sabato 31 ottobre 2009
Palatino, apre la terrazza sul Colosseo con la sala girevole di Nerone
Palatino, apre la terrazza sul Colosseo con la sala girevole di Nerone
CECILIA GENTILE
26 OTTOBRE 2009, la Repubblica - ROMA
Una passeggiata in mezzo ai campi e all´improvviso tutto il Colosseo da una prospettiva inedita, finora preclusa ai romani. Ma anche il podio del Tempio di Eliogabalo e gli archi rampanti della sala da pranzo girevole di Nerone, strabiliante recente scoperta archeologica.
Apre oggi al pubblico la "Vigna Barberini", una terrazza artificiale nell´angolo nord-orientale del Palatino, lato Arco di Tito, dal XVII secolo possedimento agricolo dei Barberini e negli ultimi vent´anni interessata ad una profonda campagna di scavi.
L´area viene restituita alla città dopo 40 giorni di lavori finanziati con 90 mila euro, che hanno portato al consolidamento di un muro pericolante e alla realizzazione di un nuovo percorso archeologico. «Siamo qui a festeggiare i tempi brevi dell´intervento - dice il soprintendente archeologico di Roma Angelo Bottini - grazie alla struttura commissariale che ha accelerato le operazioni».
«Abbiamo lavorato in totale concertazione con la Soprintendenza», assicura Roberto Cecchi, commissario per le aree archeologiche di Roma e Ostia Antica. E Francesco Giro, sottosegretario ai Beni culturali: «Il commissariamento funziona. Alla scadenza con l´anno solare, verrà prorogato di alcuni mesi se non di un anno. Poi torneremo alla gestione ordinaria».
«La visita dell´area non comporterà prenotazione, né aumento di biglietto», spiega Maria Antonietta Tomei, direttrice del Palatino. «Al termine di una campagna di scavi durata dal 1985 al 1997 in collaborazione con l´Ecole Française di Roma - riprende l´archeologa - la Soprintendenza ha deciso di reinterrare i reperti, non solo per problemi di manutenzione ma soprattutto per mantenere l´aspetto campestre della Vigna». Le attrazioni principali della terrazza, 110 metri per 150, sono il podio del tempio di Eliogabalo e la sala da pranzo girevole di Nerone, quella che Svetonio, nella Vita dei Cesari chiama "coenatio rotunda".
CECILIA GENTILE
26 OTTOBRE 2009, la Repubblica - ROMA
Una passeggiata in mezzo ai campi e all´improvviso tutto il Colosseo da una prospettiva inedita, finora preclusa ai romani. Ma anche il podio del Tempio di Eliogabalo e gli archi rampanti della sala da pranzo girevole di Nerone, strabiliante recente scoperta archeologica.
Apre oggi al pubblico la "Vigna Barberini", una terrazza artificiale nell´angolo nord-orientale del Palatino, lato Arco di Tito, dal XVII secolo possedimento agricolo dei Barberini e negli ultimi vent´anni interessata ad una profonda campagna di scavi.
L´area viene restituita alla città dopo 40 giorni di lavori finanziati con 90 mila euro, che hanno portato al consolidamento di un muro pericolante e alla realizzazione di un nuovo percorso archeologico. «Siamo qui a festeggiare i tempi brevi dell´intervento - dice il soprintendente archeologico di Roma Angelo Bottini - grazie alla struttura commissariale che ha accelerato le operazioni».
«Abbiamo lavorato in totale concertazione con la Soprintendenza», assicura Roberto Cecchi, commissario per le aree archeologiche di Roma e Ostia Antica. E Francesco Giro, sottosegretario ai Beni culturali: «Il commissariamento funziona. Alla scadenza con l´anno solare, verrà prorogato di alcuni mesi se non di un anno. Poi torneremo alla gestione ordinaria».
«La visita dell´area non comporterà prenotazione, né aumento di biglietto», spiega Maria Antonietta Tomei, direttrice del Palatino. «Al termine di una campagna di scavi durata dal 1985 al 1997 in collaborazione con l´Ecole Française di Roma - riprende l´archeologa - la Soprintendenza ha deciso di reinterrare i reperti, non solo per problemi di manutenzione ma soprattutto per mantenere l´aspetto campestre della Vigna». Le attrazioni principali della terrazza, 110 metri per 150, sono il podio del tempio di Eliogabalo e la sala da pranzo girevole di Nerone, quella che Svetonio, nella Vita dei Cesari chiama "coenatio rotunda".
