Romolo fuori dal mito. Un libro di Andrea Carandini restituisce fondamento storico alla leggenda
SERGIO FRAU
la Repubblica, 30 gennaio 2006
Si legge a pagina 5: «Tratteremo di scavi, monumenti e miti. Scavi e monumenti sono argomenti attuali. I miti sembrerebbe dina Ma sbagliamo». Ed ancora, a pagina 9: «Noi vogliamo scavare oltre che nella terra, nel cielo delle rappresentazioni». Arriviamo a pagina 35: «Miti e leggende devono essere considerate da noi, oggi, come prodotti storici». A vederlo, firmato Einaudi, sembra solo una monografia su Romolo e Remo. Tanto che il titolo è Remo e Romolo: con Remo per primo, proprio come dicevano i Latini, iniziando sempre dal primogenito. E, certo, lo è: è uno studio dettagliatissimo, questo in cui Andrea Carandini, 68 anni, ex cattedra—dalla sua docenza di Archeologia classica a La Sapienza di Roma — spara buona parte delle sue cartucce che provano quel che da anni sostiene. E che cioè tutte quelle fole sui due gemelli—sul solco tracciato da Romolo al Palatino, sul sacrilegio di Remo che lo salta per
dileggio, sulla nascita di una struttura federativa e fondante fin dal VIII secolo a. C. (che, a breve, rianalizzerà con tre volumi della Fondazione Valla)—sono, ormai, ben dimostrate dall'archeologia. E che ormai si sono fatte realtà.
Venti anni di scavi ben mirati nel cuore più sacro di Roma — con migliaia di suoi studenti in corvée a setacciare terreno e passato — gli hanno permesso di ridisegnare quella Prima Roma che tutti pensavano fosse solo leggenda.
Vero il fossato di Romolo. Vero il primo muro al Palatino. Vero—e a disposizione degli altri studiosi che vogliono verificare — il luogo del Fuoco Sacro centrale e comune che confederava tutti, giù in basso al Santuario di Vesta.Vero— appena riscoperto in vecchi studi mal interpretati — persino il pavimento di un primo Foro della fine dell'VIII secolo a. C, sotto lo strato del VII che tutti conoscevano.
Vera anche la leggenda, quindi. Da interpretare con rispetto, acume e scientificità: ma vera!
E vero anche quel fondatore, Romolo, il «parvenu» di Alba, che — con idee urbanistiche ben chiare — fece un golpe all'antìca per creare la sua Roma, con le buone e con le cattive, visti tutti e li omicidi politici lì nei dintorni.
L'avevano snobbata la leggenda — o presa con le pinze —molti suoi colleghi che pur studiando quella Roma degli Inizi, l'hanno sempre considerata tardiva, quasi un'Atene de noantri: città-stato, sì, ma che decolla solo con i Tarquini nel VI secolo a. C.
Così quel feuilleton di Romolo e Remo era stato archiviato come un pateracchio di fantasie e memorie (mezzo greche e mezzo romane) che — come un puzzle, o addirittura un Frankestein — .alla fine, nel III e II secolo a. C, era poi riuscito a far convivere il fallo divino di Marte, la gravidanza scomoda della vestale Rea Silvia e la lupa lactans con un Enea a far da fiore all'occhiello, visto che un pò ' di Oriente, allora, aiutava a dar lustro.
E qui c'è l'altra faccia—gemella — di questo libro.
In realtà, dietro l'antica saga dei due gemelli/coltelli più famosi della Storia, c'è anche—come a far da sottrama a tutta la ricostruzione di questo poderoso e minuziosissimo saggio (in buona parte per addetti ai lavori)—una disfida assai stimolante e molto più attuale: archeologia contro archeologia.
Due metodi fratelli, a duello!
Lo scontro vero, infatti — che affiora fin dall'inizio e che appare sempre più evidente mammario che il libro perlustra la topografia più sacra della Prima Roma —è tra una certa archeologia sempre più autoptica (che, dopo aver sventrato il terreno con i suoi scavi, organizza, classifica, archivia reperti e referti ma senza mai cercare, nelle fonti classiche, la vita che li accompagnava) e quest'altra archeologia proposta da Carandini che, invece, sulle scoperte man mano riapparse, poi, ci ragiona su in tempo reale in modo da aggiornare giudizi e ricostruzioni.
