Come ti confeziono una lezione di storia
di Marco Innocente Furina
19-NOV-2006 L’Unità
Erano circa quattro mila i romani rimasti fuori dell'Auditorium qualche domenica fa. In molti hanno fatto la fila sotto la pioggia sin dall'alba, ma non ce l'hanno fatta a entrare. Non sono stati tra i 1.200 fortunati che sono riusciti ad aggiudicarsi un posto nella sala Sinopoli. Delusi, se ne sono andati tra le proteste. A scatenare tanto entusiasmo non è stata l'esibizione di un divo del rock ma una lezione di storia: quella tenuta dall'archeologo Andrea Carandini sulla Fondazione di Roma. E non si è trattato di un caso, di un episodio isolato. Le stesse scene si sono ripetute per l'appuntamento successivo, quando lo storico Luciano Canfora ha parlato a una folla attenta e silenziosa di Ottaviano e la prima marcia su Roma. Né sembra che i successivi appuntamenti di Lezioni di Storia - il ciclo di conferenze organizzate da Laterza sulle giornate cruciali della storia mondiale svoltesi nella capitale - siano destinati a minor successo.
Un successo che ha dello straordinario se si pensa alla quantità di gente richiamata, e alla complessità dei temi trattati. «Mi era già capitato - assicura Canfora - di confrontarmi con una vasto pubblico su temi di un certo peso. Ricordo che a Milano, al teatro dal Verme, all'interno di una manifestazione simile organizzata da Utet, lessi alcun brani tratti dell'epistolario ciceroniano, anche lì con grande partecipazione di pubblico. Ma erano al massimo qualche centinaio di persone, la folla dell’Auditorium è, un'assoluta novità».
La folla appunto. Iniziative culturali fortunate non sono mai mancate ma questa volta sono stati i numeri - da concerto rock - a stupire. «È l'élite del ceto medio, la punta avanzata di una nuova, e più ampia, borghesia», spiega con passione Carandini: «All'interno di quella vasta classe che è il ceto medio si è differenziata un élite attenta alla cultura e ai suoi problemi. Non si tratta di una distinzione di reddito ma di interessi. Ma la cosa a mio avviso straordinaria è che per la prima volta nella storia del nostro paese queste persone colte, e anche agiate, rappresentano una vasta fascia di popolazione. La borghesia, quella vera, ricca di cultura oltre che di beni, è sempre esistita ma storicamente ha rappresentato un fatto minoritario. La fila davanti all'Auditorium è secondo me un segno visibile di un forte allargamento di questa categoria sociale». Un buon segno quello del consolidamento, anche culturale, della classe media, dato che una delle critiche più di sovente rivolte alla società italiana è l'evanescenza del suo ceto dirigente. «Un segno fantastico - rilancia l'illustre archeologo -. Bisogna assecondare questo movimento. Ormai è chiaro che d sono persone che chiedono cultura, che però non trovano da nessuna parte. Non di certo in televisione, ma neppure all'Università, che è un luogo ancora poco aperto alla società. Ecco perché bisogna avviare la trasformazione delle università, come pure delle soprintendenze e dei musei, in luoghi capaci di parlare al pubblico. E invece non esiste neanche un museo della città, un luogo che racconti la nascita e lo sviluppo di Roma, e ai Fori, per fare un esempio, non c'è nemmeno una didascalia. I monumenti, le rovine in particolare, vanno spiegati per esser fruibili. Sono molte le persone potenzialmente interessate a questi argomenti,, basta metterle in condizione di capire. È questa la ragione profonda del successo di una manifestazione intelligente e accattivante come Lezioni di Storia».
Un'analisi, quella di Carandini, che però non è totalmente condivisa da Luciano Canfora: «Io farei attenzione all'uso di categorie tradizionali come ceto medio. L'altro giorno davanti all'Università - racconta l'ordinario in filologia latina e greca all'Università di Bari - mi ha fermato un operaio edile e mi ha detto: tu sei Canfora, vai sempre a parlare in tv di storia contemporanea. Anche i muratori si occupano di storia? No, alle classificazioni tradizionali non credo molto. Mi sembra piuttosto che si sia in presenza di un moderno e trasversale proletariato intellettuale. Studenti universitari, professori di liceo, tutta gente che pensa, che legge, che discute ma con pochissime possibilità economiche. Le classi tradizionali, magari con più disponibilità economica, dimostrano invece un certo conservatorismo».
