Corriere della Sera 8.3.08
Alleanze, tattiche e strategie culturali per conquistare l'eredità politica e il potere
E così Augusto «arruolò» gli intellettuali
di Luciano Canfora
Nel «partito» di Cesare, nei luogotenenti che con Cesare avevano combattuto in Gallia e poi nella guerra civile contro Pompeo e il Senato, Ottaviano ha avuto i suoi avversari più tenaci. Li ha giocati gli uni contro gli altri, con alleanze tattiche durevoli fintanto che giovavano al suo unico fondamentale disegno: impadronirsi completamente dell'eredità politica e della successione di Cesare. In Antonio, fidato collaboratore e compagno d'arme di Cesare, ha avuto l'avversario più tenace e non ha avuto pace finché non l'ha annichilito completamente. «Dopo l'ultima sconfitta — narra Svetonio nella Vita di Augusto — Antonio fece un ultimo tentativo di pace, ma Augusto lo costrinse ad uccidersi e ne rimirò poi il cadavere». Solo con la scomparsa, anche fisica, di Antonio (31 a.C.), Augusto poté considerare di avere saldamente in mano l'intera eredità di Cesare e l'intero potere carismatico sull'esercito e sulla compagine statale. Erano passati tredici anni dalla morte di Cesare (44 a.C.): tredici lunghi anni di inesorabile, programmata, sapiente conquista del potere.
Diversamente da Cesare, che affrontava la polemica aperta anche con gli avversari sconfitti, Ottaviano, ormai divenuto Augusto, preferì irreggimentare, conquistandone ad uno ad uno i protagonisti, la vita intellettuale. Creò un'arte volta a glorificare la sua azione politica, le sue parole d'ordine. E soprattutto prevenne e zittì ogni voce che intendesse eventualmente esprimersi in modo dissonante. Gli scrittori cominciarono ad autocensurarsi: Virgilio, il maggiore, cancellò un intero pezzo delle Georgiche e lo sostituì con un'insulsa tirata sulle api. Poeti d'amore, come l'elegiaco Properzio, si misero a scrivere odi «romane», in cui si parlava del «principe», nei modi graditi alla sua propaganda; giovani promettenti e di bassa estrazione sociale come Orazio furono catturati e portati a scrivere odi di esaltazione del vincitore di Azio.
Naturalmente c'era anche chi riteneva di potersi non piegare. Un vecchio amico di Antonio, il generale Asinio Pollione, ritiratosi a vita privata già prima di Azio, decise di scrivere un'opera di storia che prendeva le mosse dal «primo triumvirato», cioè dagli esordi, trent'anni prima, di Caio Giulio Cesare: ma Orazio scrisse apposta un'ode per spiegargli che si trattava di un'iniziativa pericolosa. E ci fu anche chi decise di non scrivere più nulla, pur di non accodarsi al coro. Proprio perché promotore e artefice di un così forte controllo sulla cultura — per la prima volta nella storia di Roma — Augusto sapeva anche concedersi la civetteria della liberalità: come quando scoprì un nipote che leggeva di nascosto un libro di Cicerone, gli tolse dalla manica della tunica il libro, non rimproverò il fanciullo, ma disse pensosamente che l'autore in questione — della cui morte era stato a suo tempo corre
Alleanze, tattiche e strategie culturali per conquistare l'eredità politica e il potere
E così Augusto «arruolò» gli intellettuali
di Luciano Canfora
Nel «partito» di Cesare, nei luogotenenti che con Cesare avevano combattuto in Gallia e poi nella guerra civile contro Pompeo e il Senato, Ottaviano ha avuto i suoi avversari più tenaci. Li ha giocati gli uni contro gli altri, con alleanze tattiche durevoli fintanto che giovavano al suo unico fondamentale disegno: impadronirsi completamente dell'eredità politica e della successione di Cesare. In Antonio, fidato collaboratore e compagno d'arme di Cesare, ha avuto l'avversario più tenace e non ha avuto pace finché non l'ha annichilito completamente. «Dopo l'ultima sconfitta — narra Svetonio nella Vita di Augusto — Antonio fece un ultimo tentativo di pace, ma Augusto lo costrinse ad uccidersi e ne rimirò poi il cadavere». Solo con la scomparsa, anche fisica, di Antonio (31 a.C.), Augusto poté considerare di avere saldamente in mano l'intera eredità di Cesare e l'intero potere carismatico sull'esercito e sulla compagine statale. Erano passati tredici anni dalla morte di Cesare (44 a.C.): tredici lunghi anni di inesorabile, programmata, sapiente conquista del potere.
Diversamente da Cesare, che affrontava la polemica aperta anche con gli avversari sconfitti, Ottaviano, ormai divenuto Augusto, preferì irreggimentare, conquistandone ad uno ad uno i protagonisti, la vita intellettuale. Creò un'arte volta a glorificare la sua azione politica, le sue parole d'ordine. E soprattutto prevenne e zittì ogni voce che intendesse eventualmente esprimersi in modo dissonante. Gli scrittori cominciarono ad autocensurarsi: Virgilio, il maggiore, cancellò un intero pezzo delle Georgiche e lo sostituì con un'insulsa tirata sulle api. Poeti d'amore, come l'elegiaco Properzio, si misero a scrivere odi «romane», in cui si parlava del «principe», nei modi graditi alla sua propaganda; giovani promettenti e di bassa estrazione sociale come Orazio furono catturati e portati a scrivere odi di esaltazione del vincitore di Azio.
Naturalmente c'era anche chi riteneva di potersi non piegare. Un vecchio amico di Antonio, il generale Asinio Pollione, ritiratosi a vita privata già prima di Azio, decise di scrivere un'opera di storia che prendeva le mosse dal «primo triumvirato», cioè dagli esordi, trent'anni prima, di Caio Giulio Cesare: ma Orazio scrisse apposta un'ode per spiegargli che si trattava di un'iniziativa pericolosa. E ci fu anche chi decise di non scrivere più nulla, pur di non accodarsi al coro. Proprio perché promotore e artefice di un così forte controllo sulla cultura — per la prima volta nella storia di Roma — Augusto sapeva anche concedersi la civetteria della liberalità: come quando scoprì un nipote che leggeva di nascosto un libro di Cicerone, gli tolse dalla manica della tunica il libro, non rimproverò il fanciullo, ma disse pensosamente che l'autore in questione — della cui morte era stato a suo tempo corre