Per farlo — quest'ultima —è obbligata a leggere e rileggere i testi d'epoca, interpretarli, compararli con miti, riti e realtà non solo nostri, slargando l'ottica a tutte le altre discipline utili a porsi domande giuste e a cercare le risposte più probabili per far avanzare la conoscenza della storia.
Così Carandini — per far capire la doppia attenzione che serve per studi come i suoi — dedica il libro sia ad Angelo Brelich (storico delle religioni) che a Renato Peroni, gran sacerdote della protostoria. E per questo, poi, via via lungo il percorso, ci s'imbatte nel Barthes di Mitid'oggi, nell'etnologia hawaiana, nelle teologie mediterranee.
Cosa, oggi, all'Archeologia serva di più—tra quelle autopsi e spesso solo notarili, l'antichistica fatta solo sui testi e questi ragionamenti investigativi scaturiti dal) 'archeologia—è ciò che il lettore potrà decìdere a fine libro.
Carandini, comunque, sa di averla fatta grossa. La sua ricerca si sviluppa per ben 573 pagine (33 euro il prezzo) e almeno cento — un po' perizie, un po' verbali, un po' mappali — sono da leggere anche con l'attenzione del topografo.
Scrive Carandini: «I Romani non distruggono alcunché, ma affiancano, variano e al temano, e questo è l'interstizio principale — non adeguatamente frequentato dagli antichisti—per accedere alla storia delle origini di Roma».
E lui fa lo stesso: sta attento a tutto. Lì dentro, in quel fazzolettone di terra che ha avuto il merito di diventare poi Caput Mundi, il professore si aggira con la sua lente d'ingrandimento, riportando pro-
ve e indizi.
Non osi saltar nulla: te le perlustri tutte, e con rispetto, le prime 270 pagine che analizzano per bene la scena dei futuri delitti, preparandoteli. E, via via, il libro ti sbalestra mille certezze, fabbricandotene però delle nuove: antiche come la Roma degli Inizi.
Atene e Roma? Sorelle: nate entrambi nel Vili secolo a. C: non «zia» e «nipote», come si pensava. I gemelli? Uno stereotipo mediterraneo: sembrano fotocopie di Esaù e Giacobbe, di Seth e Osiride, con Esaù, Seth e Remo a far la parte «anarchica» di chi mette in pericolo l'ordine costituito e che—quindi—va eliminato. Le Sabine? Non fu vero amore, quello: le donne a Roma, allora, c'erano eccome, tanto che le frustavano nei «Lupercalia».
Fu un atto di espansionismo, quello!
Il clou, però, arriva quando il professor Carandini si fa ispettore e si mette sotto a risolvere il caso Remo (variazione 11: «Perché Romolo uccide Remo?») e il caso Romolo (variazione 12: «Perché i senatori squartano Romolo?»).
E qui che si viene a sapere che, avesse vinto Remo, avremmo avuto una «Remora» al V miglio, invece di Roma; e che era tutto scritto visto che gli Dei patteggiavano per Romolo; e che Remo serviva anche da esempio: «Rappresentava il disordine, il contraltare all'imperium regale, quindi da uccidere»; e che, morto così giovane, coni suoi 18 anni incauti, è, sì, il pri-missimo Peter Pan, ma anche il Re dei Lemuri, i morti anzitempo, ricordo di quei sacrifìci umani che anche qui da noi si sono fatti per secoli.
Ed è, subito dopo — assistendo allo squartamento in 30 pezzi di un Romolo (cinquanta-duénne, azzardano le fonti) — che teologia, semiologia ed etnologìa ritmate con l'archeologia aiutano a far chiarezza sulle due versioni che, parallele, venivano date della sparizione del primo re: a) ridicolo pensare a senatori che s'imbrattano, inguantando sotto le tonache pezzi sanguinolenti di Romolo per nascondere il loro omicidio; b) assurdo prender per buono il decollo-apoteosi del Re Fondatore; e) rimane probabile la spartizione di quel suo corpo tra le trenta curie dì Roma, riunificate nel ricordo di quelle sue reliquieda conservare.
Una comunione d'antan, insomma.
