Palatino, scoperta la Casa delle vestali
Paolo Brogi
Corriere della Sera - cronaca Roma 15/9/2005
Riportata alla luce la «capanna delle vestali», mitica costruzione dell'VIII secolo che sorgeva accanto al tempio dedicato alla dea e nei pressi delle «case dei re» sotto il Palatino. Focolari, piani di cottura, buchi di pali, ricettacoli per cereali e un ovale perimetrale, all'interno di un muro perimetrale di 85 centimetri che delimitava il recinto sacro. La scoperta e la datazione eseguite dall'equipe di archeologi di Andrea Carandini, che da oltre vent'anni scava alle pendici del Palatino. Spiega l'archeologo: «II ritrovamento dimostra che non abbiamo solo un muro intorno al Palatino ma anche un muro dell'area sacra che faceva parte del complesso del Foro, insomma le due grandi imprese di Romolo che dopo aver tracciato il solco intorno al Palatino ha creato anche il centro sacrale e politico dello stato».
«Qui finisce il lavoro da archeologo e comincia quello da geologo. La storia si ferma a questo livello, questo è il cuore di Roma...». Ha la forma di una macchia bianca di argilla il «punto zero» della storia di Roma. Ma è proprio qui in mezzo agli assolati e frequentatissimi Fori che Andrea Carandini - l'archeologo che da oltre vent'anni scava questo pendio alle falde del Palatino e della collina Velia su cui sorge l'arco di Tito - ha fatto la più grande scoperta che si potesse sperare di fare dopo il clamoroso ritrovamento, un anno fa, delle «case dei re» poco più ad est.
Riportata ora alla luce, e finalmente datata, la capanna delle vestali, la mitica struttura dell'VIII secolo a.C. sorta come una delle primissime «opere pubbliche» nella Roma di Romolo accanto alla capanna tempio dello stesso culto, quest'ultima inglobata poi nel corso dei secoli dal tempio medesimo di cui si ammirano oggi i resti del II secolo d.C. eretto sotto Settimio Severo a poca distanza dall'area delimitata per gli scavi. «Il culto di Vesta - spiega Carandini - ha per Roma lo stesso valore che Hestìa aveva per la polis greca, rappresenta l'idea stessa della città e ne costituisce l'inizio della storia. Il culto di Vesta è il culto del focolare pubblico della città. Per questo la capanna delle sacerdotesse è qualcosa di più di una capanna, in un tempo in cui le case non esistevano. Le case sarebbero venute molto dopo, a partire dal 650 a.C».
La capanna è emersa come un regalo inaspettato con i suoi focolari, i piani di cottura, i buchi dei pali, i ricettacoli per i cereali, l'intero ovale della struttura che doveva essere larga quattro metri e mezzo e lunga probabilmente una decina. E poi dal terriccio ecco uscire anche preziosi pezzetti di ceramica, certamente databili all'VIII secolo, uno del periodo tardo geometrico greco con linee marroncine e giallognole che si alternano, l'altro romano più tardo con un elegante airone dipinto. Di pezzi così, finora, a Roma ne erano stati trovati solo altri otto, di cui due recentemente nelle capanne regie e il resto nello scavo di Sant'Omobono, vicino all'Anagrafe.
La capanna è stata scoperta e subito reinterrata, per evitare danneggiamenti irreparabili nonostante che l'area degli scavi proprio in mezzo alle carovane di turisti che affollano i Fori sia completamente recintata. Quando è riaffiorata con i suoi tesori a undici metri di profondità, rispetto al livello raggiunto qui nel 1600 e ancor oggi rappresentato dalla vicina chiesa di San Lorenzo in Miranda che sembra galleggiare sopra il tempio di Antonino e Faustina, a far da cornice all'evento miracoloso sotto il solleone di agosto non c'era quasi nessuno. Poi l'equipe di Andrea Carandini ha trovato anche il muro che delimitava il santuario, un muro perimetrale dell'VIII secolo largo almeno 85 centimetri che giaceva nascosto sotto il «Vicus Vestae» e che sorge a partire da quel mitico impiantito bianco sotto il quale non ci dovrebbe essere più nulla. Per recuperare quel muraglione gli archeologi hanno dovuto scavare in un intrico di muri che vanno dal 150 a.C. al 700 a.C, l'ultimo strato sotto il quale giaceva interrato il muraglione originario del santuario voluto dai primissimi re di Roma. Per Carandini quel muro, ritrovato accanto a un grosso strato di semi di farro alto quattro centimetri che ricopriva il vicolo originario in tutta la sua lunghezza, è stata la conferma definitiva.