Ancora reperti romani in piazza Cavour
Ancora reperti romani in piazza Cavour
Edizione del 27 ottobre 2009, CORRIERE ADRIATICO
Camerino Non si fermano i ritrovamenti archeologici in piazza Cavour. E’ di ieri, infatti, la notizia che gli operatori incaricati dalla Sovrintendenza hanno riportato alla luce un nuovo muro e alcune parti di oggetti di terracotta. In particolare, però, l’attenzione degli esperti si sarebbe concentrata sul muro, di grande spessore e forma circolare, probabilmente risalente all’epoca romana. Ipotesi, queste, che potrebbero trovare conferma già oggi, visto che è in programma per la mattinata un nuovo sopralluogo della Sovrintendente per i beni archeologici, Mara Silvestrini. Il muro riportato alla luce ieri si trova nell’angolo di Palazzo Arcivescovile, davanti all’arco di accesso a via Bongiovanni e, dunque, in un punto di particolare importanza per la viabilità cittadina. Che piazza Cavour nascondesse importanti testimonianze della Camerino antica era cosa nota ormai da diverse settimane, ma, a questo punto, i ritrovamenti si stanno facendo davvero interessanti. La necessità di approfondire gli studi, però, si scontra con quella di rispettare i termini previsti per la chiusura dei lavori di rifacimento delle infrastrutture. Tanto che già martedì scorso, l’amministrazione comunale aveva lanciato una sorta di ultimatum alla Sovrintendenza, affinchè si prendesse una decisione sul da farsi entro sette giorni.
Sette giorni che scadono domani ma che, vista l’ulteriore scoperta, potrebbero non essere sufficienti. Cosa fare, allora? Una domanda, questa, che a Camerino cominciano a porsi in tanti, con l’opinione pubblica che è spaccata tra chi considera i reperti una opportunità e chi, invece, li vede come un intralcio al ripristino della viabilità. L’impressione è che la svolta non tarderà ad arrivare. Probabilmente già oggi pomeriggio si saprà quale decisione avranno preso il Palazzo e la Sovrintendenza. Anche perché, come ha affermato il sindaco Conti “la mia preoccupazione è il maltempo. E’ noto che da queste parti l’inverno arriva presto e se passa troppo tempo ci rimettono i lavori alle fra strutture”.
EMANUELE PIERONI
Edizione del 27 ottobre 2009, CORRIERE ADRIATICO
Camerino Non si fermano i ritrovamenti archeologici in piazza Cavour. E’ di ieri, infatti, la notizia che gli operatori incaricati dalla Sovrintendenza hanno riportato alla luce un nuovo muro e alcune parti di oggetti di terracotta. In particolare, però, l’attenzione degli esperti si sarebbe concentrata sul muro, di grande spessore e forma circolare, probabilmente risalente all’epoca romana. Ipotesi, queste, che potrebbero trovare conferma già oggi, visto che è in programma per la mattinata un nuovo sopralluogo della Sovrintendente per i beni archeologici, Mara Silvestrini. Il muro riportato alla luce ieri si trova nell’angolo di Palazzo Arcivescovile, davanti all’arco di accesso a via Bongiovanni e, dunque, in un punto di particolare importanza per la viabilità cittadina. Che piazza Cavour nascondesse importanti testimonianze della Camerino antica era cosa nota ormai da diverse settimane, ma, a questo punto, i ritrovamenti si stanno facendo davvero interessanti. La necessità di approfondire gli studi, però, si scontra con quella di rispettare i termini previsti per la chiusura dei lavori di rifacimento delle infrastrutture. Tanto che già martedì scorso, l’amministrazione comunale aveva lanciato una sorta di ultimatum alla Sovrintendenza, affinchè si prendesse una decisione sul da farsi entro sette giorni.
Sette giorni che scadono domani ma che, vista l’ulteriore scoperta, potrebbero non essere sufficienti. Cosa fare, allora? Una domanda, questa, che a Camerino cominciano a porsi in tanti, con l’opinione pubblica che è spaccata tra chi considera i reperti una opportunità e chi, invece, li vede come un intralcio al ripristino della viabilità. L’impressione è che la svolta non tarderà ad arrivare. Probabilmente già oggi pomeriggio si saprà quale decisione avranno preso il Palazzo e la Sovrintendenza. Anche perché, come ha affermato il sindaco Conti “la mia preoccupazione è il maltempo. E’ noto che da queste parti l’inverno arriva presto e se passa troppo tempo ci rimettono i lavori alle fra strutture”.
