l’Unità 14.12.07
A volte ritornano: ecco i tesori ritrovati
di Stefano Miliani
MARTEDÌ IL QUIRINALE apre le sue stanze ai numerosi reperti archeologici che, trafugati dall’Italia, avevano trovato «casa» nei musei esteri. Molti provengono dal Getty Museum di Los Angeles
Come in una sorta di abbraccio tra civiltà greca, etrusca e romana, da martedì 18 dicembre fino al 2 marzo il Quirinale espone 77 pezzi che farebbe felice una marea di musei e collezionisti nella mostra «Nostoi. Capolavori ritrovati»: reperti di qualità spesso strabiliante, a detta degli archeologi, tornati in pianta stabile in Italia. Sebbene vedere statue, un brano d’affresco pompeiano, stupendi vasi attici in ceramica a figure nere (se dipinte su fondo rossastro) o a figure rosse (se su fondo nero), bronzetti etruschi, possa lasciare un senso di rimpianto per quanta storia e quante conoscenze sugli antenati abbiamo perduto.
Qualche esemplare della mostra invita a citare una tavola cerimoniale in marmo policromo con due grifoni che divorano una cerva del IV secolo a.C., già al Getty Museum di Los Angeles; una statua in marmo di Apollo con grifone del I-II secolo d.C., proveniente sempre dall’istituto californiano; un’anfora etrusca con serpente dipinto, riconsegnata dal Fine Arts di Boston; una raffinata e piccola Nike (una vittoria alata) a opera etrusca rubata nel ’75 alla soprintendenza archeologica di Ercolano e restituita di sua «spontanea» volontà dal gallerista newyorkese Jerome Eisenberg; il Cratere del pittore Eufronio, vaso attico a figure rosse già al Metropolitan di New York e in arrivo a gennaio al Quirinale. Sono alcune delle 77 opere elaborate tra il VII secolo a.C. e il II d.C. provienienti dall’Etruria, dal Lazio, dal territorio, dalla Puglia che il palazzo presidenziale, luogo simbolicamente significativo, espone su iniziativa del ministro per i beni culturali Rutelli. E non espone i reperti solo perché «belli»: li espone perché a suo tempo trafugati e restituiti all’Italia nell’ultimo anno o due, dopo lunghe trattative e accordi diplomatici il cui culmine è stato l’intesa siglata con il Getty. Un inciso: il museo riconsegna 40 pezzi, 39 vanno al Quirinale, il 40esimo, la cosiddetta Venere di Morgantina, rientrerà nel 2010, negli intendimenti, per tornare da dove è partita, la Sicilia. Altro e ancor più importante inciso: nelle intenzioni, ogni opera tornerà nei territori d’origine o nel museo più competente.
Con questa rassegna il ministero cosa vuole? È un’azione di propaganda politica? «Piuttosto propaganda culturale - risponde Maurizio Fiorilli, che per l’avvocatura dello Stato presiede la commissione ministeriale e conduce la battaglia legale del dicastero con i vari musei -. Da un lato si dà conto di quanto ottenuto: come i compagni di Ulisse erano dei “ritornanti”, così queste opere hanno compiuto il loro viaggi di ritorno. Dall’altro lato vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica, far capire che il nostro patrimonio va tutelato. Aggiungo che questa ricchezza è stata scavata e rubata da cittadini italiani ed è stata oggetto di mercimonio da parte di cittadini italiani». Che fa, straccia il mito degli italiani brava gente? «E bisogna anche sfatare il mito dei tombaroli come dei poveretti. Non sono affatto dei poveri Cristi».
«L’emorragia di materiali archeologici non è mai cessata - interviene Stefano De Caro, già soprintedente in Campania e ora direttore generale del ministero per il patrimonio archeologico -. Anzi ha conosciuto nel dopoguerra nell’intero Mezzogiorno, in Sicilia, nel Lazio e nella Toscana, un’accelerazione disperante». Un saccheggio sotterraneo in piena regola. Reso possibile da più fattori: «L’agricoltura meccanizzata e gli insediamenti urbani hanno moltiplicato le occasioni di rinvenimenti fortuiti; l’insufficiente capacità di controllo delle soprintendenze; l’insinuarsi negli scavi clandestini della malavita organizzata in collegamento con mercanti stranieri; l’accresciuta richiesta di musei e collezionisti…». La Mafia ha fatto affari d’oro. E all’estero troppi erano pronti a pagare profumatamente simili sforzi attingendo a complicate ed elaborate reti di commercio nascosto. Adesso però, annota De Caro, qualcosa è cambiato: musei e archeologi e Stati sono consapevoli che depredare l’arte è un crimine. Però qualcuno a volte ha obiettato: meglio esporre e studiare un’antichità all’estero che lasciarla interrata. «Non è una visione nazionalistica dell’archeologia», osserva in catalogo De Caro, a far rivendicare il maltolto. «È una visione scientifica, soprattutto eticamente legittimata, del rispetto del contesto di provenienza senza il quale i reperti, al di là della seduzione volatile della loro bellezza, diventano muti». Guardiamo l’anfora di Eutimide che cita un grande atleta della Magna Grecia, Faillo, strappata al sepolcro d’origine: «A chi apparteneva?», domanda De Caro. O ancora: chi accompagnò nell’al di là la misteriosa religiosità di un cratere con divinità minori di un Olimpo greco che forse guardava ad altre sponde del Mediterraneo? «Forse se avessimo avuto il corredo per intero, avremmo potuto rispondere a queste domande. Purtroppo dobbiamo solo accontentarci della pur grande bellezza e rimpiangere che quei barlumi di storia non possano risplendere più. Mai più».
