Il rilancio di Ostia Antica? Parte da Oltreoceano.
Lidia Lombardi
12/10/2008, IL TEMPO
Il rilancio di Ostia Antica? Parte da Oltreoceano. D'accordo, è mediatico. Ma è un input ad amministratori e politici per una sfida che il parco archeologico capitolino potrebbe tentare, se messo in condizioni di farlo.
Il fatto. Dopo nove anni di restauri, stanno per essere aperte al pubblico quattro case affrescate del II secolo dopo Cristo. Da fine ottobre potremo scoprire l'unica testimonianza di che cosa fosse la pittura romana dopo la distruzione di Pompei. Insomma, all'ombra dei Vesuvio si vede come dipingevano sui muri i romani del primo secolo dopo Cristo. A Ostia Antica che cosa succedeva una cinquantina di anni dopo. Altri affreschi non ci sono. Ed ecco allora il sasso nello stagno lanciato dal «New York Times». Ostia Antica potrebbe aspirare a minare il primato di Pompei. «L'apertura dei nuovi siti - scrive il quotidiano americano - restituirà maggiore attenzione alle sue bellezze, oscurate per anni dal fascino della tragedia pompeiana». Va oltre Norbert Zimmermann, presidente dell'Associazione internazionale per i dipinti antichi: «Se non fosse per i resti di Ostia Antica sarebbe difficile immaginare lo stile di vita di quell'era».
Giriamo l'input ad Angelo Pellegrino, da dieci anni responsabile degli scavi nell'antico porto fluviale capitolino. Archeologo appassionato quanto pacato, Pellegrino. Uno che lavora a Ostia da vent'anni («Mi sono laureato in antichità greche e romane all'università di Napoli, ho vinto il concorso di sovrintendente e ho lasciato la teoria per la pratica»), che tante volte s'è caricato sulle spalle una cassa di reperti, come i colleghi, «perché in questo parco c'è un solo operaio».
Ma insomma, Pellegrino, la gara con Pompei si può fare? Rispetto agli anni Ottanta gli ingressi sono più che raddoppiati, negli ultimi dieci anni se ne contano 150 mila in più. L'archeologo ci riceve nella sua stanza, piccola e spartana, che guarda sulle rovine e l'ombrello verde dei pini. Spoglia la scrivania. «Guardi - dice Pellegrino a Il Tempo - Pompei, con il suo milione e mezzo di visite annue, è un caso a parte. Noi superiamo i 300 mila visitatori in 12 mesi. Potremmo ospitarne 600 mila. Di più no. Non per problemi di spazio, perché il nostro territorio equivale a quello di Pompei. Ma perché manca personale di custodia e di manutenzione. La mattina disponiamo di 4 custodi su 80 ettari. Insufficienti i supporti informatici. Vede, sulla mia scrivania non c'è computer».
Usciamo nel sole. Tra il basolato del Decumano Maximo e lo scorcio del Teatro, raggiungiamo le quattro dimore dipinte. Le chiamano Case a Giardino, perché si dispongono attorno a una spazio quadrato nel quale si credeva ci fossero fiori ma che i saggi nel terreno hanno rilevato poi essere uno sterrato con fontane ai lati. Sorsero tra il 117 il 138 dopo Cristo, nel corso della risistemazione voluta dall'imperatore Adriano. Erano abitate da imprenditori e commercianti del porto. Benestanti che vollero decorare con pitture le pareti di tablini e salotti. «Tre sono state scoperte nel 1938, una 30 anni dopo. Per mezzo secolo sono state lasciate così. Infestate piano piano da piante, incrostate dal pulviscolo atmosferico, insidiate dall'umidità». La svolta alla fine degli anni '90. «La Melandri era ministro per i Beni Culturali, venne in visita qui, le vide, ci promise fondi straordinari. Che arrivarono un anno dopo. Cominciammo così, usando con parsimonia anche i soldi offerti da due sponsor, l'università di Ginevra e "Porto di Roma", società di gestione del porto turistico dalla quale abbiamo avuto 100 mila euro. Ci hanno aiutano anche i 15 giovani restauratori del Centro Formazione Maestranze Edili nei due mesi l'anno di cantieri-scuola».
S'apre la prima casa, «delle volte dipinte». Agili figurette sullo sfondo rosso pompeiano sul soffitto, una scena erotica nel cubiculum, fondo bianco e fiori stilizzati nelle altre stanze. Nella «Casa delle Muse» soprende anche il mosaico bianco-nero del pavimento. Apollo col manto azzurro campeggia in un riquadro del salotto. L'abito e l'acconciatura delle Muse, raffigurate con tratto leggero, nervoso, squarciano il costume dell'epoca. La «Casa delle Pareti gialle» ha ambienti decorati anche nel III secolo. Nello studio gli ultimi proprietari, meno facoltosi, sulle pareti hanno sostituito al marmo un trompe l'oeil. Figure danzanti nella quarta casa, di Lucceia Primitiva. Si chiama così per il graffito scoperto su una parete. Un'ospite o l'antica proprietaria, Lucceia, ringrazia la Dea Fortuna.