Chi sono allora veramente quelle migliaia di cittadini che hanno deciso di passare le loro domenica ad ascoltare una lezione di storia romana?
«Non parlerei di ceti - afferma Andrea Giardina, docente di storia romana all'Istituto italiano di scienze umane e prossimo protagonista della manifestazione - ma piuttosto di una categoria trasversale di persone che si sentono diverse, quasi una comunità. Gente che coltiva una passione, un interesse, che si ritiene e si colloca "dalla parte del libro". Di certo, per uno come me che ha cominciato a occuparsi di storia romana quando le cose antiche interessavano solo pochi specialisti, è una grande soddisfazione».
Un successo che per il professor Giardina si motiva anche con dei dati caratteristici della città: «Sono oramai 30 anni che si è fermata l’immigrazione interna verso Roma. C'è tutta una generazione di nuovi romani in cerca della proprie radici, di un rapporto più intimo con la città. E poi non dobbiamo dimenticare che negli ultimi anni la capitale ha goduto di una politica culturale che non ha paragoni nel resto d'Italia e questo ha innegabilmente creato un contesto adatto a questo tipo di iniziative».
Impegnarsi in una seria politica culturale alla lunga paga. Un'affermazione che sembrerebbe in contrasto con certe classifiche che relegano l'Italia sempre agli ultimi posti in Europa per spese in cultura e numero di libri letti, «il quadro - dice Alessandro Laterza, consigliere delegato della casa editrice barese - è più frastagliato. È vero che in Italia abbiamo una vastissima fascia di popolazione che non legge nemmeno un libro in un anno ma è altresì vero che esiste una solida élite colta, calcoliamo intorno a tre milioni di persone, che legge e legge parecchio. li chiamiamo lettori forti e sono coloro che leggono 12 o più libri l'anno. Un dato che pone il nostro paese, contrariamente a quanto si pensa, al vertice delle graduatorie mondiali, n riscontro positivo ottenuto dalla nostra iniziativa all'Auditorium è evidentemente il segno di una tendenza all'accrescimento di questo segmento di lettori».
In Italia dunque esisterebbe ormai una classe ampia e numerosa, sensibile con la testa, e con il portafogli, ai temi della cultura. Persone che non hanno tempo di frequentare l'università o i musei (anche perché questi ultimi sono troppo spesso istituzioni polverose e assolutamente incapaci di comunicare e rendersi attraenti nei confronti di un pubblico vasto), e,come ha scritto Michele Serra su Repubblica, in fuga dalla tv.
«Non si vede perché - accusa Alessandro Laterza - per seguire una trasmissione che parli di storia bisogna rifugiarsi sul satellite o in orari da film pornografico. Sì, a mio avviso quella coda davanti all'Auditorium era formata anche da persone stufe di un modello televisivo consumato».
Riportare la storia in televisione dunque?
«Perché no - continua l'editore barese - la storia è racconto, narrazione, un genere che si adatta bene alla televisione».
Un suggerimento questo che pare già essere stato accolto dai vertici di viale Mazzini. È notizia di qualche giorno fa che dal prossimo settembre la seconda serata di Raiuno si aprirà alla storia. L'idea è una trasmissione gestita da un uomo di cultura capace di fare audience. Si parla di Benigni o proprio di Carandini o Canfora. E dalla fine di novembre, sempre in seconda serata, Raidue trasmetterà una volta alla settimana La storia siamo noi di Giovanni Minoli. L'età dei grandi fratelli e di isolotti indiscreti volge al termine?