Verso la fine — come un colpo di teatro, nascosto sotto un titoletto volutamente neutro: «Note a parte» — scorre di nuovo il sangue: stavolta, però, è Carandini contro isuoi fratelli, an-tichisti e archeologi che alla realtà della leggenda si ostinano a non credere. Qui il professore si fa un po' Remo — che osa saltar il fosso sacro della tradizione — ma anche un po' Romolo che ri-fonda la Prima Roma — partecipato, empatico, fedele agli Antichi — resuscitandone luoghi, riti e ritmi. Nelle 65 pagine che chiudono il libro arriva, a sorpresa, il «regolamento di conti» che tutto questo studio sembra aver preparato: qui il professore risponde colpo su colpo a chi l'ha attaccato senza la sufficiente serietà.
Per farlo usa tutte le armi che può. Il sarcasmo: «Per loro "antico" significa generalmente del VI secolo a. C». La linguistica:«Se fosse stata la Roma tarda del IV o del V a. C. a dare il nome al suo fondatore avremmo avuto un "Romanus" e non un "Romolus", che poi — ricordiamolo — vuoi dire Romoletto». L'ironia: «I Romani sono esistiti fin dall'alto arcaismo e a tale verità occorre rassegnarsi. Non è lecito ridurre l'universo al sistema solare solo perché è più vicino e di più facile intendimento». L'etica: «Spingersi nelle profondità meno note è per l'archeologo, più che una pretesa, un impegno professionale e di ricerca. A volte è necessario un po' di coraggio».
Insorama: «La storia si fa con i concetti e non con i preconcetti». E anche: «Non riconoscere per tempo le scoperte archeologiche—con la scusa della prudenza—è un altro modo di fare lo struzzo».
Il fosso è saltato. Il dibattito è aperto. Comunque gli Dèi della Città Eterna e, pure, Walter Veltroni sembrano fare il tifo per Carandini, la sua Roma e la storia che l'ha preceduta: giusta la settimana scorsa il Foro di Cesare ha restituito una nuova, elaborata, tomba a incinerazione. La sua data?X secolo a. C. E l'8 febbraio, alle 18, nella Protomoteca del Campidoglio, sarà il sindaco di Roma in persona a battezzare Remo e Romolo gli antichi gemelli tutti nuovi.
SERGIO FRAU
la Repubblica, 30 gennaio 2006
Si legge a pagina 5: «Tratteremo di scavi, monumenti e miti. Scavi e monumenti sono argomenti attuali. I miti sembrerebbe dina Ma sbagliamo». Ed ancora, a pagina 9: «Noi vogliamo scavare oltre che nella terra, nel cielo delle rappresentazioni». Arriviamo a pagina 35: «Miti e leggende devono essere considerate da noi, oggi, come prodotti storici». A vederlo, firmato Einaudi, sembra solo una monografia su Romolo e Remo. Tanto che il titolo è Remo e Romolo: con Remo per primo, proprio come dicevano i Latini, iniziando sempre dal primogenito. E, certo, lo è: è uno studio dettagliatissimo, questo in cui Andrea Carandini, 68 anni, ex cattedra—dalla sua docenza di Archeologia classica a La Sapienza di Roma — spara buona parte delle sue cartucce che provano quel che da anni sostiene. E che cioè tutte quelle fole sui due gemelli—sul solco tracciato da Romolo al Palatino, sul sacrilegio di Remo che lo salta per
dileggio, sulla nascita di una struttura federativa e fondante fin dal VIII secolo a. C. (che, a breve, rianalizzerà con tre volumi della Fondazione Valla)—sono, ormai, ben dimostrate dall'archeologia. E che ormai si sono fatte realtà.
Venti anni di scavi ben mirati nel cuore più sacro di Roma — con migliaia di suoi studenti in corvée a setacciare terreno e passato — gli hanno permesso di ridisegnare quella Prima Roma che tutti pensavano fosse solo leggenda.
Vero il fossato di Romolo. Vero il primo muro al Palatino. Vero—e a disposizione degli altri studiosi che vogliono verificare — il luogo del Fuoco Sacro centrale e comune che confederava tutti, giù in basso al Santuario di Vesta.Vero— appena riscoperto in vecchi studi mal interpretati — persino il pavimento di un primo Foro della fine dell'VIII secolo a. C, sotto lo strato del VII che tutti conoscevano.