«I semi di farro bruciacchiati rinviano alla pratica della "mola salsa", da cui deriva il termine immolare -spiega Nikolaos Arvanitis, responsabile operativo dello scavo -. Le vestali bruciavano i semi per farci una polvere che veniva cosparsa addosso alle vittime sacrificali. Noi ne abbiamo raccolti oltre tre sacchetti». Andrea Carandini è più che soddisfatto della sua scoperta. In fin dei conti ha operato da archeologo in una zona che era stata già indagata nel passato da altri colleghi, spinti però da ottiche completamente diverse. «I miei predecessori si erano arrestati ai primi muri, in fin dei conti cercavano soltanto grandi manufatti come statue e muri in opera quadrata, non erano interessati a ricostruire la stratificazione delle strutture, non cercavano capanne. Per me invece questo è stato il naturale completamento di una campagna di scavi iniziata vent'anni fa e che pian piano mi ha portato fin qui, al termine di un comprensorio grande un ettaro. Così ho trovato le case dei primi re, fino ai Tarquini che avevano poi deciso di vivere fuori del santuario di Vesta. E così ora dopo aver identificato i limiti del santuario che comprendeva anche un bosco sacro e le due capanne, siamo riusciti ad identificare quella delle vestali antistante il tempio, peraltro compresa all'interno del muro di limite del santuario. La scoperta dimostra che non abbiamo solo un muro intorno al Palatino ma anche un muro dell'area sacra che faceva parte del complesso del Foro, insomma le due grandi imprese di Romolo che dopo aver tracciato il solco intorno al Palatino ha creato anche il centro sacrale e politico dello stato incentrato tra il foro e il campidoglio».
Paolo Brogi
Corriere della Sera - cronaca Roma 15/9/2005
Riportata alla luce la «capanna delle vestali», mitica costruzione dell'VIII secolo che sorgeva accanto al tempio dedicato alla dea e nei pressi delle «case dei re» sotto il Palatino. Focolari, piani di cottura, buchi di pali, ricettacoli per cereali e un ovale perimetrale, all'interno di un muro perimetrale di 85 centimetri che delimitava il recinto sacro. La scoperta e la datazione eseguite dall'equipe di archeologi di Andrea Carandini, che da oltre vent'anni scava alle pendici del Palatino. Spiega l'archeologo: «II ritrovamento dimostra che non abbiamo solo un muro intorno al Palatino ma anche un muro dell'area sacra che faceva parte del complesso del Foro, insomma le due grandi imprese di Romolo che dopo aver tracciato il solco intorno al Palatino ha creato anche il centro sacrale e politico dello stato».
«Qui finisce il lavoro da archeologo e comincia quello da geologo. La storia si ferma a questo livello, questo è il cuore di Roma...». Ha la forma di una macchia bianca di argilla il «punto zero» della storia di Roma. Ma è proprio qui in mezzo agli assolati e frequentatissimi Fori che Andrea Carandini - l'archeologo che da oltre vent'anni scava questo pendio alle falde del Palatino e della collina Velia su cui sorge l'arco di Tito - ha fatto la più grande scoperta che si potesse sperare di fare dopo il clamoroso ritrovamento, un anno fa, delle «case dei re» poco più ad est.
Riportata ora alla luce, e finalmente datata, la capanna delle vestali, la mitica struttura dell'VIII secolo a.C. sorta come una delle primissime «opere pubbliche» nella Roma di Romolo accanto alla capanna tempio dello stesso culto, quest'ultima inglobata poi nel corso dei secoli dal tempio medesimo di cui si ammirano oggi i resti del II secolo d.C. eretto sotto Settimio Severo a poca distanza dall'area delimitata per gli scavi. «Il culto di Vesta - spiega Carandini - ha per Roma lo stesso valore che Hestìa aveva per la polis greca, rappresenta l'idea stessa della città e ne costituisce l'inizio della storia. Il culto di Vesta è il culto del focolare pubblico della città. Per questo la capanna delle sacerdotesse è qualcosa di più di una capanna, in un tempo in cui le case non esistevano. Le case sarebbero venute molto dopo, a partire dal 650 a.C».
