martedì 29 dicembre 2009

Genealogia di Romolo

Genealogia di Romolo

Bassorilievo Arco di Tito

Bassorilievo Arco di Tito

Quelle vie dell’antica Roma che non sono tutelate

Quelle vie dell’antica Roma che non sono tutelate
Maria Luna Moltedo
Terra 28/12/2009

RCHEOLOGIA. Le strade costruite dai Romani sono opere di alta ingegneria. Insieme alla costruzione di acquedotti e cloache rappresentano il loro contribuito alla storia degli impianti di pubblica utilità. Ma l’urbanizzazione selvaggia e l’abusivismo dei nostri giorni mettono a rischio gli antichi tracciati di comunicazione. I casi dell’Appia Antica e della Domiziana.

E’ di queste settimane la notizia che nel corso dei lavori di ampliamento della via Collatina sono affiorati i poligoni di basalto dello storico percorso che univa l’antica Collatia a Gabi. La Collatina iniziava come diramazione dalla via Tiburtina antica, poco dopo l’uscita dalle mura Aureliane presso Porta Tiburtina. La via degli Apuli, nel quartiere di San Lorenzo, corre esattamente sul percorso dell’antica via romana. La via Collatina finiva al castello di Lunghezza dove era situata l’antica città di Collatia, di cui parla Tito Livio. Lo storico romano scrive che qui la nobildonna Lucrezia, moglie di Collatino, venne oltraggiata da Sestio, signore della città, figlio del re Tarquinio il Superbo. Il tracciato della via Collatina è noto punto per punto. Ma uno scavo archeologico sarebbe anche l’occasione per rileggere la storia di questo territorio devastato da interventi urbanistici poco armonici con il paesaggio circostante.

Come la Collatina, pur essendo un tracciato minore, nell’antico Impero Ro mano le strade erano importantissime perché collegavano l’Urbe con terre molto lontane; favorivano inoltre i commerci e l’incontro con nuove culture. Due famosi storici come Dionigi di Alicarnasso e Strabone ritenevano che la grandezza dei Romani risiedesse proprio in tre grandi opere di pubblica utilità: le strade, gli acquedotti e le cloache. Se i Greci trascurarono questa tipologia di infrastrutture, non certo lo fecero i Romani che prendevano in considerazione i tre principi enumerati da Vitruvio sulla costruzione delle strade: la solidità, l’utilità e la bellezza. Ma se l’estetica, oltre alla funzionalità, era molto importante per gli antichi Romani, non sembra esserlo altrettanto ai tempi nostri in cui la volgarizzazione del paesaggio, attraverso il continuo tentativo di cementificare, ha la meglio. Infatti da sempre in Italia si lotta contro l’urbanizzazione selvaggia, l’abusivismo, la distruzione della continuità storica e ambientale del territorio.

Un esempio su tutti è quello dell’Appia Antica, anche detta Regina Viarum, che nel passato, anche recente, ha rischiato di essere sommersa dal cemento: i piani regolatori prevedevano la costruzione di interi quartieri a pochi metri dai monumenti, o addirittura dentro la Villa dei Quintili. Ai tentativi di cementificazione selvaggia si opposero Legambiente, gruppi di architetti, urbanisti e intellettuali come Antonio Cederna di Italia Nostra. La battaglia durò decenni e dura tutt’oggi, nonostante nel 1988 la Regione Lazio abbia approvato l’istituzione del Parco dell’Appia. Un altro esempio di cementificazione, in questo caso realmente avvenuta, di un’antica strada romana è quello della via Domiziana nei pressi di Castel Volturno, in Campania. Sulla via Domiziana sono state costruite abitazioni e hotel, oggi fatiscenti, proprio a ridosso dell’antica strada soggetta a vincoli archeologico-paesaggistici.

Questi due esempi, tra i tanti tentativi di cementificazione selvaggia, devono far riflettere: è saggio portare alla luce antichi basoli, come nel caso di queste settimane sulla via Collatina, se poi sono soggetti a continue violazio ni? Forse troppo spesso la storia cade nell’oblio, ci si dimentica che l’immenso complesso di strade realizzate dai Romani rappresenta un’opera di straordinaria ingegneria. Con i loro complessivi 100mila km circa sono certamente il monumento più “lungo” che ci è stato consegnato per la tutela e il più grande contributo di Roma allo sviluppo della civiltà. Esistono anche strade romane il cui nome deriva dalla funzione commerciale a cui erano adibite, ad esempio la via Salaria che serviva per i traffici del sale, o dalla località verso cui si dirigevano: la via Labicana (per Labicum), la via Tiburtina (per Tibur), la via Ficulensis chiamata poi Nomentana (per Ficulensis, ma poi per Nomentum) e così via. Troppo spesso si dimentica l’esempio più significativo di strada romana che, fortunatamente, non è stata ancora oggetto dei tentativi di cementificazione selvaggi: la via Claudia Augusta.

La strada attraversava il territorio della X Regio, costeggiando il corso del Piave, percorreva la Valsugana, oltrepassava Trento, seguendo la valle dell’Adige, poi Bolzano e Merano, varcando infine le Alpi al Passo Resia. Si tratta di una via tra le più articolate perché attraversava paesaggi molto vari, toccava delle zone ricche di cultura preromana e romana, superava le Alpi, portava in un Paese di frontiera sospeso tra la gloria della romanizzazione e il rischio delle incursioni barbariche dal Nord. Oggi il suo tracciato permane intatto in alcuni brevi tratti locali ed è rintracciabile nella senti eristica e nella viabilità minore di montagna. È un iter che porta dal mondo germanico al mondo latino, passando per zone “biculturali” o “multiculturali”, quali ad esempio l’Alto Adige. È una via che vive ancora, che può essere ripercorsa facilmente e che ci fa studiare i vari strati delle culture alpine, venete e bavaresi in un continuo susseguirsi di testimonianze culturali. La via Claudia Augusta si presta proprio come esempio di strada, in un’ottica di multiculturalità, in una dimensione di tutela del bello e della storia. Una strada è perciò risorsa che dovrebbe unire invece di dividere in nome del potere del cemento.
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nota. nella foto, dal nostro archivio: Veduta della Via Appia.

Panorama da imperatore. L’area archeologica del Palatino si arricchisce da oggi delle Mura Severiane.

Panorama da imperatore.
L’area archeologica del Palatino si arricchisce da oggi delle Mura Severiane.
E POLIS – 29 dicembre 2009

La sezione offre una vista mozzaflato, che dal Circo Massimo abbraccia San Pietro fino al Celio.

Dopo la Vigna Barberini, recentemente aperta al pubblico, il percorso di visita dell'area archeologica del Palatino si arricchisce da oggi di un'altra straordinaria sezione: le Arcate Severiane. Fu domiziano alla fine del primo secolo ad inaugurare il cantiere su questo versante del colle, dove costruì lo Stadio Palatino. Un secolo più tardi, Settimio Severo completò queste enormi strutture che avevano una doppia funzione: da un lato, quella di sostenere le fondamenta degli edifici che avrebbero ampliato il quartiere imperiale, inaugurato da Augusto; dall'altro, quella di offrire una straordinaria quinta verso il Circo Massimo. Per innalzarle, gli ingegneri dell'epoca si servirono della tecnica utilizzata per realizzare gli acquedotti. Di questa immensa impresa architettonica, che fu conclusa da Massenzio solo all'inizio del quarto secolo, rimangono delle possenti mura, fino ad oggi visibili soltanto dal basso, come era abituato ad ammirarle il popolo di Roma Antica. Grazie ad un accordo tra il ministero e i sindacati, da oggi sarà possibile invece accedere agli stessi ambienti percorsi dagli imperatori e godere di una vista che abbraccia la città dalla Cupola di San Pietro fino a San Gregorio al Celio, passando per il campanile di Santa Sabina sull'Aventino e le Terme di Caracalla, dopo aver abbracciato con un solo sguardo l'anello del Circo Massimo. «Questo è uno dei 71 progetti, finanziati dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con 40 milioni di euro per restituire all'archeologia e ai turisti un altro pezzo del patrimonio inestimabile del Palatino - aveva annunciato oltre un mese fa il sottosegretario Francesco Giro - Aprire il percorso significa aver consolidato i reperti perché aprire le strutture significa valorizzarle e sottrarle al degrado». Era stato l'Imperatore Domiziano a fornire il palazzo imperiale di un ippodromo lungo 160 metri e largo 48. «Progettato dall'architetto Rabirio, lo stesso del tempio di Giove sul Campidoglio, doveva essere arredato come una vera galleria d'arte - racconta la responsabile del Palatino Mariantonietta Tomei - Era contornato da portici di almeno due piani, con larghi corridoi e con mezze colonne rivestite di marmo».Addossate allo Stadio, Settimio Severo costruì in seguito delle Terme che richiesero l'ampliamento della struttura architettonica, oggi uno degli scorci più imponenti del panorama archeologico della Capitale. Al centro di questa parete di arcate, Massenzio aveva collocato una grandiosa tribuna: un palco dal quale poteva assistere alle sfide delle quadrighe nel Circo Massimo, ma, soprattutto, mostrarsi in pubblico al popolo romano in occasione delle celebrazioni dei giochi. Se questo ultimo ambiente è ancora in attesa dei finanziamenti per essere messo in sicurezza, tutte le altre aree sono ora aperte in alternanza con la celebre Casa di Augusto il martedì, il giovedì e il venerdì. Un'occasione per sentirsi un po' imperatori della città e volare con lo sguardo su uno dei suoi panorami più inediti. Per informazioni sulle visite, telefonare al numero 06483474.
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nota. nella foto, dal nostro archivio Le Mura di Servio Tullio

giovedì 24 dicembre 2009

Curia Hostilia

Curia Hostilia

Sorpresa: è una villa romana

Sorpresa: è una villa romana
Il Gazzetino, 21 ottobre 2005
Gerardo Musuraca

BRENZONE. I resti del V secolo sono venuti alla luce vicino al cimitero di Castelletto: servono subito finanziamenti

