Parla l'archeologo Carandini: «La Lupa e antica ce lo dice Livio»
Adele Cambria
23-NOV-2006 L’Unità
LA FACCIA ARGUTA e un po' allarmata della bronzea Lupa Capitolina, sulla copertina dell'ultimo libro curato da Andrea Carandini -«La leggenda di Roma», Volume I, sottotitolo «Dalla nascita dei gemelli alla fondazione della città» (Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori Editori) - non sembra granché contenta di questo suo brusco ringiovanimento; Adriano La Regina, infatti, ha autorevolmente spostato la sua data di nascita dal sesto o quinto secolo avanti Cristo all'età medioevale: «Essa si inserisce coerentemente - ha scritto su «La Repubblica» del 17 novembre 2006 -nella classe della grande scultura bronzea di epoca medioevale». Le motivazioni del convincimento espresso dal noto archeologo provengono dalle indagini sulla tecnica di fusione della scultura, condotte dalla storica dell'arte Anna Maria Carruba, cui nel 1997 fu affidato il restauro del simbolo più divulgato della città di Roma. La tecnica di fusione del bronzo a cera persa, ed in un solo getto, infatti, si sarebbe perfezionata soltanto in età medioevale. E tuttavia, come lo studioso stesso non trascura di precisare, quando nel 2000 fu presentato il restauro dell'opera, la relativa pubblicazione curata dai Musei Capitolini continuava a datarla al 480-470 avanti Cristo, e ad attribuirne la fattura ad una officina di Vejo. (Si parla qui soltanto della Lupa intesa come raffigurazione dell'animale che avrebbe salvato Romolo e Remo dalla morte per fame: invece i due gemelli sono opera rinascimentale, attribuita ad Antonio Pollaiolo). Chiedo lumi ad Andrea Carandini: che, forte di oltre due decenni di scavi condotti sul Palatino, (e di un approccio anche storico-letterario, alla ricerca archeologica), continua a perseguire la tesi della attendibilità del mito della fondazione di Roma. «Possibile - gli chiedo - che la Lupa Capitolina sia così giovane?». «Sono molto curioso - mi risponde pacatamente - ed aspetto di poter leggere quanto la restauratrice ha accertato sulle tecniche di fusione del bronzo: non mi risulta che le sue indagini siano state ancora pubblicate. Posso obiettare, forse, che non ci sono i numeri per foimulare una statistica di supporto al convincimento che gli scultori dell'antichità non conoscessero la tecnica della fusione riscontrata nella Lupa: sono così poche le sculture in bronzo arrivate fino a noi...». E il Professore mi rimanda ai suoi scritti: che documentano, anche attraverso i passi-degli storici antichi - da Fabio Pittore, a Livio, a Plinto il Vecchio, a Plutarco - e splendidamente con i versi dei poeti, tra i quali Virgilio ed Ovidio - come il mito/leggenda della Lupa abbia avuto, nel corso dei secoli precristiani, molteplici materializzazioni artistiche ed affabulazioni letterarie diffuse nell'area del Mediterraneo, oltre che a Roma.
«Una Lupa ancora più antica... dalle gonfie mammelle... già esisteva ai tempi della Repubblica, in qualche luogo di Roma, forse sul Campidoglio: è la Lupa Capitolina». Così argomenta Andrea Carandini, a pagina 65 del suo libro «Remo e Romolo». Mentre, tra le fonti raccolte ne «La leggenda di Roma», cita un poetico Livio: «Una lupa assetata deviò il suo cammino... al suono del pianto infantile... abbassò le mammelle e le porse ai neonati in modo così mite che il custode del gregge del re la trovò che leccava con la lingua i due pargoli...».
«Io mi auguro - mi dice ancora l'archeologo, docente di Archeologia Classica a La Sapienza - che un bronzo sicuramente medioevale venga posto a confronto con la Lupa Capitolina. E' vero che essa stessa è un unicum nella produzione bronzea dell'antichità, ma lo è anche rispetto alla grande scultura bronzea medioevale. Per cui riconfermo la mia curiosità e resto in attesa...».
