Acqui, la piccola Pompei che verrà chiusa in garage
V. de Benedictis
18/10/2009 IL SECOLOXIX
Quattromila metri quadrati di domus romane torneranno sottoterra
Il Comune non ha i sette milioni per acquistare l'area e salvare i reperti
Acqui Terme. Non c'è più molto tempo: cantiere fermo da aprile, sulle "domus" della Roma imperiale cresce una rigogliosa vegetazione. Abitazioni che fanno parte di due quartieri, edificati tra il primo secolo a. C. e il quarto dopo Cristo: perfetta la strada principale, circa quattro metri di larghezza, ciottolato e marciapiede intatti, ai lati sei case ben visibili, la Soprintendenza dice «conservate nella loro organizzazione planimetrica», ma ad Acqui si ascoltano espressioni più terra terra, tipo: «Un'emozione unica». Qualche domus pare più ampia delle altre, sui 700-800 metri quadrati, i saloni in grado di ricevere gli ospiti e spesso decorati con mosaici, le cucine con i forni, il fognone che passa nelle viscere. Ambienti riscaldati, le camere da letto. Cortili e pozzi. E anfore, tante anfore; suppellettili e oggetti di vita quotidiana in ceramica, vetro, bronzo, ferro. Erano zone residenziali, non certo popolari, di Aquae Statiellae, centro che rivestiva una certa importanza per l'acqua bollente che sgorga a 75 gradi. Le terme erano assai apprezzate dai romani. Più piccole le altre case, 200-300 metri quadrati.
«Rinvenimento che assume carattere di eccezionalità» si entusiasma Egle Micheletto, soprintendente regionale ai Beni Archeologici. Una piccola Pompei piemontese, volendo forzare molto la mano. Non c'è niente di simile (per estensione, 4 mila metri quadrati) in tutto il Nord Italia. Chiunque abbia avuto accesso al cantiere si illumina.
Ma ce ne sarà poca di luce in futuro per vedere la preziosa area archeologica: perchéè stata rinvenuta dopo aver buttato giù l'ex mercato della città e scavando le fondamenta di un palazzo in costruzione con annessi box e garage. Dunque l'area è privata. Presto il cantiere ripartirà e metà dei quartieri verrà coperta completamente (i resti saranno asportati ed esposti da qualche altra parte, ma vuoi mettere la differenza), l'altra metà sarà conservata e visibile ma avrà come tetto una soletta in cemento. Un garage, insomma. Di grandissimo fascino, ma un garage. È la mediazione pensata dalla Soprintendenza per superare l'ostacolo, pare insormontabile, dei costi.
Il Comune aveva già pregustato passerelle e passaggi sulla piccola Pompei acquese da offrire ai turisti prima o dopo aver fatto un salto alle Terme o nel bellissimo centro storico. Sai che "promo" per la città che sta annaspando sul versante industrie e ha virato sul turismo legato al benessere. Avrebbe potuto affiancare agli Archi dell'acquedotto romano addirittura una città d'epoca in miniatura. Ma come tutti i Comuni è all'affannosa ricerca di soldi che da Roma arrivano sempre meno. «Non abbiamo sette milioni per comprare l'area dai privati, rimborsare quelli già spesi dall'impresa, restaurare i resti archeologici e allestire il percorso museale come avevamo pensato»è la sentenza senza appello di qualche mese fa del sindaco di Acqui Danilo Rapetti. Finora solo la Regione ha scucito 262 mila euro a patto che l'amministrazione locale ne aggiunga 200 mila. Altri 700 mila euro il Comune può ricavarli "scomputando" gli oneri urbani all'impresa. Ma è tutto qui. Dunque, si copre. «Rimuoveremo tutti gli ostacoli per musealizzare l'area con l'aiuto finanziario di Soprintendenza e Regione», aggiunge la city manager Laura Bruna. Chi vorrà vedere un pezzo di storia dovrà scendere sotto il palazzo in costruzione, 74 alloggi, sette piani, più qualche ufficio e negozi, i box un'ottantina, molti meno di quelli che gli imprenditori - Gruppo Eleca di Cantù - avevano in mente quando acquistarono il mercato coperto. Il gruppo accetterà a giorni la mediazione proposta: «L'edificio coprirà tutta l'area - dice il progettista Pierluigi Muschiato, ex city-manager del Comune di Acqui - i resti saranno a vista ma bisogna far presto, ancora sei mesi e subiranno un deterioramento». Già dall'aprile scorso la "Arkaia", impresa genovese specializzata in scavi archeologici, si è dovuta fermare.