Secondo la Sovrintendenza è la più importante mai ritrovata in Veneto

Brenzone. Una antica villa romana, tra i più importanti ritrovamenti archeologici romani del Veneto, sotto il cimitero di Castelletto di Brenzone. È questa conclusione a cui è giunta la sezione scaligera della Sovrintendenza per i beni architettonici del Veneto, dopo avere effettuato, pochissimi giorni fa, un sopralluogo al cimitero della frazione più a sud di Brenzone. «Pochi mesi fa», ha raccontato ancora attonito per l'importanza della scoperta l'assessore ai lavori pubblici Brenzone, Davide Benedetti, «avevamo iniziato i lavori di ampliamento del cimitero della frazione per costruire ulteriori cento loculi. Un' operazione di poco più di 110 mila euro per fare fronte alle necessità del cimitero che avrebbe dovuto concludersi in pochi mesi. E invece, all'improvviso, gli
operai si sono fermati perché hanno ritrovato dei resti di un muro, apparentemente ben conservato, che ha creato dubbi sulla possibile epoca di costruzione».
E così il giovane assessore, dopo avere effettuato un primo sopralluogo assieme al sindaco, Giacomo Simonelli, ha deciso di interpellare la Sovrintendenza di Verona per un parere. Il dubbio e il sospetto che quel muro potesse essere antico si sono trasformati in piena certézza. Non solo. La Sovrintendenza, a quel pulito, ha bloccato i lavori di ampliamento del cimitero ed ha fatto proseguire le operazioni ad una ditta specializzata, la Società archeologica padana che, con l'aiuto degli escavatori, ha riportato alla luce altri resti e un intero perimetro di una villa, con tanto di stanze separate e muri di sostegno.
Lo stupore, anche dei dirigenti della Sovrintendenza e dell'archeologo che coordina gli scavi, il dottor Alberto Manicardi, è stata almeno pari a quella del sindaco e dell'assessore di Brenzone, nonostante siano avvezzi a ritrovamenti importanti. «Con ogni probabilità», ha illustrato la dottoressa Brunella Bruno, direttrice archeologa della Sovrintendenza con competenza sul territorio provinciale veronese, «si tratta di una villa che, dall'attuale cimitero, arrivava fino al litorale lacustre. I muri sono conservati in una maniera incredibile e, pur non essendoci purtroppo tracce di monili o arredamenti, potrebbe essere stato un edificio lacustre con intento paesaggistico, ovvero una villa costruita in riva al lago con tanto di terrazze per godersi il panorama».
E cosi, la Sovrintendenza ha messo a disposizione circa diecimila euro per proseguire gli scavi, utilizzando in pratica la metà dei fondi statali messi a disposizione dell'ente per l'intera provincia di Verona. Una vera assurdità, se si pensa alla «Straordinaria importanza archeologica, alle dimensioni e alla bellezza di quanto finora ritrovato», ha proseguito la dirigente. Anche l'amministrazione di Brenzone ha subito
«predisposto un piano di recupero delle mura per un valore di 43 mila euro, ricevendo un contributo di 28 mila euro dalla Regione», ha ricordato il sindaco. Quattro finora le stanze portate alla luce, complete di muri divisori, mentre una quinta pare essere sepolta accanto alle precedenti.
«Alcuni marmi usati nelle stanze per gli stipiti delle porte», ha proseguito Simonelli, «sembrano gli stessi usati per due colonne che si trovano nella chiesa di San Zen de l'Oselet, che si trova a meno di dieci metri dal ritrovamento, sempre nel cimitero. Qui del resto negli anni venti c'era stato il ritrovamento di un importante mosaico e di cocci, attrezzi antichi di vario genere». «E molto difficile», ha proseguito la dottoressa Bruno, «stabilire con certezza repoca di costruzione della villa, dato che quelli che vediamo sono i resti della così detta ultima fase dell'edificio, cioè la parte che si è conservata ma non necessariamente quella che è stata costruita per prima. Comunque i reperti risalgono almeno al quinto secolo dopo Cristo, quindi di età romana. Sono certamente i più importanti di quest'epoca ritrovati sul Garda veronese e nell'intero Veneto».
Una stretta somiglianza le mura, in alcuni punti alte anche due o tre metri, la hanno con analoghi ritrovati sulla sponda bresciana del lago e, in particolare, con il sito archeologico di Sirmione. Ora, sospeso l'ampliamento del cimitero, per il Comune e la Sovrintendenza arrivano i problemi relativi alla conservazione, al restauro e all'utilizzo di quanto ritrovato. «E innegabile», hanno assicurato sindaco e assessore «che questo sito ci creerà problemi ma ne siamo orgogliosi e contenti. E nostra intenzione valorizzare questi resti al massimo e cercare di costituire un'area archeologica visitabile qui a Castelletto».
Va oltre la dottoressa Bruno: «Per proseguire nelle operazioni di recupero, messa in sicurezza, restauro e copertura di questo straordinario sito, che altrimenti rischia il danno irreversibile per le intemperie, non possono bastare i contributi che abbiamo a disposizione ora, né quelli del Comune. Lancio quindi un appello sia agli enti pubblici che ai privati perché, se hanno a cuore questo patrimonio, ci aiutino a conservarlo e a metterlo a disposizione di tutta la comunità. Un ritrovamento romano di questa importanza e bellezza non possiamo davvero permetterci di perderlo».

Consecratione dell'Imperatore

Consecratione dell'Imperatore

Colonna Milliaria

Colonna Milliaria

Borgo Venezia. E scavando affiora una tomba romana

Borgo Venezia. E scavando affiora una tomba romana
L'Arena, Martedì 25 Ottobre 2005

Borgo Venezia. A due passi dallo Sporting Mondadori una testimonianza dei metodi di cremazione usati duemila anni fa

Scoperta durante la posa della nuova rete fognaria, risalirebbe al primo secolo dopo Cristo