Lidia Lombardi
12/10/2008, IL TEMPO
Il rilancio di Ostia Antica? Parte da Oltreoceano. D'accordo, è mediatico. Ma è un input ad amministratori e politici per una sfida che il parco archeologico capitolino potrebbe tentare, se messo in condizioni di farlo.
Il fatto. Dopo nove anni di restauri, stanno per essere aperte al pubblico quattro case affrescate del II secolo dopo Cristo. Da fine ottobre potremo scoprire l'unica testimonianza di che cosa fosse la pittura romana dopo la distruzione di Pompei. Insomma, all'ombra dei Vesuvio si vede come dipingevano sui muri i romani del primo secolo dopo Cristo. A Ostia Antica che cosa succedeva una cinquantina di anni dopo. Altri affreschi non ci sono. Ed ecco allora il sasso nello stagno lanciato dal «New York Times». Ostia Antica potrebbe aspirare a minare il primato di Pompei. «L'apertura dei nuovi siti - scrive il quotidiano americano - restituirà maggiore attenzione alle sue bellezze, oscurate per anni dal fascino della tragedia pompeiana». Va oltre Norbert Zimmermann, presidente dell'Associazione internazionale per i dipinti antichi: «Se non fosse per i resti di Ostia Antica sarebbe difficile immaginare lo stile di vita di quell'era».
Giriamo l'input ad Angelo Pellegrino, da dieci anni responsabile degli scavi nell'antico porto fluviale capitolino. Archeologo appassionato quanto pacato, Pellegrino. Uno che lavora a Ostia da vent'anni («Mi sono laureato in antichità greche e romane all'università di Napoli, ho vinto il concorso di sovrintendente e ho lasciato la teoria per la pratica»), che tante volte s'è caricato sulle spalle una cassa di reperti, come i colleghi, «perché in questo parco c'è un solo operaio».
Ma insomma, Pellegrino, la gara con Pompei si può fare? Rispetto agli anni Ottanta gli ingressi sono più che raddoppiati, negli ultimi dieci anni se ne contano 150 mila in più. L'archeologo ci riceve nella sua stanza, piccola e spartana, che guarda sulle rovine e l'ombrello verde dei pini. Spoglia la scrivania. «Guardi - dice Pellegrino a Il Tempo - Pompei, con il suo milione e mezzo di visite annue, è un caso a parte. Noi superiamo i 300 mila visitatori in 12 mesi. Potremmo ospitarne 600 mila. Di più no. Non per problemi di spazio, perché il nostro territorio equivale a quello di Pompei. Ma perché manca personale di custodia e di manutenzione. La mattina disponiamo di 4 custodi su 80 ettari. Insufficienti i supporti informatici. Vede, sulla mia scrivania non c'è computer».
Usciamo nel sole. Tra il basolato del Decumano Maximo e lo scorcio del Teatro, raggiungiamo le quattro dimore dipinte. Le chiamano Case a Giardino, perché si dispongono attorno a una spazio quadrato nel quale si credeva ci fossero fiori ma che i saggi nel terreno hanno rilevato poi essere uno sterrato con fontane ai lati. Sorsero tra il 117 il 138 dopo Cristo, nel corso della risistemazione voluta dall'imperatore Adriano. Erano abitate da imprenditori e commercianti del porto. Benestanti che vollero decorare con pitture le pareti di tablini e salotti. «Tre sono state scoperte nel 1938, una 30 anni dopo. Per mezzo secolo sono state lasciate così. Infestate piano piano da piante, incrostate dal pulviscolo atmosferico, insidiate dall'umidità». La svolta alla fine degli anni '90. «La Melandri era ministro per i Beni Culturali, venne in visita qui, le vide, ci promise fondi straordinari. Che arrivarono un anno dopo. Cominciammo così, usando con parsimonia anche i soldi offerti da due sponsor, l'università di Ginevra e "Porto di Roma", società di gestione del porto turistico dalla quale abbiamo avuto 100 mila euro. Ci hanno aiutano anche i 15 giovani restauratori del Centro Formazione Maestranze Edili nei due mesi l'anno di cantieri-scuola».
S'apre la prima casa, «delle volte dipinte». Agili figurette sullo sfondo rosso pompeiano sul soffitto, una scena erotica nel cubiculum, fondo bianco e fiori stilizzati nelle altre stanze. Nella «Casa delle Muse» soprende anche il mosaico bianco-nero del pavimento. Apollo col manto azzurro campeggia in un riquadro del salotto. L'abito e l'acconciatura delle Muse, raffigurate con tratto leggero, nervoso, squarciano il costume dell'epoca. La «Casa delle Pareti gialle» ha ambienti decorati anche nel III secolo. Nello studio gli ultimi proprietari, meno facoltosi, sulle pareti hanno sostituito al marmo un trompe l'oeil. Figure danzanti nella quarta casa, di Lucceia Primitiva. Si chiama così per il graffito scoperto su una parete. Un'ospite o l'antica proprietaria, Lucceia, ringrazia la Dea Fortuna.