Forse no, ma che anche sua maestà televisione si sia accorta che l'informazione colta non è roba da appestati è segno che qualcosa sta davvero cambiando.
di Marco Innocente Furina
19-NOV-2006 L’Unità
Erano circa quattro mila i romani rimasti fuori dell'Auditorium qualche domenica fa. In molti hanno fatto la fila sotto la pioggia sin dall'alba, ma non ce l'hanno fatta a entrare. Non sono stati tra i 1.200 fortunati che sono riusciti ad aggiudicarsi un posto nella sala Sinopoli. Delusi, se ne sono andati tra le proteste. A scatenare tanto entusiasmo non è stata l'esibizione di un divo del rock ma una lezione di storia: quella tenuta dall'archeologo Andrea Carandini sulla Fondazione di Roma. E non si è trattato di un caso, di un episodio isolato. Le stesse scene si sono ripetute per l'appuntamento successivo, quando lo storico Luciano Canfora ha parlato a una folla attenta e silenziosa di Ottaviano e la prima marcia su Roma. Né sembra che i successivi appuntamenti di Lezioni di Storia - il ciclo di conferenze organizzate da Laterza sulle giornate cruciali della storia mondiale svoltesi nella capitale - siano destinati a minor successo.
Un successo che ha dello straordinario se si pensa alla quantità di gente richiamata, e alla complessità dei temi trattati. «Mi era già capitato - assicura Canfora - di confrontarmi con una vasto pubblico su temi di un certo peso. Ricordo che a Milano, al teatro dal Verme, all'interno di una manifestazione simile organizzata da Utet, lessi alcun brani tratti dell'epistolario ciceroniano, anche lì con grande partecipazione di pubblico. Ma erano al massimo qualche centinaio di persone, la folla dell’Auditorium è, un'assoluta novità».
La folla appunto. Iniziative culturali fortunate non sono mai mancate ma questa volta sono stati i numeri - da concerto rock - a stupire. «È l'élite del ceto medio, la punta avanzata di una nuova, e più ampia, borghesia», spiega con passione Carandini: «All'interno di quella vasta classe che è il ceto medio si è differenziata un élite attenta alla cultura e ai suoi problemi. Non si tratta di una distinzione di reddito ma di interessi. Ma la cosa a mio avviso straordinaria è che per la prima volta nella storia del nostro paese queste persone colte, e anche agiate, rappresentano una vasta fascia di popolazione. La borghesia, quella vera, ricca di cultura oltre che di beni, è sempre esistita ma storicamente ha rappresentato un fatto minoritario. La fila davanti all'Auditorium è secondo me un segno visibile di un forte allargamento di questa categoria sociale». Un buon segno quello del consolidamento, anche culturale, della classe media, dato che una delle critiche più di sovente rivolte alla società italiana è l'evanescenza del suo ceto dirigente. «Un segno fantastico - rilancia l'illustre archeologo -. Bisogna assecondare questo movimento. Ormai è chiaro che d sono persone che chiedono cultura, che però non trovano da nessuna parte. Non di certo in televisione, ma neppure all'Università, che è un luogo ancora poco aperto alla società. Ecco perché bisogna avviare la trasformazione delle università, come pure delle soprintendenze e dei musei, in luoghi capaci di parlare al pubblico. E invece non esiste neanche un museo della città, un luogo che racconti la nascita e lo sviluppo di Roma, e ai Fori, per fare un esempio, non c'è nemmeno una didascalia. I monumenti, le rovine in particolare, vanno spiegati per esser fruibili. Sono molte le persone potenzialmente interessate a questi argomenti,, basta metterle in condizione di capire. È questa la ragione profonda del successo di una manifestazione intelligente e accattivante come Lezioni di Storia».
Un'analisi, quella di Carandini, che però non è totalmente condivisa da Luciano Canfora: «Io farei attenzione all'uso di categorie tradizionali come ceto medio. L'altro giorno davanti all'Università - racconta l'ordinario in filologia latina e greca all'Università di Bari - mi ha fermato un operaio edile e mi ha detto: tu sei Canfora, vai sempre a parlare in tv di storia contemporanea. Anche i muratori si occupano di storia? No, alle classificazioni tradizionali non credo molto. Mi sembra piuttosto che si sia in presenza di un moderno e trasversale proletariato intellettuale. Studenti universitari, professori di liceo, tutta gente che pensa, che legge, che discute ma con pochissime possibilità economiche. Le classi tradizionali, magari con più disponibilità economica, dimostrano invece un certo conservatorismo».