Una tomba romana è stata rinvenuta poco distante dallo Sporting Mondadori di Borgo Venezia. All’angolo con via Tiberghien, la strada che collega viale Venezia a via Mondadori, i tecnici Agsm impegnati nella posa della nuova rete fognaria, hanno rinvenuto i resti di un antico sepolcro, di quasi duemila anni fa.
«Si tratta di una tomba cineraria, senza scheletro umano», ha precisato l’architetto Peter Hudson della cooperativa «Multiart», che esegue i necessari controlli per conto della Soprintendenza ai beni Archeologici. E aggiunge: «È verosimile attribuire questa antica testimonianza ad un’epoca che si aggira fra il primo e il secondo secolo dopo Cristo».
Ma erano state segnalate altre sepolture in questa zona periferica? «No, nessun’altra tomba era stata rilevata. Evidentemente si tratta di un caso isolato. Successive analisi permetteranno di formulare valutazioni più approfondite da parte della soprintendente Giuliana Cavalieri Manasse». «C’è da dire», osserva Luciano Albieri, responsabile dell’area lavori Agsm, «che proprio in questa zona, la scorsa settimana erano stati individuati i resti dell’acquedotto romano. Verosimilmente si trattava di un collegamento con la medesima struttura romana che venne alla luce alcuni anni fa in via Da Legnago, la strada che conduce a Montorio, quando l’Agsm aveva effettuato altri scavi in occasione dell’edificazione del ponte sulla tangenziale di Verona Est». Ora l’attenzione degli esperti è particolarmente elevata visto che gli scavi proseguiranno in via Corsini, via Manuzio, via Pigato, via Barni, via Zeila, via Berbera e via Mondadori. Potranno essere rinvenuti altri reperti? Gli esperti non lo escludono perchè nei territori a nord del Po gli influssi culturali della civiltà romana cominciarono a farsi sentire in maniera rilevante a partire dal secondo secolo avanti Cristo., esattamente l’epoca alla quale la tomba rinvenuta ieri potrebbe appartenere. Infatti, proprio in quel periodo, si assiste al passaggio dalle tombe a inumazione, che prevedevano il seppellimento del cadavere, e tipiche dell’epoca celtica, a quelle a incinerazione.
Per incinerazione si intende la cremazione del defunto le cui ceneri venivano raccolte dal rogo funebre e collocate in un vaso di terracotta o in nuda terra (questo soprattutto in età imperiale) insieme agli oggetti di uso quotidiano e a quelli preziosi che ornavano il corpo al momento della cremazione.
In questi casi il corpo del defunto veniva adagiato su una catasta di legna sopra la fossa tombale, in una zona adibita a questo scopo che prendeva il nome di «ustrinum». Diverse sono le tipologie di tombe a incinerazione: il tipo più semplice è costituito da una fossa generalmente di forma subcircolare di piccole dimensioni, ove erano poste direttamente le ceneri. Sono state ritrovate anche tombe nelle quali le ceneri venivano deposte entro anfore segate, con il puntale infisso nel terreno e coperte da un mattone. Molto diffuso era anche l’utilizzo di urne con coperchi in terracotta. L’urna poteva anche essere collocata in una fossa rivestita in pietra calcarea o ciottoli. Il rito dell’incinerazione, particolarmente diffuso nell’Italia settentrionale, prosegue fino al secondo secolo dopo Cristo. Dal terzo secolo in poi però l’ inumazione, per cause ancora oscure, sostituisce l’incinerazione. Di conseguenza si assiste a un mutamento delle tipologie tombali. Le sepolture, sia in nuda terra sia entro cassa, vengono delimitate da laterizi o pietre a seconda della reperibilità dei materiali. Anche le casse presentano variazioni: generalmente sono di forma rettangolare, ma sono anche presenti tipi in mattoni con nicchie che racchiudono il corredo. Nei centri urbani è possibile ritrovare sarcofagi lisci o scolpiti in marmo o in pietra locale. Nella maggioranza dei casi venivano utilizzate casse di legno.
Nelle sepolture infantili i bambini erano posti dentro anfore o urne. Nel rito inumatorio il morto veniva posto supino con le braccia distese lungo i fianchi o ripiegate sul bacino o disposte sul petto.

Colonna di Marc Aurelio - Palazzo Niccolini - Palazzo del Viceregente - Monte Citorio


Colonna di Marc Aurelio - Palazzo Niccolini - Palazzo del Viceregente - Monte Citorio

Corone che si danno in premio ai vincitori

Corone che si danno in premio ai vincitori

Recuperata un'ancora della Roma imperiale

Recuperata un'ancora della Roma imperiale
Eugenio S. Orrico
Gazzetta del Sud - Cosenza, 27/10/2005

SCALEA - Torna alla luce, dalle acque antistanti Belvedere Marittimo, a pochissimi metri di profondità, un interessantissimo reperto archeologico. Si tratta di un'ancora in piombo dell'Età imperiale romana risalente a quasi 2.300 anni addietro. Il rinvenimento del reperto archeologico ha destato molta curiosità ed interesse tra gli abitanti dell'Alto Tirreno Cosentino.
A fare la scoperta sono stati alcuni pescatori di Cetraro, attratti dalla particolare forma che si intravedeva e che giaceva a pochi metri sul fondo. La curiosità che la sagoma destava, ha spinto i pescatori a ripetute immersioni, immersioni che hanno permesso loro di individuare posizionata adagiata sul fondo l'antichissima ancora. È subito apparso evidente ai pescatori che il reperto sommerso aveva un valore storico. Le seguenti immersioni hanno a-vuto quindi l'obiettivo di recuperare a pochi metri di profondità, l'ancora di notevoli dimensioni: 1,90 metri di lunghezza, per un peso di svariati quintali. Tornato alla luce, il reperto è stato trasportato nella sede dell'Ufficio circondariale marittimo di Cetraro. Successivamente, sottoposto all'analisi del ministero per i Beni e le attività culturali, è emerso che si trattava di un reperto di notevole interesse archeologico e più specificatamente di un'ancora in piombo databile all'avanzata età imperiale Romana. La Roma Imperiale, potente militarmente e forte economicamente, per trecento anni, dall'età Augustea a quella Costantiniana, fece dell'attuale Alto Tirreno Cosentino il punto di passaggio sicuro, di tutti gli spostamenti che si sviluppavano sulla via d'acqua.

biga e carri romani

biga e carri romani

calzature romane

calzature romane

Dagli scavi Tav emergono tombe romane

Dagli scavi Tav emergono tombe romane
Fabrizio Valenti
Giorno Legnano, 6 novembre 2005

Scoperte archeologiche anche l’estate scorsa trovate monete auree a Cornaredo e un sepolcro longobardo a Lucernate

BERNATE TICINO -L'avanzata del treno ad Alta Capacità e del suo cantiere ha riservato una sorpresa, davvero inattesa, ai tecnici della Cav To-Mi. Infatti, giovedì sera, mentre erano in corso le attività di carotaggio, lungo il tracciato della nuova ferrovia, che corre parallelo all'A4, in territorio del Parco del Ticino, sono venuti alla luce alcuni reperti risalenti, con tutta probabilità, al periodo romanico. Si tratta, senza dubbio, di un ritrovamento che ha lasciato gli esperti del Consorzio Alta Capacità di stucco. Anche perché le escavazioni in corso avevano un altro obiettivo: la ricerca di materiale bellico. Come è noto, infatti, capita spesso che nella zona, a ridosso del ponte sul fiume Tipirto, vengano ritrovati ordigni inesplosi risalenti alla Seconda Guerra Mondiale. Da qui la fondata preoccupazione degli uomini della Cav To MI, in modo da poter lavorare in completa sicurezza agli interventi connessi all'Alta Capacità.
La curiosità e l'interesse attorno al ritrovamento delle tre tombe sono notevoli e crescono sempre, di più. Sul posto sono così subito intervenuti gli esperti della Sovrintendenza che hanno recintato il perimetro del luogo in cui sono venute alla luce le tombe. Anche perché l'equipe al lavoro della Sovrintendenza ha imposto il massimo riserbo. Di sicuro, comunque, si tratta di un ritrovamento che assume un grande valore dal punto di vista archeologico per questo territorio.
Nelle tombe gli esperti avrebbero trovato resti di vasetti, gioielli e decorazioni. La Sovrintendenza, dopo aver messo sotto controllo l'intera superficie - il timore principale è che qualche malintenzionato possa trafugare la preziosa scoperta - ha disposto il trasferimento il prima possibile dei resti.
Si tratterebbe di tombe di epoca tardo-romana alla cappuccina con una sorta di tetto a tegoloni accostati a V rovesciata con corredo di utensili. Non è la prima volta che durante i lavori avvengono ritrovamenti di questo genere. «La scorsa estate sono state ritrovate 18 monete auree a Corneredo e una tomba longobarda a Lucernate - ha spiegato l'ingegner Raffaele Ippoliti -, Nonostante ciò, i lavori proseguono a spron battuto».

Canope nella Villa Adriana


Canope nella Villa Adriana

Base della Colonna di Traiano


Base della Colonna di Traiano

Importante scoperta archeologica nel cuore di Brescia. Spunta una strada romana

Importante scoperta archeologica nel cuore di Brescia. Spunta una strada romana
Lunedì 7 novembre 2005 Giornale di Brescia

Alla luce un tratto di pavimento con marciapiedi e condotto fognario


Un’importante scoperta è stata effettuata di recente a Brescia, in via Gabriele Rosa, nel cuore del centro storico. Nel corso di lavori per la ristrutturazione di un edificio storico, in area già parzialmente indagata nel 2004, sono emerse strutture romane importanti, che arricchiscono in maniera significativa il quadro delle nostro conoscenze su questo comparto della città antica. Sono stati ritrovati un tratto di basolato stradale che in parte conservava anche le parti rilevate laterali (marciapiedi), in spesse lastre di Botticino e parte di un edificio che si sviluppava lungo il lato sud della stessa strada. Il basolato era certamente relativo ad un decumano parallelo a quello individuato in via Musei, presso il Capitolium; il nuovo tratto rispecchia un allineamento attestato in città per la prima volta. Una delle lastre era in realtà il tombino di chiusura di un pozzetto d’ispezione. All’interno, perfettamente intatto, c’era un condotto fognario in laterizi (cloaca) profondo oltre 2 metri, che correva da W verso E. Lungo questo tratto di strada erano collocati in età romana vari edifici: quello ritrovato nell’ultima campagna di scavo è riferibile ad un complesso termale monumentale comprendente vari ambienti, anche interrati, con vasche, pavimenti in marmo e strutture architettoniche di pregio: si segnala in particolare un portale monumentale con stipiti in Botticino e tracce della pavimentazione in lastre marmoree policrome, che metteva in comunicazione con un altro vano più a sud, e vari muri in laterizio, conservati per un alzato di 2 metri e oltre. L’area indagata si collega strettamente ad un’altra adiacente, scavata negli anni ’70, collocata tra via Gabriele Rosa e via Pontida: le strutture rinvenute nei due settori sono certamente relative allo stesso complesso termale di età romana, in uso attraverso varie successive fasi di ristrutturazione tra età Flavia e IV secolo d.C. L’intervento, seguito dallo Studio di Ricerca Archeologica di Simonotti e Massari, sotto la direzione e con finanziamento della Soprintendenza per i beni archeologici della Lombardia, si è svolto con il supporto della costante e cortese collaborazione dei proprietari dell’area, del direttore lavori arch. Turotti e dell’Impresa Pollonio.


f. r.