Anche la vita dei due quartieri periferici di Aquae Statiellae si fermò. Le frequenti alluvioni del rio Usignolo consigliarono ai residenti di spostarsi altrove, magari verso il centro, nei pressi della fonte Bollente. Forse il fango ha protetto l'insediamento per qualche secolo, si spiega anche così il buono stato di conservazione, anche se nel Medioevo molto materiale fu asportato e usato per altre costruzioni. «Un elemento di ulteriore interesse - aggiunge Marica Venturino, soprintendente che segue l'area alessandrina e dunque gli scavi acquesi - è dato dalla possibilità di cogliere in uno stesso sito l'evoluzione del tessuto urbanistico di una parte della città antica, dall'età imperiale all'alto medioevo». Qui, in Alto Medioevo, fu eretta una necropoli con tombe a inumazione.
In città, nei mesi scorsi, si è scatenato un dibattito politico-culturale: l'opposizione di centrosinistra ha chiesto un consiglio comunale per salvare il sito romano (si è poi optato per una riunione di commissione), si è mossa Italia Nostra, c'è chi ha suggerito di interpellare le università americane alla ricerca di fondi e chi ha rispolverato il 5 per mille e le sponsorizzazioni private. Risultati, al momento: zero. Domanda: ma la Soprintendenza non può porre un bel vincolo archeologico e non se ne parla più? Risponde la soprintendente Egle Micheletto che ha l'avallo, ovviamente, della direttrice regionale Liliana Pittarello: «I finanziamenti necessari per l'acquisizione pubblica dell'area sono molto ingenti: in questo periodo di crisi le risorse, già solitamente limitate ,sono ancora di più difficile reperimento». Le voci parlano di una Soprintendenza restia a porre il vincolo perché senza soldi i due quartieri romani, a cielo aperto, senza restauri e coperture, rischiano il degrado in poco tempo. Se non saltano fuori finanziamenti, gli acquesi si accontentino di vedere le domus romane in un enorme, affascinante, scantinato.
18/10/2009
gli altri gioielli
Sono molte le scoperte archeologiche fatte ad Acqui Terme, anche in tempi recenti. Dall'alto il teatro romano, rinvenuto una decina di anni fa, quindi i resti dell'acquedotto romano di epoca imperiale, uno dei simboli della città, che era lungo tredici chilometri. Quindi un tratto delle mura di cinta che sono venute alla luce quattro anni fa e hanno dimostrato che la città era più estesa di quanto si pensasse. Nella quarta foto la piscina costruita in epoca imperiale e scoperta nel 1913. Infine un reperto conservato nel ricco Museo archeologico ospitato all'interno del Castello dei paleologi.
V. de Benedictis
18/10/2009 IL SECOLOXIX
Quattromila metri quadrati di domus romane torneranno sottoterra
Il Comune non ha i sette milioni per acquistare l'area e salvare i reperti
Acqui Terme. Non c'è più molto tempo: cantiere fermo da aprile, sulle "domus" della Roma imperiale cresce una rigogliosa vegetazione. Abitazioni che fanno parte di due quartieri, edificati tra il primo secolo a. C. e il quarto dopo Cristo: perfetta la strada principale, circa quattro metri di larghezza, ciottolato e marciapiede intatti, ai lati sei case ben visibili, la Soprintendenza dice «conservate nella loro organizzazione planimetrica», ma ad Acqui si ascoltano espressioni più terra terra, tipo: «Un'emozione unica». Qualche domus pare più ampia delle altre, sui 700-800 metri quadrati, i saloni in grado di ricevere gli ospiti e spesso decorati con mosaici, le cucine con i forni, il fognone che passa nelle viscere. Ambienti riscaldati, le camere da letto. Cortili e pozzi. E anfore, tante anfore; suppellettili e oggetti di vita quotidiana in ceramica, vetro, bronzo, ferro. Erano zone residenziali, non certo popolari, di Aquae Statiellae, centro che rivestiva una certa importanza per l'acqua bollente che sgorga a 75 gradi. Le terme erano assai apprezzate dai romani. Più piccole le altre case, 200-300 metri quadrati.
«Rinvenimento che assume carattere di eccezionalità» si entusiasma Egle Micheletto, soprintendente regionale ai Beni Archeologici. Una piccola Pompei piemontese, volendo forzare molto la mano. Non c'è niente di simile (per estensione, 4 mila metri quadrati) in tutto il Nord Italia. Chiunque abbia avuto accesso al cantiere si illumina.
Ma ce ne sarà poca di luce in futuro per vedere la preziosa area archeologica: perchéè stata rinvenuta dopo aver buttato giù l'ex mercato della città e scavando le fondamenta di un palazzo in costruzione con annessi box e garage. Dunque l'area è privata. Presto il cantiere ripartirà e metà dei quartieri verrà coperta completamente (i resti saranno asportati ed esposti da qualche altra parte, ma vuoi mettere la differenza), l'altra metà sarà conservata e visibile ma avrà come tetto una soletta in cemento. Un garage, insomma. Di grandissimo fascino, ma un garage. È la mediazione pensata dalla Soprintendenza per superare l'ostacolo, pare insormontabile, dei costi.
