IL POPOLO DETENTORE DELLA SOVRANITÀ
Detentore della sovranità non è il senato, ma il populus Romanus Quiritium. Il senato ha soltanto l’auctoritas, che si esplica nel senatus consultum, che è il diritto riconosciuto ai senatori per la loro competenza di consigliare i magistrati nei provvedimenti da prendere e nelle proposte da fare al popolo. Al popolo tocca di decidere della guerra e della pace, e nella procedura d’appello tra la condanna a morte e la condanna a pene corporali. Ma quel che più importa, il popolo può scegliere i magistrati e con ciò determinare la composizione del senato, giacché il senato è composto di ex-magistrati, successivamente anche di membri della bassa magistratura fino ai questori compresi.
In occasione delle elezioni il popolo si riunisce nella sede dell’esercito sul Campo Marzio. Come l’esercito, anche il corpo elettorale è diviso in centurie dette comitia centuriata. Ogni centuria dispone di un voto, di modo che la I classe, costituita da coloro che possono accedere al consolato, coi suoi 98 voti contro 95, ha un vantaggio iniziale sulla massa dei votanti, rendendo spesso superflue le votazioni. Per l’elezione dei suoi tribuni la plebe, secondo le disposizioni della lex Publiha, che si suppone promulgata nel 471, si reca suddivisa per rione (detto tribus) ai comitia tributa. Dapprima ci sono solo 4 rioni cittadini, in seguito anche 17 provinciali detti tribus rusticae, e infine, a partire dal 241, 35 tribù, ognuna con un voto. Il compito dei tribuni della plebe, che all’inizio sono 2, dal 241 in poi pare salgano a 5, infine a 10, è proteggere ogni plebeo dagli arbitri dei magistrati. Tale diritto, detto ius intercedendi ovverosia ius auxilii, non si estende però al campo di battaglia. Più ampio è il diritto di veto, che concede di appellarsi contro le risoluzioni del senato e gli ordini dei magistrati, e d’imporre le risoluzioni del popolo, cioè i plebiscita attraverso assemblee popolari convocate in forza del ius agendi cum plebe. Questo diritto si fonda sulla priorità della plebe, o, come dice la tradizione, su una ulteriore organizzazione della plebe a « stato dentro lo stato ». Il suo rapporto con le risoluzioni della totalità del popolo ossia con le leges rimane in discussione fino al 287, quando la lex Hortensia sancisce la piena uguaglianza dei diritti. Magistrati ausiliari dei tribuni sono gli aediles piebis, eletti anch’essi durante i comizi tributi; essi esercitano la giurisdizione del mercato e, in forza del ius prensionis, cioè del diritto dei tribuni di arrestare i renitenti, anche il potere di polizia. Al loro fianco stanno gli aediles curules, nel cui ufficio dal 338 in poi si alternano regolarmente plebei e patrizi: ai curules spetta di organizzare gli spettacoli in occasione delle feste. La giurisdizione superiore sta nelle mani del praetor urbanus. Dal 241 in poi al suo fianco sta un pretore, qui inter peregrinos ius dicit e al quale durante le campagne militari spetta di sostituire il console; a questo scopo gli vengono assegnati 6 littori. Gli edicfa praetorum, pubblicati anno per anno, ci rendono noti i princìpi legali seguiti.
Detentore della sovranità non è il senato, ma il populus Romanus Quiritium. Il senato ha soltanto l’auctoritas, che si esplica nel senatus consultum, che è il diritto riconosciuto ai senatori per la loro competenza di consigliare i magistrati nei provvedimenti da prendere e nelle proposte da fare al popolo. Al popolo tocca di decidere della guerra e della pace, e nella procedura d’appello tra la condanna a morte e la condanna a pene corporali. Ma quel che più importa, il popolo può scegliere i magistrati e con ciò determinare la composizione del senato, giacché il senato è composto di ex-magistrati, successivamente anche di membri della bassa magistratura fino ai questori compresi.
In occasione delle elezioni il popolo si riunisce nella sede dell’esercito sul Campo Marzio. Come l’esercito, anche il corpo elettorale è diviso in centurie dette comitia centuriata. Ogni centuria dispone di un voto, di modo che la I classe, costituita da coloro che possono accedere al consolato, coi suoi 98 voti contro 95, ha un vantaggio iniziale sulla massa dei votanti, rendendo spesso superflue le votazioni. Per l’elezione dei suoi tribuni la plebe, secondo le disposizioni della lex Publiha, che si suppone promulgata nel 471, si reca suddivisa per rione (detto tribus) ai comitia tributa. Dapprima ci sono solo 4 rioni cittadini, in seguito anche 17 provinciali detti tribus rusticae, e infine, a partire dal 241, 35 tribù, ognuna con un voto. Il compito dei tribuni della plebe, che all’inizio sono 2, dal 241 in poi pare salgano a 5, infine a 10, è proteggere ogni plebeo dagli arbitri dei magistrati. Tale diritto, detto ius intercedendi ovverosia ius auxilii, non si estende però al campo di battaglia. Più ampio è il diritto di veto, che concede di appellarsi contro le risoluzioni del senato e gli ordini dei magistrati, e d’imporre le risoluzioni del popolo, cioè i plebiscita attraverso assemblee popolari convocate in forza del ius agendi cum plebe. Questo diritto si fonda sulla priorità della plebe, o, come dice la tradizione, su una ulteriore organizzazione della plebe a « stato dentro lo stato ». Il suo rapporto con le risoluzioni della totalità del popolo ossia con le leges rimane in discussione fino al 287, quando la lex Hortensia sancisce la piena uguaglianza dei diritti. Magistrati ausiliari dei tribuni sono gli aediles piebis, eletti anch’essi durante i comizi tributi; essi esercitano la giurisdizione del mercato e, in forza del ius prensionis, cioè del diritto dei tribuni di arrestare i renitenti, anche il potere di polizia. Al loro fianco stanno gli aediles curules, nel cui ufficio dal 338 in poi si alternano regolarmente plebei e patrizi: ai curules spetta di organizzare gli spettacoli in occasione delle feste. La giurisdizione superiore sta nelle mani del praetor urbanus. Dal 241 in poi al suo fianco sta un pretore, qui inter peregrinos ius dicit e al quale durante le campagne militari spetta di sostituire il console; a questo scopo gli vengono assegnati 6 littori. Gli edicfa praetorum, pubblicati anno per anno, ci rendono noti i princìpi legali seguiti.