Basilica Antonina oggi la Dogana Nuova

Basilica Antonina oggi la Dogana Nuova

L'antica Domus del Collatino

L'antica Domus del Collatino
Federica Grassi
la Repubblica, 15/11/2005

Gli scavi iniziati ad ottobre. L'area sarà preservata e parte integrante di un percorso archeologico
Scoperta ai margini del parco: 14 stanze e una cisterna

Una villa di età repubblicana-imperiale è emersa all'interno del parco Campagna-Collatino all'altezza del Casale Scarpitti, nel corso delle indagini archeologiche sostenute dalla Tav sotto la direzione scientifica della Soprintendenza archeologica di Roma. Gli scavi in questa parte del Parco sono iniziati in ottobre.
Per il momento, della villa romana sono stati portati alla luce quattordici ambienti, tutti di piccole dimensioni a parte una cisterna con la volta a botte, delle vasche di decantazione e dei canaletti con scolo per la raccolta delle acque con rivestimento in cocciopesto. Proprio per le esigue dimensioni degli ambienti e per il genere di materiale ceramico finora recuperato, pezzi di anfore e orci, gli archeologi pensano di aver per ora scavato solo la pars rustica della villa, ovvero la zona di servizio, dove venivano probabilmente conservate le scorte alimentari o magari si effettuavano lavori funzionali alla vita della casa. Le strutture della parte residenziale della villa sembrano correre invece verso sud-est, proprio sotto l'abitazione e l'orto di una delle otto famiglie del Casale Scarpitti, un borgo risalente agli inizi del novecento che prende il nome dall'antico proprietario del terreno.
In questa zona della villa non del tutto scavata sono stati scoperti finora tre mosaici pavimentali a tessere di media dimensione: uno policromo con motivi geometrici; gli altri due in bianco e nero, probabilmente raffigurati e con un motivo a greca lungo il perimetro.
Le strutture murarie della villa romana, con paramenti in laterizi e opus reticulatum, si trovano dentro il parco Campagna-Collatino: 40 ettari di verde confinanti con il Parco Tiburtino «e presto ad esso collegati - spiega Stefano Musco della Soprintendenza archeologica - grazie alla prosecuzione di via D'Ignano d'Istria».
Sul territorio di questo enorme cordone di verde che si estende da via Tiburtina a via Grotte di Gregna, diviso ora dal passaggio dell'autostrada Roma-L'Aquila fu rinvenuta nel 1997 anche la più estesa necropoli conservata fuori le mura aureliane. «Una volta smantellati i cantieri della Tav - continua Stefano Musco - chi passeggerà nel verde di questo enorme parco archeologico, si troverà davanti lo stesso scenario che si presentava agli occhi dei viaggiatori dell'Ottocento che avevano come tappa obbligata del Grand tour la capitale. La zona in cui è venuta alla luce la villa di età repubblicana-imperiale sarà il primo quadrante del parco che verrà aperto al pubblico, probabilmente già per il prossimo aprile, non appena sarà attrezzata anche la zona boschiva a ridosso dell'autostrada A24, di grande interesse ambientale».

Avanzi del Sepolcro della famiglia Domizia detto Murotorto

Avanzi del Sepolcro della famiglia Domizia detto Murotorto

«Villa delle Meraviglie» a Positano

«Villa delle Meraviglie» a Positano
Saverio Barbati
17/11/2005, Gazzetta del Sud

Gli archeologi della soprintendenza di Salerno hanno scoperto a Positano una villa del primo secolo dopo Cristo.

È situata sotto la Chiesa dedicata all'Assunta, molto frequentata durante l'estate dai turisti.
Si tratta di un vero e proprio «pozzo di San Patrizio».

Mosaici, fantastici affreschi di animali, pavimenti di pregio stanno venendo alla luce dopo la scoperta della Soprintendenza.
Già nel passato era stato avanzato dall'archeologo Karl Weber il sospetto che sotto la Chiesa di fronte alla spiaggia esistesse un'altra costruzione. Ma non furono mai disposti approfonditi scavi.
Oggi l'archeologa Maria Antonietta Iannelli, rileggendo testi antichi, si è messa all'opera e ha scoperto quella che per le sue fastose ricchezze è stata subito battezzata come la Villa delle meraviglie.
Contrariamente a quanto sospettava Weber – dice la Iannelli – la struttura si trova letteralmente a pochi centimetri dal calpestio.
Durante il restauro della cripta abbiamo rintracciato in negativo i segni delle capriate, le strutture di legno a forma triangolare che anticamente venivano messe a sostegno dei tetti. Era il segno che sotto, in profondità, dovesse esserci un'altra costruzione, la Villa delle Meraviglie, appunto. Su questa sontuosa abitazione – aggiunge il soprintendente di Salerno Giuliana Tocco – già sommersa dai detriti roventi e dalla cenere dell'eruzione vesuviana, si sono via via abbattute a ondate successive tonnellate di massi, scorie vulcaniche, alberi sradicati dalle alluvioni che a cicli continui hanno devastato la costiera amalfitana.

I sondaggi hanno permesso di accertare che la Villa si affacciava su uno scenario mozzafiato e si sviluppava su diverse terrazze delle quali tre facilmente raggiungibili. Monili, ori, vasellame prezioso, mosaici alle pareti, paesaggi marini sulle mura esterne sono stati rinvenuti in discreto stato di conservazione. Gli oggetti di valore sono stati trasferiti al Museo archeologico, per le opere di restauro dell'edificio la Soprintendenza ha già presentato al ministero dei Beni culturali il progetto ricostruttivo. Ma si teme che i tagli imposti dalla legge finanziaria in discussione ne rendano difficile il finanziamento. Sarebbe un vero peccato!

Arco di Settimo Severo


Arco di Settimo Severo

Arco di Costantino

Arco di Costantino

RONTA DI CESENA: TROVATE INTATTE FORNACI ROMANE 2200 ANNI

RONTA DI CESENA: TROVATE INTATTE FORNACI ROMANE 2200 ANNI
http://www.repubblica.it/

Bologna, 2 dicembre 2005

La Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna ha reso noti i primi dati di uno straordinario ritrovamento, un impianto produttivo per laterizi di eta' romana repubblicana, emerso lungo il percorso del canale emiliano-romagnolo a Ronta di Cesena, dove e' stato scoperto un gruppo di fornaci romane in eccezionale stato di conservazione. Ritrovati quasi intatti forni, vasche, pavimenti e portici del II sec. a.C. Nelle fornaci si producevano tegole, coppi, mattoni e laterizi per pavimenti. Succedeva 2200 anni fa ma le strutture sono cosi' intatte - fanno notare gli esperti - che, con un minimo di restauro, potrebbero funzionare anche oggi. Le fornaci romane scoperte vicino a Cesena non solo sono le piu' integre mai rinvenute in Emilia-Romagna, e forse in tutta l'Italia Settentrionale, ma consentiranno di ricostruire una modalita' di utilizzo che finora era stata solo ipotizzata. Assolutamente eccezionali per l'alta datazione e lo stato di conservazione, rappresentano un tassello fondamentale per la conoscenza delle varie fasi della romanizzazione in questo territorio
http://www.repubblica.it/news/ired/ultimora/rep_nazionale_n_1203063.html

Arco di Giano

Arco di Giano

Acquedotto Romano

Acquedotto Romano

Nella sabbia un teschio di epoca romana

Nella sabbia un teschio di epoca romana
Efisio Trincas
L’Unione Sarda, Oristano, 5 dicembre 2005

Trovato ieri a pochi passi dalla necropoli di Tharros, una zona ricca di reperti archeologici