EMANUELE PIERONI
Per i reperti romani cambia la viabilità
Per i reperti romani cambia la viabilità
Edizione del 28 ottobre 2009, CORRIERE ADRIATICO
L’ordinanza del sindaco Dario Conti
I reperti di piazza Cavour sono troppo importanti per ricoprirli di cemento senza approfondire adeguatamente gli studi e dare agli esperti il tempo necessario per valutare quanto venuto alla luce. E’ questo quanto stabilito al termine del sopralluogo che la dottoressa Mara Silvestrini, della Sovrintendenza per i beni archeologici delle Marche, ha effettuato ieri mattina nel cantiere di Piazza Cavour. All’incontro, oltre al sindaco Dario Conti, erano presenti l’assessore ai lavori pubblici, Lucarelli, e quello alle attività produttive, Di Girolamo. “Nel corso dell'ultima settimana – ha spiegato il primo cittadino, Conti - sono state effettuate ulteriori indagini dalle quali emerge l'importanza delle strutture archeologiche rinvenute. A tal fine si creeranno punti di visibilità sul cantiere, per dare la possibilità anche ai cittadini di seguire il corso degli scavi”.
Con riferimento agli ultimi ritrovamenti - ha invece affermato l'ing. Marco Orioli, responsabile dei lavori di rifacimento delle infrastrutture del centro storico - si è manifestata la necessità di creare un passaggio per le operazioni di cantiere lungo il perimetro della piazza atto a consentire l'accesso a via Bongiovanni per l'ultimazione dei lavori. In sostanza, sarà ripristinata solo la viabilità necessaria ai mezzi del cantiere, mentre si sta mettendo a punto una soluzione alternativa, ma comunque provvisoria, per il resto della cittadinanza. La soluzione alla quale sono giunti amministratori e soprintendenza, stando a quanto è dato sapere, è quella di sfruttare l'accesso al corso Vittorio Emanuele II, fino ad oggi chiuso al transito, e il completamento di via Bongiovanni. Contestualmente, la Sovrintendenza potrà continuare ad eseguire i necessari approfondimenti archeologici in piazza Cavour.
Edizione del 28 ottobre 2009, CORRIERE ADRIATICO
L’ordinanza del sindaco Dario Conti
I reperti di piazza Cavour sono troppo importanti per ricoprirli di cemento senza approfondire adeguatamente gli studi e dare agli esperti il tempo necessario per valutare quanto venuto alla luce. E’ questo quanto stabilito al termine del sopralluogo che la dottoressa Mara Silvestrini, della Sovrintendenza per i beni archeologici delle Marche, ha effettuato ieri mattina nel cantiere di Piazza Cavour. All’incontro, oltre al sindaco Dario Conti, erano presenti l’assessore ai lavori pubblici, Lucarelli, e quello alle attività produttive, Di Girolamo. “Nel corso dell'ultima settimana – ha spiegato il primo cittadino, Conti - sono state effettuate ulteriori indagini dalle quali emerge l'importanza delle strutture archeologiche rinvenute. A tal fine si creeranno punti di visibilità sul cantiere, per dare la possibilità anche ai cittadini di seguire il corso degli scavi”.
Con riferimento agli ultimi ritrovamenti - ha invece affermato l'ing. Marco Orioli, responsabile dei lavori di rifacimento delle infrastrutture del centro storico - si è manifestata la necessità di creare un passaggio per le operazioni di cantiere lungo il perimetro della piazza atto a consentire l'accesso a via Bongiovanni per l'ultimazione dei lavori. In sostanza, sarà ripristinata solo la viabilità necessaria ai mezzi del cantiere, mentre si sta mettendo a punto una soluzione alternativa, ma comunque provvisoria, per il resto della cittadinanza. La soluzione alla quale sono giunti amministratori e soprintendenza, stando a quanto è dato sapere, è quella di sfruttare l'accesso al corso Vittorio Emanuele II, fino ad oggi chiuso al transito, e il completamento di via Bongiovanni. Contestualmente, la Sovrintendenza potrà continuare ad eseguire i necessari approfondimenti archeologici in piazza Cavour.