Il Comune aveva già pregustato passerelle e passaggi sulla piccola Pompei acquese da offrire ai turisti prima o dopo aver fatto un salto alle Terme o nel bellissimo centro storico. Sai che "promo" per la città che sta annaspando sul versante industrie e ha virato sul turismo legato al benessere. Avrebbe potuto affiancare agli Archi dell'acquedotto romano addirittura una città d'epoca in miniatura. Ma come tutti i Comuni è all'affannosa ricerca di soldi che da Roma arrivano sempre meno. «Non abbiamo sette milioni per comprare l'area dai privati, rimborsare quelli già spesi dall'impresa, restaurare i resti archeologici e allestire il percorso museale come avevamo pensato»è la sentenza senza appello di qualche mese fa del sindaco di Acqui Danilo Rapetti. Finora solo la Regione ha scucito 262 mila euro a patto che l'amministrazione locale ne aggiunga 200 mila. Altri 700 mila euro il Comune può ricavarli "scomputando" gli oneri urbani all'impresa. Ma è tutto qui. Dunque, si copre. «Rimuoveremo tutti gli ostacoli per musealizzare l'area con l'aiuto finanziario di Soprintendenza e Regione», aggiunge la city manager Laura Bruna. Chi vorrà vedere un pezzo di storia dovrà scendere sotto il palazzo in costruzione, 74 alloggi, sette piani, più qualche ufficio e negozi, i box un'ottantina, molti meno di quelli che gli imprenditori - Gruppo Eleca di Cantù - avevano in mente quando acquistarono il mercato coperto. Il gruppo accetterà a giorni la mediazione proposta: «L'edificio coprirà tutta l'area - dice il progettista Pierluigi Muschiato, ex city-manager del Comune di Acqui - i resti saranno a vista ma bisogna far presto, ancora sei mesi e subiranno un deterioramento». Già dall'aprile scorso la "Arkaia", impresa genovese specializzata in scavi archeologici, si è dovuta fermare.
Anche la vita dei due quartieri periferici di Aquae Statiellae si fermò. Le frequenti alluvioni del rio Usignolo consigliarono ai residenti di spostarsi altrove, magari verso il centro, nei pressi della fonte Bollente. Forse il fango ha protetto l'insediamento per qualche secolo, si spiega anche così il buono stato di conservazione, anche se nel Medioevo molto materiale fu asportato e usato per altre costruzioni. «Un elemento di ulteriore interesse - aggiunge Marica Venturino, soprintendente che segue l'area alessandrina e dunque gli scavi acquesi - è dato dalla possibilità di cogliere in uno stesso sito l'evoluzione del tessuto urbanistico di una parte della città antica, dall'età imperiale all'alto medioevo». Qui, in Alto Medioevo, fu eretta una necropoli con tombe a inumazione.
In città, nei mesi scorsi, si è scatenato un dibattito politico-culturale: l'opposizione di centrosinistra ha chiesto un consiglio comunale per salvare il sito romano (si è poi optato per una riunione di commissione), si è mossa Italia Nostra, c'è chi ha suggerito di interpellare le università americane alla ricerca di fondi e chi ha rispolverato il 5 per mille e le sponsorizzazioni private. Risultati, al momento: zero. Domanda: ma la Soprintendenza non può porre un bel vincolo archeologico e non se ne parla più? Risponde la soprintendente Egle Micheletto che ha l'avallo, ovviamente, della direttrice regionale Liliana Pittarello: «I finanziamenti necessari per l'acquisizione pubblica dell'area sono molto ingenti: in questo periodo di crisi le risorse, già solitamente limitate ,sono ancora di più difficile reperimento». Le voci parlano di una Soprintendenza restia a porre il vincolo perché senza soldi i due quartieri romani, a cielo aperto, senza restauri e coperture, rischiano il degrado in poco tempo. Se non saltano fuori finanziamenti, gli acquesi si accontentino di vedere le domus romane in un enorme, affascinante, scantinato.
18/10/2009
gli altri gioielli
Sono molte le scoperte archeologiche fatte ad Acqui Terme, anche in tempi recenti. Dall'alto il teatro romano, rinvenuto una decina di anni fa, quindi i resti dell'acquedotto romano di epoca imperiale, uno dei simboli della città, che era lungo tredici chilometri. Quindi un tratto delle mura di cinta che sono venute alla luce quattro anni fa e hanno dimostrato che la città era più estesa di quanto si pensasse. Nella quarta foto la piscina costruita in epoca imperiale e scoperta nel 1913. Infine un reperto conservato nel ricco Museo archeologico ospitato all'interno del Castello dei paleologi.