«È necessario un museo per ospitare i pezzi recuperai ultimamente»
Da secoli quel teschio era custodito nella sottile striscia di terra tra i due mari che bagnano San Giovanni. Nella parte estrema della penisola del Sinis, a quattro passi dalla necropoli romana di Tharros. È venuto fuori ieri mattina, quando la mareggiata ha portato via la sabbia. Lo ha trovato il presidente della cooperativa che gestisce gli scavi archeologici e lo ha subito consegnato ai carabinieri.
Secondo una prima analisi degli storici è probabile che il teschio risalga all'epoca romana considerata soprattutto la vicinanza con le tombe. Ma non si esclude che quei resti umani fossero sotterrati fin dal periodo della colonizzazione punica.
Qualcuno nei giorni scorsi pare abbia persino tentato di portarselo via, ma non ha fatto in tempo. Il teschio in tanti secoli si è conservato quasi integralmente, solo che nel momento del recupero alcuni frammenti si sono divisi. Ora è custodito dai carabinieri di Cabras, nei prossimi giorni sarà affidato agli archeologi per stabilire con certezza l'epoca a cui risale. «Questo ulteriore ritrovamento dimostra quante ricchezze custodisca il nostro Sinis - ha commentato il sindaco di Cabras, Efisio Trincas - Per questa ragione è fondata la richiesta di costruire il museo dei Fenici nel nostro territorio. È logica quindi la nascita di una struttura che possa ospitare tutti i reperti che sono stati ritrovati negli ultimi anni. Non dimentichiamo che molti dei tesori riportati alla luce sono accatastati negli sgabuzzini della Sovrintendenza». Un altro teschio, quasi integro, era stato ritrovato sempre a San Giovanni durante l'estate dello scorso anno. Secondo l'esame degli archeologi risalirebbe addirittura al secondo, massimo al terzo secolo dopo Cristo. Piena epoca romana, insomma. Si trovava dentro una tomba a cappuccino, che custodiva al suo interno un cadavere inumato e poi ricoperto da embrici.
Nella spiaggia di San Giovanni di Sinis uno scheletro, quasi intero, era stato recuperato la scorsa estate. Le prime ossa erano state notate da alcuni operai: era venuto fuori un femore, poi si era visto il resto dello scheletro. Era rimasto a cinquanta centimetri di profondità: mancavano soltanto il teschio e le braccia, il resto delle ossa c'era tutto. «Questo patrimonio deve essere valorizzato e deve tornare utile alla nostra comunità -ha aggiunto il primo cittadino cabrarese - Con questa convinzione continueremo la nostra battaglia, insieme al Comune di Santa Giusta, per ottenere il finanziamento necessario per costruire il museo della civiltà fenicia».

mercoledì 23 dicembre 2009

Tomba di epoca romana in Libano


Tomba di epoca romana in Libano

Una casa neroniana in pieno centro

Una casa neroniana in pieno centro
Nica Fiori
mercoledì 23 dicembre 2009 - IL GIORNALE

Nel cinema Trevi ci si può immergere nelle profondità della terra ed entrare in un quartiere abitativo romano. Il complesso archeologico, denominato del «vicus Caprarius» dall’antica via romana attorno alla quale si sviluppava, è stato aperto al pubblico nel 2002 e dotato di un antiquarium con alcuni interessanti reperti trovati in situ, ma ora, in occasione del decennale dell’inizio degli scavi, finanziati dal Gruppo Cremonini che possiede il palazzo, si è provveduto a un nuovo allestimento. Il sito conserva due edifici: il primo è costituito da un’insula di età neroniana, che è stata trasformata nel IV secolo in una domus signorile, mentre il secondo ha due ambienti, impiegati come serbatoio di acqua. Si tratta della celebre «Acqua Vergine», che serve ancora quella parte della città e che ha la sua mostra monumentale proprio nella Fontana di Trevi. Da qui il suggestivo nome di «Città dell’Acqua» dato al complesso, anche per la presenza costante di acqua sorgiva naturale, che copre in parte gli scavi. Tra i nuovi reperti esposti sono di indubbio fascino i marmi bianchi lavorati e quelli colorati che appartengono alla decorazione della domus, e l’eterogeneo materiale di uso quotidiano che riguarda le fasi post antiche del vicus. Si va dal coltello e forchetta del XVII secolo, alle brocche e piatti in maiolica, alle olle e tegami del XVI-XVII secolo, alle bottiglie in vetro soffiato del XVII-XIX secolo. L’interesse del luogo è legato proprio al fatto che i materiali esposti possono ancora raccontarci tutta la loro storia perché, invece di essere decontestualizzati in musei esterni, sono stati sistemati direttamente nell’area.
Ingresso in vicolo del Puttarello, 25. Orario: lunedì dalle 16 alle 19 e da giovedì a venerdì dalle 11 alle 15.
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nostra nota, nella foto busto di Nerone

martedì 22 dicembre 2009

Cippo romano del primo secolo

Cippo romano del primo secolo

Base del Tempio di Jupiter

Base del Tempio di Jupiter

Scoperta villa romana a Sipicciano.

Scoperta villa romana a Sipicciano.
SIPICCIANO 21.12.2009

Costruzione rustica che occupava una superficie di oltre duemila metri quadrati. Il ritrovamento di Archeotuscia. Avviata una campagna di scavi.

In alto uno dei mosaici ritrovati nella villa, sotto l’area

Una scoperta di rilevante importanza scientifica, che arricchisce considerevolmente il già notevole patrimonio archeologico della Tuscia, è stata effettuata recentemente nel territorio di Sipicciano. Il ritrovamento si deve alla perseverante attività di ricerca, valorizzazione e tutela dei beni culturali promossa dall’Associazione Archeotuscia in tutto il territorio della Provincia. Infatti, alcuni membri dell’associazione, appartenenti alla sezione di Sipicciano, hanno individuato a non grande distanza da questo piccolo borgo della Teverina, un vasto contesto abitativo di epoca romana, documentato da cospicue testimonianze archeologiche emerse a seguito di una profonda aratura del terreno. L’immediato intervento del dottor Angelo Timperi, ispettore di zona della Soprintendenza agli Scavi Archeologici per l’Etruria meridionale, tempestivamente avvertito della scoperta, ha scongiurato la definitiva distruzione delle strutture archeologiche sepolte, pericolosamente minacciate dal proseguimento dei lavori agricoli. Grazie poi all’interessamento della Soprintendente, la dottoressa Anna Maria Moretti, è stato possibile ottenere i finanziamenti necessari per avviare nell’area una campagna di scavo, con idonei mezzi meccanici e tecnici esperti, condotta dall’archeologo Tiziano Gasperoni, sotto la direzione del dottor Timperi, coadiuvato dall’assistente Franco Albanesi. Le indagini hanno riportato alla luce parte di una ricca villa rustica che occupava una superficie di oltre duemila metri quadrati; sono stati individuati numerosi ambienti, pavimentati anche a mosaico, pozzi, fognoli, canalizzazioni di piombo e in terracotta, che insieme alle monete ed ai reperti fittili raccolti nel corso dello scavo stratigrafico, hanno documentato la lunga vita dell’insediamento, rimasto in uso per almeno cinque secoli, dal I sec. a.C. al IV sec. d.C. Di grande interesse scientifico è inoltre il ritrovamento di una singolare costruzione circolare in opus caementicium dal diametro di circa 20 metri e profonda tre, la cui funzione, ancora oggetto di studio, era verosimilmente connessa con scopi idraulici come testimonia anche un ambiente rettangolare ad essa collegato, nel cui pavimento si aprono quattro fori praticati in altrettanti blocchi squadrati di travertino che mettono in comunicazione l’esterno con alcuni ambienti sottostanti. L’importanza dell’insediamento dipendeva anche dalla strategica ubicazione alla sommità di una collina prossima al Tevere; da questa, infatti, era possibile controllare i traffici che si svolgevano lungo il fiume che, essendo anticamente navigabile, costituiva la principale arteria di comunicazione con Roma per le popolazioni che abitavano la sua fertile e splendida valle. Vista l’importanza del ritrovamento, Adriano Santori, sindaco di Graffignano, ha immediatamente manifestato la lungimirante intenzione di attivare, congiuntamente alla Soprintendenza e in collaborazione con l’Associazione Archeotuscia, un piano di tutela e di fruizione turistica del sito, inserendolo in un più ampio progetto di valorizzazione delle evidenze ambientali ed archeologiche del territorio, cui lavorano da tempo anche altre associazioni locali.

http://www.corriereviterbo.it/news.asp?id=26

giovedì 17 dicembre 2009

sacri pollai

sacri pollai

scena dal film Giulio Cesare

scena dal film Giulio Cesare - George Kleine film Classic

Mater Matuta

Mater Matuta

L’appello di Lizzani: la Rai mandi in onda «Roma imago urbis»

L’appello di Lizzani: la Rai mandi in onda «Roma imago urbis»
Maurizio Pluda
17 dicembre 2009, corriere della sera

Il caso Lodato in mezzo mondo, da noi è sparito

Il giallo del kolossal (15 film) mai trasmesso

MILANO — «È incredibile: è possibile vederla nella Sezione d’arte romana del Metropolitan Museum of Art di New York e invece la Rai continua a tenerla chiusa in un cassetto. E da 15 anni!».

