martedì 29 dicembre 2009

Quelle vie dell’antica Roma che non sono tutelate

Quelle vie dell’antica Roma che non sono tutelate
Maria Luna Moltedo
Terra 28/12/2009

RCHEOLOGIA. Le strade costruite dai Romani sono opere di alta ingegneria. Insieme alla costruzione di acquedotti e cloache rappresentano il loro contribuito alla storia degli impianti di pubblica utilità. Ma l’urbanizzazione selvaggia e l’abusivismo dei nostri giorni mettono a rischio gli antichi tracciati di comunicazione. I casi dell’Appia Antica e della Domiziana.

E’ di queste settimane la notizia che nel corso dei lavori di ampliamento della via Collatina sono affiorati i poligoni di basalto dello storico percorso che univa l’antica Collatia a Gabi. La Collatina iniziava come diramazione dalla via Tiburtina antica, poco dopo l’uscita dalle mura Aureliane presso Porta Tiburtina. La via degli Apuli, nel quartiere di San Lorenzo, corre esattamente sul percorso dell’antica via romana. La via Collatina finiva al castello di Lunghezza dove era situata l’antica città di Collatia, di cui parla Tito Livio. Lo storico romano scrive che qui la nobildonna Lucrezia, moglie di Collatino, venne oltraggiata da Sestio, signore della città, figlio del re Tarquinio il Superbo. Il tracciato della via Collatina è noto punto per punto. Ma uno scavo archeologico sarebbe anche l’occasione per rileggere la storia di questo territorio devastato da interventi urbanistici poco armonici con il paesaggio circostante.

Come la Collatina, pur essendo un tracciato minore, nell’antico Impero Ro mano le strade erano importantissime perché collegavano l’Urbe con terre molto lontane; favorivano inoltre i commerci e l’incontro con nuove culture. Due famosi storici come Dionigi di Alicarnasso e Strabone ritenevano che la grandezza dei Romani risiedesse proprio in tre grandi opere di pubblica utilità: le strade, gli acquedotti e le cloache. Se i Greci trascurarono questa tipologia di infrastrutture, non certo lo fecero i Romani che prendevano in considerazione i tre principi enumerati da Vitruvio sulla costruzione delle strade: la solidità, l’utilità e la bellezza. Ma se l’estetica, oltre alla funzionalità, era molto importante per gli antichi Romani, non sembra esserlo altrettanto ai tempi nostri in cui la volgarizzazione del paesaggio, attraverso il continuo tentativo di cementificare, ha la meglio. Infatti da sempre in Italia si lotta contro l’urbanizzazione selvaggia, l’abusivismo, la distruzione della continuità storica e ambientale del territorio.

Un esempio su tutti è quello dell’Appia Antica, anche detta Regina Viarum, che nel passato, anche recente, ha rischiato di essere sommersa dal cemento: i piani regolatori prevedevano la costruzione di interi quartieri a pochi metri dai monumenti, o addirittura dentro la Villa dei Quintili. Ai tentativi di cementificazione selvaggia si opposero Legambiente, gruppi di architetti, urbanisti e intellettuali come Antonio Cederna di Italia Nostra. La battaglia durò decenni e dura tutt’oggi, nonostante nel 1988 la Regione Lazio abbia approvato l’istituzione del Parco dell’Appia. Un altro esempio di cementificazione, in questo caso realmente avvenuta, di un’antica strada romana è quello della via Domiziana nei pressi di Castel Volturno, in Campania. Sulla via Domiziana sono state costruite abitazioni e hotel, oggi fatiscenti, proprio a ridosso dell’antica strada soggetta a vincoli archeologico-paesaggistici.

Questi due esempi, tra i tanti tentativi di cementificazione selvaggia, devono far riflettere: è saggio portare alla luce antichi basoli, come nel caso di queste settimane sulla via Collatina, se poi sono soggetti a continue violazio ni? Forse troppo spesso la storia cade nell’oblio, ci si dimentica che l’immenso complesso di strade realizzate dai Romani rappresenta un’opera di straordinaria ingegneria. Con i loro complessivi 100mila km circa sono certamente il monumento più “lungo” che ci è stato consegnato per la tutela e il più grande contributo di Roma allo sviluppo della civiltà. Esistono anche strade romane il cui nome deriva dalla funzione commerciale a cui erano adibite, ad esempio la via Salaria che serviva per i traffici del sale, o dalla località verso cui si dirigevano: la via Labicana (per Labicum), la via Tiburtina (per Tibur), la via Ficulensis chiamata poi Nomentana (per Ficulensis, ma poi per Nomentum) e così via. Troppo spesso si dimentica l’esempio più significativo di strada romana che, fortunatamente, non è stata ancora oggetto dei tentativi di cementificazione selvaggi: la via Claudia Augusta.

La strada attraversava il territorio della X Regio, costeggiando il corso del Piave, percorreva la Valsugana, oltrepassava Trento, seguendo la valle dell’Adige, poi Bolzano e Merano, varcando infine le Alpi al Passo Resia. Si tratta di una via tra le più articolate perché attraversava paesaggi molto vari, toccava delle zone ricche di cultura preromana e romana, superava le Alpi, portava in un Paese di frontiera sospeso tra la gloria della romanizzazione e il rischio delle incursioni barbariche dal Nord. Oggi il suo tracciato permane intatto in alcuni brevi tratti locali ed è rintracciabile nella senti eristica e nella viabilità minore di montagna. È un iter che porta dal mondo germanico al mondo latino, passando per zone “biculturali” o “multiculturali”, quali ad esempio l’Alto Adige. È una via che vive ancora, che può essere ripercorsa facilmente e che ci fa studiare i vari strati delle culture alpine, venete e bavaresi in un continuo susseguirsi di testimonianze culturali. La via Claudia Augusta si presta proprio come esempio di strada, in un’ottica di multiculturalità, in una dimensione di tutela del bello e della storia. Una strada è perciò risorsa che dovrebbe unire invece di dividere in nome del potere del cemento.
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nota. nella foto, dal nostro archivio: Veduta della Via Appia.