domenica 25 ottobre 2009
Scoperto il «Colosseo» del mare
Scoperto il «Colosseo» del mare
Francesca Mariani
IL TEMPO 01/10/2009
Ostia, per la prima volta ritrovati i resti di un Anfiteatro in un luogo marittimo: l'antico Porto Traiano
Secondo gli studiosi le pareti delle tribune erano alte dieci metri
È stato scoperto il «Colosseo» del Porto di Traiano, un anfiteatro in scala, di dimensioni inferiori a quelle del più noto Anfiteatro Flavio, ma grande almeno quanto il Pantheon di Roma, di 42 metri di lunghezza e 38 di larghezza.
Sono state riportate alla luce le fondamenta. L'ipotesi è che l'alzata delle pareti perimetrali che sostenevano le tribune fosse almeno di dieci metri. La scoperta è stata presentata durante un sopralluogo nell'area archeologica di Portus dalla Soprintendenza archeologica di Ostia. È frutto di una campagna di scavo durata tre anni condotta in collaborazione con la British School at Rome, l'Università di Southampton e l'Università di Cambridge, e diretta dal professor Simon Keay. «L'unicità della scoperta - spiega Keay - è che è la prima volta che viene rinvenuto un anfiteatro nel cuore di una zona portuale. Altra particolarità e che questo emiciclo spicca nel centro del Palazzo Imperiale di Traiano, anche se l'edificio appena scoperto è databile all'inizio del III secolo d.C. La nostra sfida è capire perchè ci fosse una struttura simile dentro il palazzo imperiale». L'esempio più assimilabile idealmente è l'Anfiteatro Cartrense di Roma. «La nostra speranza è di dare nuova luce ad un sito archeologico di importanza mondiale - aggiunge Simon Keay - Questo era il porto della Roma imperiale, quindi il più importante del mondo. Purtroppo oggi ancora poco conosciuto e forse troppo dimenticato». La campagna di scavo si chiuderà il 9 ottobre, poi seguiranno le pubblicazioni. Intanto su un sito internet sarà realizzata la ricostruzione virtuale del porto di Roma all'indomani delle nuove scoperte. «Sarebbe importante aprirlo al pubblico - auspica Keay - nel futuro spero che con i nostri lavori la gente conosca le potenzialità del sito».
Francesca Mariani
IL TEMPO 01/10/2009
Ostia, per la prima volta ritrovati i resti di un Anfiteatro in un luogo marittimo: l'antico Porto Traiano
Secondo gli studiosi le pareti delle tribune erano alte dieci metri
È stato scoperto il «Colosseo» del Porto di Traiano, un anfiteatro in scala, di dimensioni inferiori a quelle del più noto Anfiteatro Flavio, ma grande almeno quanto il Pantheon di Roma, di 42 metri di lunghezza e 38 di larghezza.
Sono state riportate alla luce le fondamenta. L'ipotesi è che l'alzata delle pareti perimetrali che sostenevano le tribune fosse almeno di dieci metri. La scoperta è stata presentata durante un sopralluogo nell'area archeologica di Portus dalla Soprintendenza archeologica di Ostia. È frutto di una campagna di scavo durata tre anni condotta in collaborazione con la British School at Rome, l'Università di Southampton e l'Università di Cambridge, e diretta dal professor Simon Keay. «L'unicità della scoperta - spiega Keay - è che è la prima volta che viene rinvenuto un anfiteatro nel cuore di una zona portuale. Altra particolarità e che questo emiciclo spicca nel centro del Palazzo Imperiale di Traiano, anche se l'edificio appena scoperto è databile all'inizio del III secolo d.C. La nostra sfida è capire perchè ci fosse una struttura simile dentro il palazzo imperiale». L'esempio più assimilabile idealmente è l'Anfiteatro Cartrense di Roma. «La nostra speranza è di dare nuova luce ad un sito archeologico di importanza mondiale - aggiunge Simon Keay - Questo era il porto della Roma imperiale, quindi il più importante del mondo. Purtroppo oggi ancora poco conosciuto e forse troppo dimenticato». La campagna di scavo si chiuderà il 9 ottobre, poi seguiranno le pubblicazioni. Intanto su un sito internet sarà realizzata la ricostruzione virtuale del porto di Roma all'indomani delle nuove scoperte. «Sarebbe importante aprirlo al pubblico - auspica Keay - nel futuro spero che con i nostri lavori la gente conosca le potenzialità del sito».
