La Morte di Claudio Flavio Giuliano di Ammiano Marcellino
Mentre venivano fatte queste cose, Giuliano, che giaceva sotto la tenda, disse a coloro che, avviliti e tristi, lo circondavano:
"Adesso giunge, o compagni, il tempo più adatto per allontanarsi dalla vita, che è reclamata dalla natura.
Esulto, come colui che sta per restituire un debito in buona fede.
Non sono afflitto e addolorato (come alcuni pensano).
Sono guidato dalla opinione generale dei filosofi che l'anima sia più felice del corpo.
E osservo che, ogni volta che una condizione migliore sia separata da una peggiore, occorre rallegrarsi piuttosto che dolersi.
Noto anche che gli dei celesti donarono ad alcuni molto religiosi la morte come sommo premio.
Ma so bene che quel compito mi è stato affidato non per soccombere nelle ardue difficoltà, né per avvilirmi, né per umiliarmi.
Ho imparato a conoscere per esperienza che tutti i dolori colpiscono chi è senza energia, ma cedono di fronte a coloro che persistono.
Non ho da pentirmi di quanto ho fatto, né mi tormenta il ricordo di qualche grave delitto.
Sia nel periodo in cui ero relegato in ombra e in povertà, sia dopo aver assunto il principato, ho conservato immacolata (o almeno così penso) la mia anima, che discende dagli dei celesti per parentela.
Ho gestito con moderazione gli affari civili e, con motivate ragioni, ho fatto e allontanato la guerra.
Tuttavia il successo e l'utilità delle decisioni non sempre concordano, poiché gli dei superni rivendicano a sé i risultati delle azioni.
Reputo che scopo di un giusto impero siano il benessere e la sicurezza dei sudditi.
Fui sempre propenso, come sapete, alla pace.
Ho allontanato dalle mie azioni ogni arbitrio, corruttore degli atti e dei costumi.
Me ne vado felice, sapendo che ogniqualvolta la repubblica, come imperioso genitore, mi ha esposto a pericoli prestabiliti, sono rimasto fermo, abituato a dominare i turbini degli eventi fortuiti.
Non sarà vergognoso riconoscere che da lungo tempo ho appreso da una predizione profetica che sarei morto mediante un ferro.
Perciò venero il sempiterno nume, perché non muoio per clandestine insidie, o tra i dolori delle malattie, né subisco la fine dei condannati, ma in mezzo a splendide glorie, ho meritato una illustre dipartita dal mondo.
E' giudicato pusillanime ed ignavo colui che desidera morire quando non è il momento opportuno e colui che tenta di sfuggire alla morte quando è il momento giusto.
Il parlare è stato sufficiente, ora il vigore delle forze mi sta abbandonando.
Per quanto concerne la nomina del nuovo imperatore, ho deciso cautamente di non pronunciarmi. Non voglio omettere per imprudenza qualcuno degno. Né voglio sottoporre a pericolo di vita qualcuno che ritengo adatto ad essere nominato, qualora un altro gli venisse preferito.
Ma come un bravo figlio della repubblica, desidero che si trovi dopo di me un buon imperatore."
...Essi tacquero, ed egli discusse approfonditamente con i filosofi Massimo e Prisco sulla sublimità delle anime. La ferita al fianco, dove era stato trafitto, si allargò. Il gonfiore delle vene gli impedì di respirare. Bevve dell'acqua gelida che aveva chiesto. In mezzo al terrore religioso della notte, venne sciolto senza difficoltà dalla vita. Aveva 32 anni.