Archeologia, siti a rischio La villa romana di Saturo
di FRANCESCO MAZZOTTA
CORRIERE DEL MEZZOGIORNO 21 nov 2010 Lecce
E’ un pilastro del futuro polo museale di Taranto ma ha urgente bisogno di interventi di risanamento per evitare crolli e far ripartire gli scavi
E’una bella giornata d’autunno. Dal mare spira vento di scirocco. E la vista è mozzafiato dall’acropoli che sovrasta il promontorio sul quale insiste il Parco archeologico di Saturo, a pochi chilometri da Taranto, lungo la costa ionico-salentina. Secondo l’Associazione nazionale archeologi, che dopo il crollo di Pompei ha lanciato l’allarme e denunciato il profondo degrado nel quale ristagna larga parte del patrimonio del Paese, l’area è uno dei siti pugliesi a rischio. E dopo aver descritto la geografia nel suo complesso (vedi «strappino» qui sotto, ndr.), il Corriere del Mezzogiorno da oggi inizia a raccontare le varie criticità caso per caso.
Dalla collinetta che domina l’area di Saturo, dove le testimonianze vanno dal neolitico all’età romana, si scorgono a distanza i resti di un complesso termale del III-IV secolo d.C. ormai divorato dall’erba e dalle piante di capperi. «Guai a tirarle: si rischia di sradicare i basamenti», avverte Gianluca Guastella, presidente di Polisviluppo. È la cooperativa di giovani archeologi tarantini che dal 2006 - a costo zero per Soprintendenza e Comune di Leporano - si è impegnata nel rilancio del parco avendo come unica fonte di finanziamento un punto ristoro (da non confondere col vicino caffè-ristorante Satyrion). Il contratto scade ad aprile del 2011. E in ballo c’è un sostanzioso finanziamento per un progetto di recupero totale del sito, dove le rovine - mal protette da recinzioni divelte in più punti - sono alla mercé di vandali e tombaroli, oltre che delle intemperie.
Il progetto di risanamento lo ha presentato la stessa cooperativa a Invitalia, l’Agenzia nazionale che agisce su mandato del Governo. «Con il Marta (Museo archeologico di Taranto, ndr.) e il Parco archeologico di Manduria, l’area di Saturo - spiega Guastella - sarà uno dei tre pilastri del Polo museale di Taranto». Il finanziamento richiesto include gli scavi, che qui non si fanno dal 1980. Servirebbero, per esempio, per riportare completamente alla luce la villa del III secolo d.C. abbarbicata sulle rocce che danno sul mare. Se si scende dalla collina, per fiancheggiare la villa lungo la scogliera, si vede spuntare dal suolo il soffitto di una cisterna dove veniva riscaldata l’acqua per i bagni. «Ci auguriamo - dice Guastella - che il Ministero finanzi gli scavi e metta tutto in sicurezza secondo i piani previsti dalla Soprintendenza, con la quale condividiamo molte idee».
A metà strada tra le terme e la villa svetta una torre del XVI secolo, per la quale è un eufemismo parlare di degrado. «Una parte rischia di crollare da un momento all’altro», assicura Guastella indicando il punto pericolante con una mano, mentre con l’altra passa in rassegna le scritte con le quali sono state imbrattate le mura esterne. Nella parte alta dell’insediamento c’è un’altra cisterna, del II secolo d.C.: durante la seconda guerra mondiale fu adibita per l’impasto del cemento con cui costruire i bunker, presenti in gran numero su questa parte di costa; ai romani serviva per raccogliere l’acqua sorgiva che forniva non solo le terme ma anche Taranto con l’acquedotto Aqua Nymphalis. Poche tracce sono presenti solo in città e rischiano di sbriciolarsi: per questo l’acquedotto è finito nella mappa redatta dall’Associazione archeologi, che mette in lista anche le Colonne doriche per l’assenza di una diagnosi di staticità. Rimanendo sull’acropoli di Saturo, basta abbassare lo sguardo e notare a pochi metri le testimonianze di un santuario greco, la cui presenza indica come questo lembo di terra sia stato un centro di culto. Un altro santuario, ma indigeno, indicato nella mappa dell’Ana, si trova poco fuori l’area di Saturo, in zona Gandoli: gli scavi sono iniziati, ma per mancanza di fondi durano appena 20 giorni all’anno. Ad est della collina che sovrasta il parco, nella valle di Porto Pirrone, si trova anche una piccola necropoli a fossa di età classico-ellenistica, mentre dalla parte opposta ci sono i resti di un villaggio dell’età del bronzo. E non è tutto. Perché secondo l’università di Pavia non è da escludere che qui, sulle sponde dove la leggenda vuole sia sbarcato Falanto, il fondatore della capitale della Magna Grecia, siano transitati persino gli etruschi.