Vera anche la leggenda, quindi. Da interpretare con rispetto, acume e scientificità: ma vera!
E vero anche quel fondatore, Romolo, il «parvenu» di Alba, che — con idee urbanistiche ben chiare — fece un golpe all'antìca per creare la sua Roma, con le buone e con le cattive, visti tutti e li omicidi politici lì nei dintorni.
L'avevano snobbata la leggenda — o presa con le pinze —molti suoi colleghi che pur studiando quella Roma degli Inizi, l'hanno sempre considerata tardiva, quasi un'Atene de noantri: città-stato, sì, ma che decolla solo con i Tarquini nel VI secolo a. C.
Così quel feuilleton di Romolo e Remo era stato archiviato come un pateracchio di fantasie e memorie (mezzo greche e mezzo romane) che — come un puzzle, o addirittura un Frankestein — .alla fine, nel III e II secolo a. C, era poi riuscito a far convivere il fallo divino di Marte, la gravidanza scomoda della vestale Rea Silvia e la lupa lactans con un Enea a far da fiore all'occhiello, visto che un pò ' di Oriente, allora, aiutava a dar lustro.
E qui c'è l'altra faccia—gemella — di questo libro.
In realtà, dietro l'antica saga dei due gemelli/coltelli più famosi della Storia, c'è anche—come a far da sottrama a tutta la ricostruzione di questo poderoso e minuziosissimo saggio (in buona parte per addetti ai lavori)—una disfida assai stimolante e molto più attuale: archeologia contro archeologia.
Due metodi fratelli, a duello!
Lo scontro vero, infatti — che affiora fin dall'inizio e che appare sempre più evidente mammario che il libro perlustra la topografia più sacra della Prima Roma —è tra una certa archeologia sempre più autoptica (che, dopo aver sventrato il terreno con i suoi scavi, organizza, classifica, archivia reperti e referti ma senza mai cercare, nelle fonti classiche, la vita che li accompagnava) e quest'altra archeologia proposta da Carandini che, invece, sulle scoperte man mano riapparse, poi, ci ragiona su in tempo reale in modo da aggiornare giudizi e ricostruzioni.
Per farlo — quest'ultima —è obbligata a leggere e rileggere i testi d'epoca, interpretarli, compararli con miti, riti e realtà non solo nostri, slargando l'ottica a tutte le altre discipline utili a porsi domande giuste e a cercare le risposte più probabili per far avanzare la conoscenza della storia.
Così Carandini — per far capire la doppia attenzione che serve per studi come i suoi — dedica il libro sia ad Angelo Brelich (storico delle religioni) che a Renato Peroni, gran sacerdote della protostoria. E per questo, poi, via via lungo il percorso, ci s'imbatte nel Barthes di Mitid'oggi, nell'etnologia hawaiana, nelle teologie mediterranee.
Cosa, oggi, all'Archeologia serva di più—tra quelle autopsi e spesso solo notarili, l'antichistica fatta solo sui testi e questi ragionamenti investigativi scaturiti dal) 'archeologia—è ciò che il lettore potrà decìdere a fine libro.
Carandini, comunque, sa di averla fatta grossa. La sua ricerca si sviluppa per ben 573 pagine (33 euro il prezzo) e almeno cento — un po' perizie, un po' verbali, un po' mappali — sono da leggere anche con l'attenzione del topografo.
Scrive Carandini: «I Romani non distruggono alcunché, ma affiancano, variano e al temano, e questo è l'interstizio principale — non adeguatamente frequentato dagli antichisti—per accedere alla storia delle origini di Roma».
E lui fa lo stesso: sta attento a tutto. Lì dentro, in quel fazzolettone di terra che ha avuto il merito di diventare poi Caput Mundi, il professore si aggira con la sua lente d'ingrandimento, riportando pro-
ve e indizi.
Non osi saltar nulla: te le perlustri tutte, e con rispetto, le prime 270 pagine che analizzano per bene la scena dei futuri delitti, preparandoteli. E, via via, il libro ti sbalestra mille certezze, fabbricandotene però delle nuove: antiche come la Roma degli Inizi.