Vitruvio e i romani: una carta vincente
Vitruvio e i romani: una carta vincente
Edizione del 7 ottobre 2009, CORRIERE ADRIATICO
La proposta del format turistico rilanciata da Alberto Berardi trova il consenso del sindaco Aguzzi
Fano. Se veramente Fano ambisce a individuare nel turismo la sua punta di forza, non può fare a meno di un elemento di attrazione, al di là del mare e del sole che tante altre località più concorrenziali della nostra possono offrire. Singolarmente ha ottenuto il sostegno del sindaco di Fano Stefano Aguzzi, la proposta che Alberto Berardi ha fatto al presidente della Provincia Matteo Ricci. “Ogni città o comunità che si rispetti – ha evidenziato Berardi - deve avere turisticamente un elemento forte di attrazione. Quello che si chiama un elemento identitario. La promozione a livello nazionale ed internazionale deve essere almeno provinciale ma le comunità locali più importanti devono apparire ognuna con una icona caratterizzante. Pesaro ha Rossini e presto la Città della musica, Urbino ha Raffaello ed il Rinascimento. Fano può solo, e perciò deve, giocare la sua Romanità. L’Arco d’Augusto, le Mura, i Mosaici, le Statue esistenti non sono cose trascurabili. Per giunta su Fano secondo gli studi di una celebre studioso francese aleggia lo spirito di Vitruvio (si ipotizza la sua nascita nella nostra città) l’architetto di Augusto conosciuto in tutto il mondo. Chi ci può impedire di mettere cartelli con la scritta: “Fano città di Vitruvio”. Ci vuole però un progetto condiviso e globale che non trascuri niente e che faccia tesoro di ogni cosa. La stessa Consolare Flaminia rappresenta una grande forza di attrazione”.
A questo proposito Berardi si chiede che fine ha fatto il progetto Flaminia da lui ideato quando era assessore in Provincia? Un progetto che ancora oggi, date le risorse archeologiche esistenti, mostra tutta la sua validità. La ripresa della valorizzazione della antica consolare ha ottenuto il sostegno anche di Aguzzi. “Comunque – continua Berardi - un percorso romano si può organizzare subito. Gli scavi nel Teatro antico vanno ripresi e portati a termine, le ricerche della Basilica possono diventare per Fano una vera e propria caccia al tesoro. Vitruvio e la romanità possono diventare il cavallo vincente degli anni futuri”.
Edizione del 7 ottobre 2009, CORRIERE ADRIATICO
La proposta del format turistico rilanciata da Alberto Berardi trova il consenso del sindaco Aguzzi
Fano. Se veramente Fano ambisce a individuare nel turismo la sua punta di forza, non può fare a meno di un elemento di attrazione, al di là del mare e del sole che tante altre località più concorrenziali della nostra possono offrire. Singolarmente ha ottenuto il sostegno del sindaco di Fano Stefano Aguzzi, la proposta che Alberto Berardi ha fatto al presidente della Provincia Matteo Ricci. “Ogni città o comunità che si rispetti – ha evidenziato Berardi - deve avere turisticamente un elemento forte di attrazione. Quello che si chiama un elemento identitario. La promozione a livello nazionale ed internazionale deve essere almeno provinciale ma le comunità locali più importanti devono apparire ognuna con una icona caratterizzante. Pesaro ha Rossini e presto la Città della musica, Urbino ha Raffaello ed il Rinascimento. Fano può solo, e perciò deve, giocare la sua Romanità. L’Arco d’Augusto, le Mura, i Mosaici, le Statue esistenti non sono cose trascurabili. Per giunta su Fano secondo gli studi di una celebre studioso francese aleggia lo spirito di Vitruvio (si ipotizza la sua nascita nella nostra città) l’architetto di Augusto conosciuto in tutto il mondo. Chi ci può impedire di mettere cartelli con la scritta: “Fano città di Vitruvio”. Ci vuole però un progetto condiviso e globale che non trascuri niente e che faccia tesoro di ogni cosa. La stessa Consolare Flaminia rappresenta una grande forza di attrazione”.
