Remo e Romolo l’archeologia conferma il mito
Adele Cambria
10/02/2006, L’Unità, Roma
Presentato in Campidoglio il libro di Andrea Carandini sulle origini di Roma
MA PERCHÉ "Remo e Romolo", invece del "Romolo e Remo" a cui siamo abituati?
Così si interroga, nella Sala della Protomoteca, il Soprintendente capitolino Eugenio La Rocca, commentando il titolo del libro, che sta presentando, insieme ad Angelo Bottini, titolare della Soprintendenza Archeologica di Roma e del Lazio, e con l'intervento del Sindaco Veltroni: che arrivando tardi si scusa definendosi «un telecomando impazzito, almeno in certe giornate…».
E dunque, il libro è: «Remo e Romolo-Dai rioni dei Quiriti alla città dei Romani- 775/750-700/675 A.C.», Edizioni Einaudi gennaio 2006.
Ne è autore l'archeologo Andrea Carandini, che arricchisce così la sua ricostruzione delle origini di Roma.
Confermando che la leggenda di Remo e Romolo contiene nuclei di autenticità, testimoniati dalle crescenti scoperte archeologiche che egli stesso ha fatto esplorando il Palatino.
«Mezza generazione fa - scrive l'archeologo romano - quasi nulla si sapeva della prima Roma, dal punto di vista archeologico, capace di farci intendere le strutture portanti della sua storia originaria; ma la situazione è oggi molto diversa, per l'insieme dell' abitato, il complesso del Palatino e quello del Foro e dell'Arce/ Campidoglio».
La gran novità delle conoscenze acquisite oggi è l'anticipazione della data di nascita della città al primo quarto dell'ottavo secolo avanti Cristo: e Roma, afferma Carandini concludendo l'incontro in Campidoglio, «è nata grande, complessa e completa… Non è stata mai selvaggia... ».
Nell'ottavo secolo si situa il nucleo della leggenda di Remo e Romolo(ma già, perché "Remo e Romolo"? Perché Remo fu il primo ad uscire dal ventre della madre, Rea Silvia).
Ed all'ottavo secolo risalgono le scoperte "carandiniane": le mura del Palatino, la capanna delle Vestali, di fronte al Tempio di Vesta, la prima Casa dei Re…
Anche il Soprintendente Bottini, dopo aver riconosciuto all'autore l''invenzione di un nuovo genere letterario - «Una saggistica che dà conto delle scoperte archeologiche non solo in termini tecnici, ma le colloca in una polifonia culturale, sostituendo persino l'indicazione dei capitoli con riferimenti musicali…» - spiega come la collocazione cronologica carandiniana della fondazione della città - «di questa Roma che appare grande fin dall'inizio, e presuppone l'esistenza di un popolo già civile, quello dei Quiriti » - coincida con la saga dei gemelli.
Appunto, "Remo e Romolo".
I due grandi temi - vi si addentrano Bottini, La Rocca e finalmente l'autore del libro - sono l'uccisione di Remo ad opera del fratello, e la morte di Romolo, il primo Re, di cui il mito offre due versioni.
«Perché Romolo uccide Remo? » Un intero paragrafo del libro(esaurito e già in ristampa) risponde a questa domanda.
Riassumo: «Remo e Romolo - scrive l'archeologo - sono gemelli di eguale natura divina… Il loro destino muove dalla solidarietà gemellare ad una rivalità progressiva che porta all'uccisione di uno dei due: il predestinato all'insuccesso ».
Il fallimento di Remo - e qui la lettura carandiniana del mito sembra derivare dalla psicanalisi junghiana, in particolare da James Hillman, "Saggi sul puer" - dipende da quella «inclinazione contraria all'adultità e alle regole civili», che trascinano Remo, «eterno giovinetto, fino alla sfida al cosmo cittadino e alla morte per mano dell'eroico gemello ».
Il capitolo successivo pone l'altra domanda: «Perché i senatori squartano Romolo?»
La lettura che Carandini fa sua è quella dell'accettazione del doppio mito della morte di Romolo: squartato e sepolto, ciascun pezzo del suo cadavere, nella terra delle 30 "curie" che costituivano la città, e anche assunto in cielo, divinizzato. Ma già nella prefazione l'autore preannunciava: «Il tempo è stato fermato dal mito, il corpo civico e materiale di Roma è stato imbalsamato nella leggenda, ma noi vogliamo scavare, oltre che nella terra, nel cielo delle rappresentazioni…» E, offrendo infine alla città il risultato di vent'anni di fatiche - ed i due Soprintendenti e il Sindaco garantiscono la realizzazione di un Museo Archeologico Romano, dove sia materialmente visibile «la doppia stratigrafia della città e della sua leggenda» - l'archeologo/ scrittore ricorda sorridendo che il Tempio di Giove, le cui fondazioni sono state recuperate alla vista del pubblico, nel corso dell'allestimento della "nuova casa" firmata da Carlo Aymonino per il Marco Aurelio, «sta proprio qui, sotto le nostre sedie!