Carlo Lizzani, l’87enne maestro del cinema italiano, s’è tenuto dentro il rospo per tutto questo tempo, ma ora non ce la fa più: «Lancio un appello ai dirigenti della nostra tv pubblica, esprimendo sorpresa, stupore e delusione: signori, mandate finalmente in onda Roma imago urbis ».

«Si tratta — spiega il regista — di un’autentica enciclopedia sulla civiltà di Roma antica, un kolossal colto composto da quindici documentari girati in 24 Paesi e tre continenti. Io ho fatto da consulente cinematografico, perché non avevo il tempo di seguire sul campo le riprese: la regia è di Luigi Bazzoni. Dietro di noi c’era un comitato scientifico composto da dodici accademici dei Lincei diretto dal compianto Giulio Carlo Argan. E la Rai ha partecipato all’impresa, comprando i diritti d’antenna nel ’94 per l’equivalente di tre milioni di euro di oggi: ebbene, sono passati ormai quindici anni e Roma imago urbis non è stata mai trasmessa

». Che si tratti di un prodotto doc, di quelli che «fanno l’essenza stessa del servizio pubblico televisivo» (come dice ancora Lizzani) è certificato da due altri nomi che compaiono nel «cast». Uno è quello dell’architetto Paolo Portoghesi, che ha fatto da consulente al progetto. L’altro è quello di Vittorio Storaro: il tre volte premio Oscar è stato infatti il direttore della fotografia di questo «kolossal colto». «E pensate — racconta Giacomo Pezzali, che con la sua Trans world film lo ha prodotto — che Storaro per lavorare con noi rinunciò a due faraoniche offerte dagli Usa. È davvero incredibile come la Rai tratta un simile gruppo di eccellenze italiane: ma non dovrebbe essere proprio la tv pubblica una vetrina del meglio del nostro Paese?».

Per sgomberare il terreno da possibili equivoci, Pezzali tiene a sottolineare come l’appello di Lizzani (che lui fa ovviamente proprio) non sia questione di vil denaro. «Voglio lanciare un messaggio: sono pronto a cedere alla Rai i diritti per l’estero dell’opera, così altro che recuperare i tre milioni di euro che hanno investito, li farebbero pure fruttare. Tanto per capirci, ben nove capi di Stato europei ci diedero il loro placet. E in Libia trattammo con Gheddafi, mentre in Iraq il nostro interlocutore fu l’allora ministro degli Esteri, Tareq Aziz».

Per rafforzare il concetto, Pezzali ricorda anche un aneddoto: «Un giorno è venuto da me l’ambasciatore cinese in Italia, perché aveva appena visto l’opera. Mi disse: 'Le consiglio di girarne uno in più, dedicato alla Cina'. Di fronte al mio stupore, mi ricordò che durante una delle tante guerre fra i romani e i persiani, una legione riuscì a sfilarsi da un assedio e a rifugiarsi in Cina». Ma Pezzali non ha alcuna voglia di riaprire il capitolo produttivo di Roma

imago urbis.

Anche perché è già sufficientemente corposo. Un budget totale di 22 milioni di euro per realizzare i quindici documentari di un’ora l’uno. Da «Mythus» (sulle origini mitologiche della città) a «Viae» passando per tutto il pantheon culturale, civile, ingegneristico e, ovviamente, bellico: quindici capitoli che raccontano di come una repubblica si fece impero.

mercoledì 16 dicembre 2009

Il Palatino visto da Nord

Il Palatino visto da Nord

I cinque sarcofagi del mistero

I cinque sarcofagi del mistero
Francesca Giuliani
la Repubblica, 6/12/2005

Tor Cervara, sepolture di epoca romana ancora sigillate.
Il soprintendente Bottini: "Scoperta straordinaria"

Cinque sarcofagi, ancora sigillati, conservati in una cella ipogea in mezzo alla campagna romana: è l'ultimo mistero del sottosuolo di Roma, un tesoro ancora da studiare che potrà restituire informazioni preziose e affascinanti sul mondo antico. Il ritrovamento è avvenuto nei giorni scorsi nella zona di Tor Cervara, verso la via Tiburtina, in occasione di uno dei normali sopralluoghi condotti dalla Soprintendenza archeologica di Roma in occasione di alcuni lavori edili. Il direttore dello scavo, Stefano Musco, responsabile della zona del V municipio ha capito subito di trovarsi di fronte a qualcosa di quanto meno «insolito». I sarcofagi in marmo, sicuramente di età imperiale e databili fra il II e il III secolo sono coperti di pitture, perfettamen-te conservati e, soprattutto ancora protetti dalle originarie chiusure a grappe in piombo. Spiega il soprintendente Angelo Bottini: «È una scoperta straordinaria, non capita sovente di trovare sarcofagi ancora sigillati. Questo ritrovamento conferma la necessità della nostra soprintendenza di essere presente capillarmente sul territorio, anche in quei luoghi dai quali non ci si aspetterebbero particolari sorprese».
I sarcofagi sono conservati in una cella che doveva far parte di un complesso più ampio anche se a oggi non è stato trovato altro nel territorio immediatamente circostante: «Sono sepolture patrizie - continua Bottini - ma di norma questo tipo di sarcofagi vengono ritrovati aperti e saccheggiati. Il fatto che siano sigillati rende il ritrovamento eccezionale: sono ancora come il giorno in cui sono stati chiusi». I sarcofagi saranno dissigillati dopo esser stati trasportati nei laboratori del Museo nazionale romano: all'interno ci potrebbero essere resti di corpi avvolti in vesti preziose, con un corredo funebre degno di esponenti di famiglie patrizie che vuoi dire monili in oro, piccole suppellettili. Quel che resta dei corpi potrà fornire informazioni utili alla ricerca scientifica.
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nota. nella foto: Tomba di Scipio Barbatus

Giardini di Salustio - Campo Scelerato

Giardini di Salustio - Campo Scelerato

Domus Aurea: ottanta ettari di edifici, portici e giardini: con un grande lago e una statua colossale dell'imperatore

Domus Aurea: ottanta ettari di edifici, portici e giardini: con un grande lago e una statua colossale dell'imperatore
Corrado Augias
La Repubblica - 13.12.2005 -

Costruita dopo l'incendio di Roma, alla morte del creatore fu demolita o interrata Nel 500 grandi artisti si calavano nelle grotte per copiare gli affreschi sepolti copiandone i motivi ornamentali che poi sono diventati le famose 'grottesche' : forme vegetali miste a figurette umane o animali solo di rado realistiche, quasi sempre immaginarie, estranee ad ogni canone naturale, un mondo fantastico in cui umano, vegetale e animale si fondono in figurazioni vivacissime e bizzarre tra lo scherzo e l'allucinazione. Grottesca viene ovviamente da grotta e grotte sotterranee erano diventate queste stanze, riempite di terra e di detriti fin quasi alla sommità. La loro riscoperta lancerà una moda dirompente centrata sulle antichità e i ruderi romani, paragonabile solo alla 'Egittomania' che le campagne napoleoniche susciteranno all'inizio del XIX secolo.
Dopo il disastroso incendio del 64, Nerone volle che sorgesse nella città devastata la sua nuova reggia. Espropriò un'area di ottanta ettari perché voleva, dice Svetonio, che il suo palazzo si estendesse dal Palatino all'Esquilino. Per capire di quale magnificenza di spazi la costruzione disponesse basta pensare che una statua gigantesca alta trentacinque metri (un edificio di dodici piani) entrava nel vestibolo. Quando la statua venne spostata fu necessario aggiogare, data l'enormità del peso, ventiquattro elefanti; da questa immane figura prenderà nome, nel Medio Evo, il Colosseo. Lo scultore greco Zenodoro aveva raffigurato l'imperatore nudo, con attributi solari, il braccio destro proteso, il sinistro ripiegato a sorreggere un globo. Da una corona posta sulla fronte si dipartivano sette raggi (lunghi sei metri l'uno) raffigurazione del potere assoluto e di quel Sole con il quale l'uomo voleva essere identificato.
La casa, assicura sempre Svetonio, comprendeva tre portici lunghi un miglio «uno stagno, anzi quasi un mare, circondato da edifici grandi come città. Alle spalle ville con campi, vigneti e pascoli, boschi pieni di animali domestici e selvatici». Se noi oggi camminiamo nel buio e nel silenzio, la dimora neroniana al contrario riluceva poiché tutto era ricoperto d'oro, impreziosito da gemme e da conchiglie incastonate nell'intonaco. Ancora: «Le sale da pranzo avevano soffitti coperti di lastre d'avorio mobili e forate in modo da consentire la caduta di fiori e di profumi». Poi i marmi, commisti gli uni agli altri a formare quelle policromie nelle quali i romani eccellevano. Pietre che arrivavano dalla Spagna, dalla Numidia, dalla Tripolitania, dall'Egitto, dall'Asia, dalla Grecia, dalle Gallie, dalla Cappadocia. Diverse per colore e tessitura, uniche per durezza e bellezza del disegno, rimarranno nell'uso e molti secoli più tardi i marmorari romani le chiameranno con nomi che evocano da soli un'epoca: 'portasanta', 'lumachella orientale', 'pavonazzetto', 'serpentino', 'granito degli obelischi', 'africano', e la più pregiata di tutte, il 'porfido rosso' riservato all'imperatore.
Ma non c'erano solo eccessi cromatici nella decorazione di quella fantastica dimora. Vi aveva parte anche la tecnologia, quanto di meglio la meccanica del tempo consentisse: «La [sala] più importante era circolare e ruotava continuamente giorno e notte come la terra. I bagni erano forniti di acqua marina e solforosa». I due architetti Severo e Celere, incaricati del progetto, sapevano che con quell'opera avrebbero guadagnato una lunga gloria o perso tutto, compresa la vita. Stimolati dalla posta estrema e conoscendo i gusti del committente, concepirono soluzioni di tale bizzarria da far dire a Tacito che «spesso andarono contro le leggi di natura». L'intera valle al cui centro noi vediamo l'anfiteatro Flavio (Colosseo) venne ricoperta dal lago di cui parla Svetonio, vasto quasi come un mare.
Quelle meraviglie sopravvissero poco alla morte del proprietario avvenuta nel 68. Per brevissimi anni Nerone poté godere della sua smisurata dimora che probabilmente non vide mai completamente finita, né ebbe il tempo di visitare per intero. I successori provvidero a demolirla in larga parte, già Domiziano fece abbattere gli edifici sul Palatino, altri fecero colmare di macerie il lago per predisporre il terreno alla costruzione dell'anfiteatro (Colosseo), Adriano fece demolire sulla Velia il vestibolo della Domus per innalzare il tempio di Venere e Roma. Il padiglione sul Colle Oppio (quello che fino a oggi si visitava) sopravvisse fino al 104 quando un incendio lo distrusse in parte. Quando poi Traiano ordinò che sull'area venissero costruite le sue terme, l'architetto Apollodoro di Damasco fece abbattere completamente gli ambienti superiori, colmare di terra quelli sottostanti trasformandoli così, all'interno delle mura portanti, in un immenso cubo da sfruttare come fondazione per i nuovi edifici. Alla luce subentrarono le tenebre, gli ori, le gemme, i marmi variopinti annegarono sotto tonnellate di terra e di detriti, alla magnificenza si sostituì la rovina e per alcuni secoli l'oblio al quale dobbiamo la parziale conservazione di questa insigne testimonianza.