A questo proposito Berardi si chiede che fine ha fatto il progetto Flaminia da lui ideato quando era assessore in Provincia? Un progetto che ancora oggi, date le risorse archeologiche esistenti, mostra tutta la sua validità. La ripresa della valorizzazione della antica consolare ha ottenuto il sostegno anche di Aguzzi. “Comunque – continua Berardi - un percorso romano si può organizzare subito. Gli scavi nel Teatro antico vanno ripresi e portati a termine, le ricerche della Basilica possono diventare per Fano una vera e propria caccia al tesoro. Vitruvio e la romanità possono diventare il cavallo vincente degli anni futuri”.
Un euro per la «lancia di Enea», a Pomezia si apre la sottoscrizione
Un euro per la «lancia di Enea», a Pomezia si apre la sottoscrizione
16 OTTOBRE 2009, CORRIERE DELLA SERA
È stato presentato al Museo Archeologico Lavinium il progetto promosso dall'associazione Tyrrhenum «1 euro per la lancia di Enea». Ieri è iniziata la sottoscrizione per il recupero di quest'importante reperto archeologico.
Scegliendo come data evocativa il 15 ottobre (anniversario della nascita di Publio Virgilio Marone) e come luogo il Museo Lavinium, grazie alla passione ed alla disponibilità di Maria Luisa Bruto, responsabile del Museo di Pratica di Mare, si è deciso di lanciare la pubblica sottoscrizione. Il versamento si potrà fare nella sede dell’associazione e ogni sabato mattina in piazza Indipendenza a Pomezia.
16 OTTOBRE 2009, CORRIERE DELLA SERA
È stato presentato al Museo Archeologico Lavinium il progetto promosso dall'associazione Tyrrhenum «1 euro per la lancia di Enea». Ieri è iniziata la sottoscrizione per il recupero di quest'importante reperto archeologico.
Scegliendo come data evocativa il 15 ottobre (anniversario della nascita di Publio Virgilio Marone) e come luogo il Museo Lavinium, grazie alla passione ed alla disponibilità di Maria Luisa Bruto, responsabile del Museo di Pratica di Mare, si è deciso di lanciare la pubblica sottoscrizione. Il versamento si potrà fare nella sede dell’associazione e ogni sabato mattina in piazza Indipendenza a Pomezia.
In via dei Cerchi la storia delle origini, tra tecnologia e antiche statue
In via dei Cerchi la storia delle origini, tra tecnologia e antiche statue
FRANCESCA GIULIANI
SABATO, 17 OTTOBRE 2009 LA REPUBBLICA - Roma
Il polo espositivo allo studio della Giunta Pronto in cinque anni costerà 125 milioni
L´ultima volta che ne ha parlato in pubblico è stato ad una registrazione del Costanzo Show una decina di giorni fa, assicurando che sarà pronto fra due-tre anni e che ospiterà anche la Collezione Torlonia. Così il sindaco Alemanno si è lasciato conquistare da una idea che a lungo ha coltivato - e su cui molto ha lavorato - la giunta Veltroni, cara ad alcuni archeologi tra cui Andrea Carandini. Si tratta della nascita di un nuovo museo che racconti e documenti la storia delle origini della città, con sede nel cosiddetto Palazzo dei Musei, ad un estremo del Circo Massimo, dal lato della Bocca della Verità. Sul tavolo del sindaco e negli uffici del sovraintendente Umberto Broccoli è pronto un ampio studio che ne verifica la fattibilità, ne sonda gli orizzonti di riuscita e ne delinea caratteristiche, tempi di realizzazione, spesa. In questi giorni si susseguono le riunioni tecniche, prima della discussione in consiglio comunale, delle gare di appalto e della presentazione alla stampa.
Allestito nello storico "Palazzo dei Musei" - per decenni sede dell´ufficio elettorale, dell´assessorato al commercio, del deposito dei costumi del teatro dell´Opera - il museo sarà "porta d´accesso" al sistema turistico della città, uno spazio complessivo di 24 mila metri quadri in tre grandi edifici. L´obiettivo, si legge nel corposo dossier, è di farne un "landmark urbano", traccia di alta riconoscibilità e impatto. Per questo i termini di paragone sono con Quai de Branly, l´ultimo museo parigino che ospita l´arte africana, con il Museum of London a Barbican.