Adele Cambria
10/02/2006, L’Unità, Roma
Presentato in Campidoglio il libro di Andrea Carandini sulle origini di Roma
MA PERCHÉ "Remo e Romolo", invece del "Romolo e Remo" a cui siamo abituati?
Così si interroga, nella Sala della Protomoteca, il Soprintendente capitolino Eugenio La Rocca, commentando il titolo del libro, che sta presentando, insieme ad Angelo Bottini, titolare della Soprintendenza Archeologica di Roma e del Lazio, e con l'intervento del Sindaco Veltroni: che arrivando tardi si scusa definendosi «un telecomando impazzito, almeno in certe giornate…».
E dunque, il libro è: «Remo e Romolo-Dai rioni dei Quiriti alla città dei Romani- 775/750-700/675 A.C.», Edizioni Einaudi gennaio 2006.
Ne è autore l'archeologo Andrea Carandini, che arricchisce così la sua ricostruzione delle origini di Roma.
Confermando che la leggenda di Remo e Romolo contiene nuclei di autenticità, testimoniati dalle crescenti scoperte archeologiche che egli stesso ha fatto esplorando il Palatino.
«Mezza generazione fa - scrive l'archeologo romano - quasi nulla si sapeva della prima Roma, dal punto di vista archeologico, capace di farci intendere le strutture portanti della sua storia originaria; ma la situazione è oggi molto diversa, per l'insieme dell' abitato, il complesso del Palatino e quello del Foro e dell'Arce/ Campidoglio».
La gran novità delle conoscenze acquisite oggi è l'anticipazione della data di nascita della città al primo quarto dell'ottavo secolo avanti Cristo: e Roma, afferma Carandini concludendo l'incontro in Campidoglio, «è nata grande, complessa e completa… Non è stata mai selvaggia... ».
Nell'ottavo secolo si situa il nucleo della leggenda di Remo e Romolo(ma già, perché "Remo e Romolo"? Perché Remo fu il primo ad uscire dal ventre della madre, Rea Silvia).
Ed all'ottavo secolo risalgono le scoperte "carandiniane": le mura del Palatino, la capanna delle Vestali, di fronte al Tempio di Vesta, la prima Casa dei Re…
Anche il Soprintendente Bottini, dopo aver riconosciuto all'autore l''invenzione di un nuovo genere letterario - «Una saggistica che dà conto delle scoperte archeologiche non solo in termini tecnici, ma le colloca in una polifonia culturale, sostituendo persino l'indicazione dei capitoli con riferimenti musicali…» - spiega come la collocazione cronologica carandiniana della fondazione della città - «di questa Roma che appare grande fin dall'inizio, e presuppone l'esistenza di un popolo già civile, quello dei Quiriti » - coincida con la saga dei gemelli.
Appunto, "Remo e Romolo".
I due grandi temi - vi si addentrano Bottini, La Rocca e finalmente l'autore del libro - sono l'uccisione di Remo ad opera del fratello, e la morte di Romolo, il primo Re, di cui il mito offre due versioni.
«Perché Romolo uccide Remo? » Un intero paragrafo del libro(esaurito e già in ristampa) risponde a questa domanda.
Riassumo: «Remo e Romolo - scrive l'archeologo - sono gemelli di eguale natura divina… Il loro destino muove dalla solidarietà gemellare ad una rivalità progressiva che porta all'uccisione di uno dei due: il predestinato all'insuccesso ».
Il fallimento di Remo - e qui la lettura carandiniana del mito sembra derivare dalla psicanalisi junghiana, in particolare da James Hillman, "Saggi sul puer" - dipende da quella «inclinazione contraria all'adultità e alle regole civili», che trascinano Remo, «eterno giovinetto, fino alla sfida al cosmo cittadino e alla morte per mano dell'eroico gemello ».
Il capitolo successivo pone l'altra domanda: «Perché i senatori squartano Romolo?»
La lettura che Carandini fa sua è quella dell'accettazione del doppio mito della morte di Romolo: squartato e sepolto, ciascun pezzo del suo cadavere, nella terra delle 30 "curie" che costituivano la città, e anche assunto in cielo, divinizzato. Ma già nella prefazione l'autore preannunciava: «Il tempo è stato fermato dal mito, il corpo civico e materiale di Roma è stato imbalsamato nella leggenda, ma noi vogliamo scavare, oltre che nella terra, nel cielo delle rappresentazioni…» E, offrendo infine alla città il risultato di vent'anni di fatiche - ed i due Soprintendenti e il Sindaco garantiscono la realizzazione di un Museo Archeologico Romano, dove sia materialmente visibile «la doppia stratigrafia della città e della sua leggenda» - l'archeologo/ scrittore ricorda sorridendo che il Tempio di Giove, le cui fondazioni sono state recuperate alla vista del pubblico, nel corso dell'allestimento della "nuova casa" firmata da Carlo Aymonino per il Marco Aurelio, «sta proprio qui, sotto le nostre sedie!