Adele Cambria
23-NOV-2006 L’Unità
LA FACCIA ARGUTA e un po' allarmata della bronzea Lupa Capitolina, sulla copertina dell'ultimo libro curato da Andrea Carandini -«La leggenda di Roma», Volume I, sottotitolo «Dalla nascita dei gemelli alla fondazione della città» (Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori Editori) - non sembra granché contenta di questo suo brusco ringiovanimento; Adriano La Regina, infatti, ha autorevolmente spostato la sua data di nascita dal sesto o quinto secolo avanti Cristo all'età medioevale: «Essa si inserisce coerentemente - ha scritto su «La Repubblica» del 17 novembre 2006 -nella classe della grande scultura bronzea di epoca medioevale». Le motivazioni del convincimento espresso dal noto archeologo provengono dalle indagini sulla tecnica di fusione della scultura, condotte dalla storica dell'arte Anna Maria Carruba, cui nel 1997 fu affidato il restauro del simbolo più divulgato della città di Roma. La tecnica di fusione del bronzo a cera persa, ed in un solo getto, infatti, si sarebbe perfezionata soltanto in età medioevale. E tuttavia, come lo studioso stesso non trascura di precisare, quando nel 2000 fu presentato il restauro dell'opera, la relativa pubblicazione curata dai Musei Capitolini continuava a datarla al 480-470 avanti Cristo, e ad attribuirne la fattura ad una officina di Vejo. (Si parla qui soltanto della Lupa intesa come raffigurazione dell'animale che avrebbe salvato Romolo e Remo dalla morte per fame: invece i due gemelli sono opera rinascimentale, attribuita ad Antonio Pollaiolo). Chiedo lumi ad Andrea Carandini: che, forte di oltre due decenni di scavi condotti sul Palatino, (e di un approccio anche storico-letterario, alla ricerca archeologica), continua a perseguire la tesi della attendibilità del mito della fondazione di Roma. «Possibile - gli chiedo - che la Lupa Capitolina sia così giovane?». «Sono molto curioso - mi risponde pacatamente - ed aspetto di poter leggere quanto la restauratrice ha accertato sulle tecniche di fusione del bronzo: non mi risulta che le sue indagini siano state ancora pubblicate. Posso obiettare, forse, che non ci sono i numeri per foimulare una statistica di supporto al convincimento che gli scultori dell'antichità non conoscessero la tecnica della fusione riscontrata nella Lupa: sono così poche le sculture in bronzo arrivate fino a noi...». E il Professore mi rimanda ai suoi scritti: che documentano, anche attraverso i passi-degli storici antichi - da Fabio Pittore, a Livio, a Plinto il Vecchio, a Plutarco - e splendidamente con i versi dei poeti, tra i quali Virgilio ed Ovidio - come il mito/leggenda della Lupa abbia avuto, nel corso dei secoli precristiani, molteplici materializzazioni artistiche ed affabulazioni letterarie diffuse nell'area del Mediterraneo, oltre che a Roma.
«Una Lupa ancora più antica... dalle gonfie mammelle... già esisteva ai tempi della Repubblica, in qualche luogo di Roma, forse sul Campidoglio: è la Lupa Capitolina». Così argomenta Andrea Carandini, a pagina 65 del suo libro «Remo e Romolo». Mentre, tra le fonti raccolte ne «La leggenda di Roma», cita un poetico Livio: «Una lupa assetata deviò il suo cammino... al suono del pianto infantile... abbassò le mammelle e le porse ai neonati in modo così mite che il custode del gregge del re la trovò che leccava con la lingua i due pargoli...».
«Io mi auguro - mi dice ancora l'archeologo, docente di Archeologia Classica a La Sapienza - che un bronzo sicuramente medioevale venga posto a confronto con la Lupa Capitolina. E' vero che essa stessa è un unicum nella produzione bronzea dell'antichità, ma lo è anche rispetto alla grande scultura bronzea medioevale. Per cui riconfermo la mia curiosità e resto in attesa...».