La capanna è emersa come un regalo inaspettato con i suoi focolari, i piani di cottura, i buchi dei pali, i ricettacoli per i cereali, l'intero ovale della struttura che doveva essere larga quattro metri e mezzo e lunga probabilmente una decina. E poi dal terriccio ecco uscire anche preziosi pezzetti di ceramica, certamente databili all'VIII secolo, uno del periodo tardo geometrico greco con linee marroncine e giallognole che si alternano, l'altro romano più tardo con un elegante airone dipinto. Di pezzi così, finora, a Roma ne erano stati trovati solo altri otto, di cui due recentemente nelle capanne regie e il resto nello scavo di Sant'Omobono, vicino all'Anagrafe.
La capanna è stata scoperta e subito reinterrata, per evitare danneggiamenti irreparabili nonostante che l'area degli scavi proprio in mezzo alle carovane di turisti che affollano i Fori sia completamente recintata. Quando è riaffiorata con i suoi tesori a undici metri di profondità, rispetto al livello raggiunto qui nel 1600 e ancor oggi rappresentato dalla vicina chiesa di San Lorenzo in Miranda che sembra galleggiare sopra il tempio di Antonino e Faustina, a far da cornice all'evento miracoloso sotto il solleone di agosto non c'era quasi nessuno. Poi l'equipe di Andrea Carandini ha trovato anche il muro che delimitava il santuario, un muro perimetrale dell'VIII secolo largo almeno 85 centimetri che giaceva nascosto sotto il «Vicus Vestae» e che sorge a partire da quel mitico impiantito bianco sotto il quale non ci dovrebbe essere più nulla. Per recuperare quel muraglione gli archeologi hanno dovuto scavare in un intrico di muri che vanno dal 150 a.C. al 700 a.C, l'ultimo strato sotto il quale giaceva interrato il muraglione originario del santuario voluto dai primissimi re di Roma. Per Carandini quel muro, ritrovato accanto a un grosso strato di semi di farro alto quattro centimetri che ricopriva il vicolo originario in tutta la sua lunghezza, è stata la conferma definitiva.
«I semi di farro bruciacchiati rinviano alla pratica della "mola salsa", da cui deriva il termine immolare -spiega Nikolaos Arvanitis, responsabile operativo dello scavo -. Le vestali bruciavano i semi per farci una polvere che veniva cosparsa addosso alle vittime sacrificali. Noi ne abbiamo raccolti oltre tre sacchetti». Andrea Carandini è più che soddisfatto della sua scoperta. In fin dei conti ha operato da archeologo in una zona che era stata già indagata nel passato da altri colleghi, spinti però da ottiche completamente diverse. «I miei predecessori si erano arrestati ai primi muri, in fin dei conti cercavano soltanto grandi manufatti come statue e muri in opera quadrata, non erano interessati a ricostruire la stratificazione delle strutture, non cercavano capanne. Per me invece questo è stato il naturale completamento di una campagna di scavi iniziata vent'anni fa e che pian piano mi ha portato fin qui, al termine di un comprensorio grande un ettaro. Così ho trovato le case dei primi re, fino ai Tarquini che avevano poi deciso di vivere fuori del santuario di Vesta. E così ora dopo aver identificato i limiti del santuario che comprendeva anche un bosco sacro e le due capanne, siamo riusciti ad identificare quella delle vestali antistante il tempio, peraltro compresa all'interno del muro di limite del santuario. La scoperta dimostra che non abbiamo solo un muro intorno al Palatino ma anche un muro dell'area sacra che faceva parte del complesso del Foro, insomma le due grandi imprese di Romolo che dopo aver tracciato il solco intorno al Palatino ha creato anche il centro sacrale e politico dello stato incentrato tra il foro e il campidoglio».