Chi sono allora veramente quelle migliaia di cittadini che hanno deciso di passare le loro domenica ad ascoltare una lezione di storia romana?
«Non parlerei di ceti - afferma Andrea Giardina, docente di storia romana all'Istituto italiano di scienze umane e prossimo protagonista della manifestazione - ma piuttosto di una categoria trasversale di persone che si sentono diverse, quasi una comunità. Gente che coltiva una passione, un interesse, che si ritiene e si colloca "dalla parte del libro". Di certo, per uno come me che ha cominciato a occuparsi di storia romana quando le cose antiche interessavano solo pochi specialisti, è una grande soddisfazione».
Un successo che per il professor Giardina si motiva anche con dei dati caratteristici della città: «Sono oramai 30 anni che si è fermata l’immigrazione interna verso Roma. C'è tutta una generazione di nuovi romani in cerca della proprie radici, di un rapporto più intimo con la città. E poi non dobbiamo dimenticare che negli ultimi anni la capitale ha goduto di una politica culturale che non ha paragoni nel resto d'Italia e questo ha innegabilmente creato un contesto adatto a questo tipo di iniziative».
Impegnarsi in una seria politica culturale alla lunga paga. Un'affermazione che sembrerebbe in contrasto con certe classifiche che relegano l'Italia sempre agli ultimi posti in Europa per spese in cultura e numero di libri letti, «il quadro - dice Alessandro Laterza, consigliere delegato della casa editrice barese - è più frastagliato. È vero che in Italia abbiamo una vastissima fascia di popolazione che non legge nemmeno un libro in un anno ma è altresì vero che esiste una solida élite colta, calcoliamo intorno a tre milioni di persone, che legge e legge parecchio. li chiamiamo lettori forti e sono coloro che leggono 12 o più libri l'anno. Un dato che pone il nostro paese, contrariamente a quanto si pensa, al vertice delle graduatorie mondiali, n riscontro positivo ottenuto dalla nostra iniziativa all'Auditorium è evidentemente il segno di una tendenza all'accrescimento di questo segmento di lettori».
In Italia dunque esisterebbe ormai una classe ampia e numerosa, sensibile con la testa, e con il portafogli, ai temi della cultura. Persone che non hanno tempo di frequentare l'università o i musei (anche perché questi ultimi sono troppo spesso istituzioni polverose e assolutamente incapaci di comunicare e rendersi attraenti nei confronti di un pubblico vasto), e,come ha scritto Michele Serra su Repubblica, in fuga dalla tv.
«Non si vede perché - accusa Alessandro Laterza - per seguire una trasmissione che parli di storia bisogna rifugiarsi sul satellite o in orari da film pornografico. Sì, a mio avviso quella coda davanti all'Auditorium era formata anche da persone stufe di un modello televisivo consumato».
Riportare la storia in televisione dunque?
«Perché no - continua l'editore barese - la storia è racconto, narrazione, un genere che si adatta bene alla televisione».
Un suggerimento questo che pare già essere stato accolto dai vertici di viale Mazzini. È notizia di qualche giorno fa che dal prossimo settembre la seconda serata di Raiuno si aprirà alla storia. L'idea è una trasmissione gestita da un uomo di cultura capace di fare audience. Si parla di Benigni o proprio di Carandini o Canfora. E dalla fine di novembre, sempre in seconda serata, Raidue trasmetterà una volta alla settimana La storia siamo noi di Giovanni Minoli. L'età dei grandi fratelli e di isolotti indiscreti volge al termine?
Forse no, ma che anche sua maestà televisione si sia accorta che l'informazione colta non è roba da appestati è segno che qualcosa sta davvero cambiando.