A volte ritornano: ecco i tesori ritrovati
di Stefano Miliani
MARTEDÌ IL QUIRINALE apre le sue stanze ai numerosi reperti archeologici che, trafugati dall’Italia, avevano trovato «casa» nei musei esteri. Molti provengono dal Getty Museum di Los Angeles
Come in una sorta di abbraccio tra civiltà greca, etrusca e romana, da martedì 18 dicembre fino al 2 marzo il Quirinale espone 77 pezzi che farebbe felice una marea di musei e collezionisti nella mostra «Nostoi. Capolavori ritrovati»: reperti di qualità spesso strabiliante, a detta degli archeologi, tornati in pianta stabile in Italia. Sebbene vedere statue, un brano d’affresco pompeiano, stupendi vasi attici in ceramica a figure nere (se dipinte su fondo rossastro) o a figure rosse (se su fondo nero), bronzetti etruschi, possa lasciare un senso di rimpianto per quanta storia e quante conoscenze sugli antenati abbiamo perduto.
Qualche esemplare della mostra invita a citare una tavola cerimoniale in marmo policromo con due grifoni che divorano una cerva del IV secolo a.C., già al Getty Museum di Los Angeles; una statua in marmo di Apollo con grifone del I-II secolo d.C., proveniente sempre dall’istituto californiano; un’anfora etrusca con serpente dipinto, riconsegnata dal Fine Arts di Boston; una raffinata e piccola Nike (una vittoria alata) a opera etrusca rubata nel ’75 alla soprintendenza archeologica di Ercolano e restituita di sua «spontanea» volontà dal gallerista newyorkese Jerome Eisenberg; il Cratere del pittore Eufronio, vaso attico a figure rosse già al Metropolitan di New York e in arrivo a gennaio al Quirinale. Sono alcune delle 77 opere elaborate tra il VII secolo a.C. e il II d.C. provienienti dall’Etruria, dal Lazio, dal territorio, dalla Puglia che il palazzo presidenziale, luogo simbolicamente significativo, espone su iniziativa del ministro per i beni culturali Rutelli. E non espone i reperti solo perché «belli»: li espone perché a suo tempo trafugati e restituiti all’Italia nell’ultimo anno o due, dopo lunghe trattative e accordi diplomatici il cui culmine è stato l’intesa siglata con il Getty. Un inciso: il museo riconsegna 40 pezzi, 39 vanno al Quirinale, il 40esimo, la cosiddetta Venere di Morgantina, rientrerà nel 2010, negli intendimenti, per tornare da dove è partita, la Sicilia. Altro e ancor più importante inciso: nelle intenzioni, ogni opera tornerà nei territori d’origine o nel museo più competente.
Con questa rassegna il ministero cosa vuole? È un’azione di propaganda politica? «Piuttosto propaganda culturale - risponde Maurizio Fiorilli, che per l’avvocatura dello Stato presiede la commissione ministeriale e conduce la battaglia legale del dicastero con i vari musei -. Da un lato si dà conto di quanto ottenuto: come i compagni di Ulisse erano dei “ritornanti”, così queste opere hanno compiuto il loro viaggi di ritorno. Dall’altro lato vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica, far capire che il nostro patrimonio va tutelato. Aggiungo che questa ricchezza è stata scavata e rubata da cittadini italiani ed è stata oggetto di mercimonio da parte di cittadini italiani». Che fa, straccia il mito degli italiani brava gente? «E bisogna anche sfatare il mito dei tombaroli come dei poveretti. Non sono affatto dei poveri Cristi».
«L’emorragia di materiali archeologici non è mai cessata - interviene Stefano De Caro, già soprintedente in Campania e ora direttore generale del ministero per il patrimonio archeologico -. Anzi ha conosciuto nel dopoguerra nell’intero Mezzogiorno, in Sicilia, nel Lazio e nella Toscana, un’accelerazione disperante». Un saccheggio sotterraneo in piena regola. Reso possibile da più fattori: «L’agricoltura meccanizzata e gli insediamenti urbani hanno moltiplicato le occasioni di rinvenimenti fortuiti; l’insufficiente capacità di controllo delle soprintendenze; l’insinuarsi negli scavi clandestini della malavita organizzata in collegamento con mercanti stranieri; l’accresciuta richiesta di musei e collezionisti…». La Mafia ha fatto affari d’oro. E all’estero troppi erano pronti a pagare profumatamente simili sforzi attingendo a complicate ed elaborate reti di commercio nascosto. Adesso però, annota De Caro, qualcosa è cambiato: musei e archeologi e Stati sono consapevoli che depredare l’arte è un crimine. Però qualcuno a volte ha obiettato: meglio esporre e studiare un’antichità all’estero che lasciarla interrata. «Non è una visione nazionalistica dell’archeologia», osserva in catalogo De Caro, a far rivendicare il maltolto. «È una visione scientifica, soprattutto eticamente legittimata, del rispetto del contesto di provenienza senza il quale i reperti, al di là della seduzione volatile della loro bellezza, diventano muti». Guardiamo l’anfora di Eutimide che cita un grande atleta della Magna Grecia, Faillo, strappata al sepolcro d’origine: «A chi apparteneva?», domanda De Caro. O ancora: chi accompagnò nell’al di là la misteriosa religiosità di un cratere con divinità minori di un Olimpo greco che forse guardava ad altre sponde del Mediterraneo? «Forse se avessimo avuto il corredo per intero, avremmo potuto rispondere a queste domande. Purtroppo dobbiamo solo accontentarci della pur grande bellezza e rimpiangere che quei barlumi di storia non possano risplendere più. Mai più».