo presente. I “ruderi”, come li si chiamava una volta, non sono più uno sfondo pittoresco, ma appaiono cose animate, testimonianze da conoscere, ricordi da esplorare, spazi da vivere. In questo modo, i romani hanno ricominciato a essere fieri della loro città e a provare un nuovo interesse per tutta la sua storia, da Romolo al XX secolo, senza amputazioni e senza malesseri. In una città come Roma, il rapporto con il passato non può che essere totale, anche se è normale che le successive generazioni abbiano le loro preferenze.
Anche la demografia ha fatto la sua parte. I grandi trasferimenti di popolazione dalle altre regioni d’Italia si sono esauriti negli anni Settanta del secolo scorso. La maggior parte degli abitanti di Roma condivide dunque un senso di appartenenza alla città che non subisce più, come una volta, la concorrenza di altre radici, piantate nel paese di origine e in comunità che avevano altre abitudini e altri dialetti. Questo processo di formazione e di consolidamento di un’identità “romana” è stato favorito dal fatto che la città, per vocazione e per necessità, ha un carattere aperto: i cittadini già sedimentati hanno imparato da molto tempo ad accogliere i nuovi venuti, e lo fanno con un tipico stile romano, senza sentimentalismi e con un’assai benevola degnazione.
In tempi recenti, altre manifestazioni come quella dedicata ai giorni di Roma hanno ottenuto in Italia uno straordinario successo: il festival della letteratura a Mantova, quello della filosofia a Modena, quello della scienza a Genova, quello dell’economia a Trento. Ovunque, sale stracolme per le lezioni di grandi esperti nei vari campi. Ora sappiamo che questo è possibile anche per la storia, purché, come negli altri casi, il pubblico avverta di essere chiamato a condividere un progetto, un’idea, un’esperienza di comunicazione. Questo fenomeno di sociologia della cultura ci dice che nell’epoca della televisione la parola parlata ha un grande fascino anche al di fuori del teatro e delle recite poetiche. La ricerca e la riflessione di alto livello, se gli specialisti sanno trasmetterla, può diventare dialogo, condivisione, racconto per le folle.