Corona Muralia - Vallaria - Navalia - Obsidionalis - Triumphalis - Civica - Ovalia


Corona Muralia - Vallaria - Navalia - Obsidionalis - Triumphalis - Civica - Ovalia

Cerchio Flaminio - Tempio di Nettuno - Tempio di Vulcano

Cerchio Flaminio - Tempio di Nettuno - Tempio di Vulcano

Diocleziano, quelle Terme aperte a metà

Diocleziano, quelle Terme aperte a metà
Paolo Brogi
Corriere della Sera, 20/12/2005

Finalmente si progetta come recuperare le zone chiuse da anni del Museo delle Terme di Diocleziano. «Aule» alte 25 metri, come Massenzio, piene di magnifici sarcofagi. Più il cinquecentesco chiostro Ludovisi...
Il grande spreco è proprio all'ingresso di Roma.
Un libro compilato con amore e dedizione dall'archeologa Maria Antonietta Tomei e dall'architetto Marina Magnani, della direzione del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano, affronta il problema. E ne propone una soluzione: restaurare e riaprire al pubblico ciò che giace chiuso e abbandonato nelle grandiose Terme di Diocleziano. È un secondo museo, l'altra metà se non di più di quello attualmente aperto, chiamiamola la metà oscura. Servono soldi, naturalmente, per riaprire. Con coraggio Tomei e Magnani, sostenute dal sovrintendente Bottini, dicono: «Troviamoli... Facciamo se necessario un Project financing... cerchiamo sponsor... mettiamoci quel che possiamo dei nostri soldi... ma insomma riapriamo».
Di che parlano? Degli spazi off limits del Museo, una meraviglia piena di mistero e di potenzialità. Entrarci è un'emozione. Sono chiuse al pubblico le 14 grandi, grandissime «Aule» che in anni lontani hanno ospitato esposizioni e mostre, per poi cadere in un lungo oblio da cui non sembrano più in grado di riemergere. Solo come pavimentazione si superano i 2500 metri quadri. Ma la vera bellezza è in altezza, in metri cubi. Non a caso qui dentro Rodolfo Lanciani organizzò nell'Italietta del 1911 la grande esposizione che permise di numerare le Aule, numerazione che ancora resiste sulle altissime murature di laterizi. E ora?
Il Museo nazionale romano che è aperto al pubblico resiste dal 1889 abbarbicato nelle sale prospicienti il bellissimo «Giardino dei Cinquecento» dirimpettaio della Stazione Termini e di tutta quella serie di bancarelle che costellano il marciapiede antistante. Immette, dopo la visita al suo vastissimo dipartimento epigrafico (la più grande raccolta di epigrafi romane ma anche greche che ci sia al mondo, con quindicimila «pezzi» di straordinario rilievo) e alla sezione della Protostoria romana, nel Chiostro di Michelangelo, una passeggiata nel silenzio di centinaia di reperti allineati sotto i portici come «edicole», statue, erme. È ciò che resta di patrimonio dopo la fuoriuscita di molte opere che sono state trasferite a Palazzo Altemps (la collezione Ludovisi) o al vicino Palazzo Massimo.
Sembra già molto, eppure non lo è appena si schiudono le porte di tutto ciò che è oggi off limits. Basta farsi aprire la porta che immette nel secondo Chiostro del Museo, il Chiostro Ludovisi, che giace chiuso e in precarie condizioni (salvo il tetto a capriate rifatto da poco tempo) accanto al chiostro maggiore michelangiolesco. Lì le pareti mostrano le iniezioni nere di cemento, i vetri rotti indicano il cielo, tutta la struttura cinquecentesca mostra ciò che questo luogo potrebbe diventare insieme al primo piano che per le progettiste potrebbe ospitare in futuro uno spazio espositivo di migliaia di oggetti oggi chiusi nei depositi. «Ci riferiamo agli instrumenta domestica - dicono Tornei e Magnani - Le suppellettili della vita quotidiana romana, vetri, lucerne, piatti, bronzi, bronzetti, gioielli ma anche arnesi da lavoro. Trabocchiamo di materiali non esposti. Nel solo caveau di Palazzo Massimo sono stati trasferiti ben 55.000 frammenti...».
Ma la meraviglia è subito dopo, nelle «Aule», che fanno parte della struttura originaria ideata per le più grandi Tenne dell'antichità, i bagni di Diocleziano sorti tra il 298 e il 306 dell'era volga re. L'ingresso oggi è alla rovescia, rispetto alla numerazione ideata nel 1911. Si parte dall'aula XI e si va verso la I, passando per ciò che resta della «natatio», la grandiosa piscina in cui si dice entrassero anche tremila romani insieme. Alla prima occhiata si capisce subito perché queste Terme, che erano state progettate con i lati di quasi 400 metri di lunghezza, siano state considerate un portento fin dall'antichità affascinando poi generazioni di artisti, dal Petrarca che in una famosa lettera (Epistole familiari) se ne mostra totalmente affascinato al Bramante, ai Sangallo, al Peruzzi, ad Andrea Palladio. «Queste aule possono diventare un museo di se stesse», sostengono convinte Tomei e Magnani indicando tutto ciò che è già incredibilmente disseminato da una sezione all'altra fino alla grande distesa di sarcofagi che riempiono l'aula I (uno mostra un incredibile e struggente giovinetto finemente adagiato con le gambe intrecciate e una veste ondulata che lo accarezza, mentre alla sua mano si avvicina minaccioso un serpentello marmoreo).
L'aula XI, forse la più maestosa, è lunga una quarantina di metri, l'altezza è di 25. Vicino c'è l'Aula IX, a cielo aperto, e due esedre contrapposte. La IV contiene ancora un tempietto tetrastilo corinzio di Torrenova, del II secolo d.C. La VI mostra la riproduzione altissima in gesso della porta del tempio di Roma ed Augusto ad Ancyra (l'Ankara turca di oggi). Fuori ci sono le piscine, poi il percorso torna al coperto. Sembra incredibile che tutto ciò non possa essere messo a frutto.
Eppure lo spreco è lì, alla porta d'ingresso della città, «Il nostro progetto è diviso per lotti e settori - spiegano Tomei e Magnani -. Per il primo triennio abbiamo previsto una spesa di 25 milioni di euro. Ma con quel che qui ne potrebbe venir fuori, la città e tutto il paese potrebbero essere arricchiti di uno spazio museale nuovo di straordinario potere suggestivo. In questo luogo non è difficile pensare alla nascita di grandi eventi culturali...». Più in là ci sono già recuperate le aule olearie, sotto l'ex Magistero, e poi l'Aula Ottagona, separata dal resto da via Cernaia, una ferita introdotta nel 1878. Da qualche giorno il progetto di recupero delle Tenne è nelle mani del sovrintendente Angelo Bottini. Le sue prime parole sono state: «Fantastico. Ma ora bisogna trovare il modo di farlo diventare realtà...».
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nota al disegno, dal nostro archivio: Vestigie delle Terme Diocleziane