Atene e Roma? Sorelle: nate entrambi nel Vili secolo a. C: non «zia» e «nipote», come si pensava. I gemelli? Uno stereotipo mediterraneo: sembrano fotocopie di Esaù e Giacobbe, di Seth e Osiride, con Esaù, Seth e Remo a far la parte «anarchica» di chi mette in pericolo l'ordine costituito e che—quindi—va eliminato. Le Sabine? Non fu vero amore, quello: le donne a Roma, allora, c'erano eccome, tanto che le frustavano nei «Lupercalia».
Fu un atto di espansionismo, quello!
Il clou, però, arriva quando il professor Carandini si fa ispettore e si mette sotto a risolvere il caso Remo (variazione 11: «Perché Romolo uccide Remo?») e il caso Romolo (variazione 12: «Perché i senatori squartano Romolo?»).
E qui che si viene a sapere che, avesse vinto Remo, avremmo avuto una «Remora» al V miglio, invece di Roma; e che era tutto scritto visto che gli Dei patteggiavano per Romolo; e che Remo serviva anche da esempio: «Rappresentava il disordine, il contraltare all'imperium regale, quindi da uccidere»; e che, morto così giovane, coni suoi 18 anni incauti, è, sì, il pri-missimo Peter Pan, ma anche il Re dei Lemuri, i morti anzitempo, ricordo di quei sacrifìci umani che anche qui da noi si sono fatti per secoli.
Ed è, subito dopo — assistendo allo squartamento in 30 pezzi di un Romolo (cinquanta-duénne, azzardano le fonti) — che teologia, semiologia ed etnologìa ritmate con l'archeologia aiutano a far chiarezza sulle due versioni che, parallele, venivano date della sparizione del primo re: a) ridicolo pensare a senatori che s'imbrattano, inguantando sotto le tonache pezzi sanguinolenti di Romolo per nascondere il loro omicidio; b) assurdo prender per buono il decollo-apoteosi del Re Fondatore; e) rimane probabile la spartizione di quel suo corpo tra le trenta curie dì Roma, riunificate nel ricordo di quelle sue reliquieda conservare.
Una comunione d'antan, insomma.
Verso la fine — come un colpo di teatro, nascosto sotto un titoletto volutamente neutro: «Note a parte» — scorre di nuovo il sangue: stavolta, però, è Carandini contro isuoi fratelli, an-tichisti e archeologi che alla realtà della leggenda si ostinano a non credere. Qui il professore si fa un po' Remo — che osa saltar il fosso sacro della tradizione — ma anche un po' Romolo che ri-fonda la Prima Roma — partecipato, empatico, fedele agli Antichi — resuscitandone luoghi, riti e ritmi. Nelle 65 pagine che chiudono il libro arriva, a sorpresa, il «regolamento di conti» che tutto questo studio sembra aver preparato: qui il professore risponde colpo su colpo a chi l'ha attaccato senza la sufficiente serietà.
Per farlo usa tutte le armi che può. Il sarcasmo: «Per loro "antico" significa generalmente del VI secolo a. C». La linguistica:«Se fosse stata la Roma tarda del IV o del V a. C. a dare il nome al suo fondatore avremmo avuto un "Romanus" e non un "Romolus", che poi — ricordiamolo — vuoi dire Romoletto». L'ironia: «I Romani sono esistiti fin dall'alto arcaismo e a tale verità occorre rassegnarsi. Non è lecito ridurre l'universo al sistema solare solo perché è più vicino e di più facile intendimento». L'etica: «Spingersi nelle profondità meno note è per l'archeologo, più che una pretesa, un impegno professionale e di ricerca. A volte è necessario un po' di coraggio».
Insorama: «La storia si fa con i concetti e non con i preconcetti». E anche: «Non riconoscere per tempo le scoperte archeologiche—con la scusa della prudenza—è un altro modo di fare lo struzzo».
Il fosso è saltato. Il dibattito è aperto. Comunque gli Dèi della Città Eterna e, pure, Walter Veltroni sembrano fare il tifo per Carandini, la sua Roma e la storia che l'ha preceduta: giusta la settimana scorsa il Foro di Cesare ha restituito una nuova, elaborata, tomba a incinerazione. La sua data?X secolo a. C. E l'8 febbraio, alle 18, nella Protomoteca del Campidoglio, sarà il sindaco di Roma in persona a battezzare Remo e Romolo gli antichi gemelli tutti nuovi.