Calendario Romano - 29 ac ca

Calendario Romano - 29 ac ca

Scoperta nel Sinis una statuetta della Roma pre-imperiale

Scoperta nel Sinis una statuetta della Roma pre-imperiale
31/12/2005 Giornale di Sardegna

A rc h e o l o g i a
Scoperta nel Sinis una statuetta della Roma pre-imperiale. È un bronzetto al to tredici centimetri che riaccende il dibattito tra gli studiosi. di Maria Obinu Una dea tra rovi e misteri nel quale è nata. Intorno al reperto, per ora, c'è uno stretto riserbo. Unica cosa certa è che si tratta di una figura femminile, con tutta probabilità rappresenta una dea dell'Olimpo romano. La donna raffigurata è vestita solo dell'him anti on, una sorta di mantello non raro soprattutto nell'iconografia greca e nelle mani non stringe alcun oggetto.

La necropoli di Tharros
Una piccola statua bronzea, con tutta probabilità databile al periodo della Roma pre imperiale. È questo l'ultimo reperto archeologico restituito dal Sinis. La zona, ricca di storia, ancora una volta offre testimonianze del suo passato. La scoperta questa volta è stata effettuata dal comando provinciale della Guardia di Finanza di Oristano. La piccola statua, alta circa 13 centimetri, è stata rinvenuta a Capo San Marco, poco distante dalla necropoli della città fenicia di Tharros. Non è escluso che nella stessa zona possano, in questi giorni, essere ritrovati altri importanti reperti, anche perchè l'operazione delle Fiamme Gialle non si è ancora conclusa.

LA STATUA, già in mano al curatore e responsabile dell'antiquarium arborense di Oristano, professor Raimondo Zucca, dovrà ora essere datata con esattezza, così come va accertato anche il contesto culturale menti si dovrà capire chi la statuina dovesse rappresentare. Di sicuro il suo ritrovamento è importante soprattutto perché statue bronzee femminili nella storia della Sardegna romana sono piuttosto rare. Un reperto archeologico simile fu ritrovato nel 1857 sempre nella zona del Sinis, a Zerrei. La scoperta in quel caso venne fatta da un gentiluomo della zona, Beniamino Orrù di San Vero Milis. La piccola figura in bronzo rappresentata la dea Flora e fu rinvenuta poco distante dal luogo nel quale sorgeva un vero e propio santuario, i cui resti ancora oggi sono visibili. Altri oggetti simili furono portati alla luce all'inizio del secolo scorso a Fordongianus. Anche in quel caso vennero scoperte statue di bronzo rappresentanti divinità maschili e una dea femminile, Minerva. Più ricco di testimonianze analoghe invece il tempio di Antas, nell'Iglesiente. Il ritrovamento della statuina riaccende il dibattito culturale e politico sorto tra i comuni di Oristano e Cabras sul luogo più indicato nel quale far sorgere un museo del periodo fenicio, punico e romano che la Regione intende promuovere nell'Oristanese. Ancora una volta il Comune lagunare potrà vantare il fatto che la maggior parte dei reperti di quelle epoche proviene dal proprio territorio e la gran parte di essi si trova nei musei di Cagliari o Sassari.

Il Palatino osservato da sud


Il Palatino osservato da sud

Il Solco di Romolo

Il Solco di Romolo

Il ritorno degli acroliti: un libro racconta la storia degli scavi di Morgantina

Il ritorno degli acroliti: un libro racconta la storia degli scavi di Morgantina
AMELIA CRISANTINO
MARTEDÌ, 15 DICEMBRE 2009 LA REPUBBLICA - Palermo

Alleata dei romani durante la prima guerra punica, passò poi dalla parte dei cartaginesi coniando monete d´oro con la scritta "Sikeliotan"

Demetra e Kore sono tornate a casa, al Museo archeologico di Aidone. I reperti della fine del VI secolo avanti Cristo provengono da scavi clandestini nell´antica città di Morgantina, erano finiti nei musei americani attraverso le aste internazionali e solo una lunga odissea di rogatorie e mediazioni diplomatiche le ha riportate in Sicilia. Le statue fanno da avanguardia a una piccola pattuglia di reperti ugualmente trafugati, per cui si è riusciti ad attivare le procedure di rientro in Italia: già cominciano i preparativi per accogliere la Venere ancora esposta al Paul Getty Museum.
Fino ad oggi Demetra e Kore sono i più antichi esemplari conosciuti di statue eseguite con tecnica acrolitica, cioè con le estremità in marmo e il corpo in legno o terracotta. Sono in grandezza naturale, hanno occhi a mandorla privi di pupille e il sorriso un po´ inquietante, il corpo da sempre destinato a essere ricoperto con stoffe e oggi rivestito dalla stilista Marella Ferrera con un tulle di lana tessuto a telaio.
In occasione del ritorno delle dee, un libro curato da Giuseppe Guzzetta ci permette di ricollocarle nel loro contesto: s´intitola Morgantina a cinquant´anni dalle ricerche sistematiche (Sciascia editore, 141 pagine, 15 euro) e possiamo leggervi di una città fondata nell´età del bronzo di cui si era smarrita la memoria. Nel 1955 era ancora accettata l´ipotesi avanzata da Fazello nel XV secolo, che identificava Morgantina con la sicula Herbita: nel 1884 la prima campagna di scavi aveva portato alla luce una casa ellenistica con pavimenti in mosaico, ma solo nel 1912 Paolo Orsi avanzava i primi dubbi sull´identificazione; il grande archeologo intuiva l´esistenza di un´intera città sepolta sotto il pianoro di Serra Orlando, era tanto sicuro da definirla una "Pompei sicula".
Gli scavi sistematici danno ragione ad Orsi. Cominciano nel 1955 con una missione archeologica americana della Princeton University di cui fa parte re Gustavo di Svezia, archeologo provetto piuttosto insolito che generosamente contribuisce a finanziare i lavori. Sono scavi fortunati, che rivelano un mondo sconosciuto. La tipologia dei reperti conferma la presenza dei Morgeti, popolazione italica che a partire dal XIII secolo avanti Cristo assieme ad Ausoni e Siculi aveva occupato la Sicilia. Morgantina era stata più volte distrutta e riedificata. La prima volta nell´VIII secolo, per essersi opposta all´invasione dei coloni greci. Malcom Bell, che da anni dirige gli scavi, scrive come verso la metà del V secolo avanti Cristo - durante la rivolta dei Siculi contro l´egemonia greca - la città sia stata rifondata in un sito cinque volte più grande del vecchio insediamento. A partire dal IV secolo comincia l´età d´oro: Morgantina è alleata di Siracusa, i resti degli edifici monumentali raccontano di una città ricca di traffici, con un fertile entroterra e naturali vie fluviali che facilitano gli scambi.
Durante la prima guerra punica, come tutta la Sicilia orientale Morgantina è alleata dei Romani. Ma nella seconda guerra punica parteggia per i Cartaginesi, diventa base operativa per la lega siculo-punica. Si libera del presidio romano e conia monete, anche una serie in oro molto bella con l´orgogliosa scritta "Sikeliotan" sul bordo, con un valore di scambio assimilabile a un´odierna banconota da 100 euro. Cioè una moneta "pesante", che rimanda a grossi volumi di traffici e a una solida ricchezza. Nel 211 la città che lo scrittore bizantino Zonara difinì sempre ribelle venne però distrutta dai romani, consegnata in premio ai mercenari spagnoli.
Ed è Silvio Raffiotta a raccontarci la storia delle monete d´oro coniate a Morgantina, tanto rare da non essere mai ritrovate durante gli scavi ufficiali ma, immesse nel mercato internazionale dai trafficanti clandestini, più volte inserite nei cataloghi di prestigiose case d´asta. La loro origine illegale è da tutti conosciuta, per aggirare eventuali rivendicazioni dello Stato d´origine i musei usano mettere temporaneamente in mostra i pezzi «a rischio»: se nessuno li rivendica vengono acquisiti, altrimenti si restituiscono al proprietario. Così è accaduto nel caso del Paul Getty di Malibù che, in attesa degli eventi, nel 1988 collocò gli acroliti di Demetra e Kore in una vetrina. In quel caso, un tombarolo «pentito» informò la magistratura di Enna e le sculture furono reclamate.