Le aree funzionali saranno ripartite praticamente a metà fra accoglienza e fruizione. Il racconto della città - dalle capanne sul Palatino ai trionfi dell´Impero - sarà integrato da esposizioni temporanee e da un teatro virtuale. La terrazza sarà un osservatorio sul cuore della città moderna, attrezzata con binocoli temporali e con un grande ristorante dal doppio accesso. Tra le funzioni aggiuntive, una foresteria, organizzata in un bed and breakfast di lusso su 500 metri quadri, con una decina di stanze, arredato come un piccolo museo del design contemporaneo italiano.
Ora che la "fattibilità" è acclarata, anche sulla base degli ambiti di interesse dei turisti-visitatori della Città eterna, richiamati soprattutto da un ambito di interesse storico-artistico che questa nuova struttura andrebbe ad integrare, le prossime tappe sono il concorso di progettazione (con il coinvolgimento dei privati), con l´ausilio di forme di project financing e concorso di idee. Per vedere il Museo delle origini di Roma diventare realtà serviranno cinque anni dalla sua approvazione definitiva. Ma già dopo un paio si potrà inaugurare la seizone con la mostra sul passato di Roma, dopo tre inaugurare una mostra permanente, dopo quattro la terrazza e infine l´intero complesso. La previsione di spesa è di 125 milioni di euro.
È ancora aperta l´acquisizione della trattativa per la Collezione Torlonia che, con le sue trecento statue, sarebbe il punto di forza dell´allestimento. Tra indispensabili trovate come touch-screen, plug ‘n play, hands on ovvero tutti gli ultimi congegni della cultura museale contemporanea, capace di tenere attenti anche i più giovani sulla storia delle origini di questa città, un tocco di classe a rimarcare l´unicità di Roma.
FRANCESCA GIULIANI
SABATO, 17 OTTOBRE 2009 LA REPUBBLICA - Roma
Il polo espositivo allo studio della Giunta Pronto in cinque anni costerà 125 milioni
L´ultima volta che ne ha parlato in pubblico è stato ad una registrazione del Costanzo Show una decina di giorni fa, assicurando che sarà pronto fra due-tre anni e che ospiterà anche la Collezione Torlonia. Così il sindaco Alemanno si è lasciato conquistare da una idea che a lungo ha coltivato - e su cui molto ha lavorato - la giunta Veltroni, cara ad alcuni archeologi tra cui Andrea Carandini. Si tratta della nascita di un nuovo museo che racconti e documenti la storia delle origini della città, con sede nel cosiddetto Palazzo dei Musei, ad un estremo del Circo Massimo, dal lato della Bocca della Verità. Sul tavolo del sindaco e negli uffici del sovraintendente Umberto Broccoli è pronto un ampio studio che ne verifica la fattibilità, ne sonda gli orizzonti di riuscita e ne delinea caratteristiche, tempi di realizzazione, spesa. In questi giorni si susseguono le riunioni tecniche, prima della discussione in consiglio comunale, delle gare di appalto e della presentazione alla stampa.
Allestito nello storico "Palazzo dei Musei" - per decenni sede dell´ufficio elettorale, dell´assessorato al commercio, del deposito dei costumi del teatro dell´Opera - il museo sarà "porta d´accesso" al sistema turistico della città, uno spazio complessivo di 24 mila metri quadri in tre grandi edifici. L´obiettivo, si legge nel corposo dossier, è di farne un "landmark urbano", traccia di alta riconoscibilità e impatto. Per questo i termini di paragone sono con Quai de Branly, l´ultimo museo parigino che ospita l´arte africana, con il Museum of London a Barbican.
Le aree funzionali saranno ripartite praticamente a metà fra accoglienza e fruizione. Il racconto della città - dalle capanne sul Palatino ai trionfi dell´Impero - sarà integrato da esposizioni temporanee e da un teatro virtuale. La terrazza sarà un osservatorio sul cuore della città moderna, attrezzata con binocoli temporali e con un grande ristorante dal doppio accesso. Tra le funzioni aggiuntive, una foresteria, organizzata in un bed and breakfast di lusso su 500 metri quadri, con una decina di stanze, arredato come un piccolo museo del design contemporaneo italiano.
Ora che la "fattibilità" è acclarata, anche sulla base degli ambiti di interesse dei turisti-visitatori della Città eterna, richiamati soprattutto da un ambito di interesse storico-artistico che questa nuova struttura andrebbe ad integrare, le prossime tappe sono il concorso di progettazione (con il coinvolgimento dei privati), con l´ausilio di forme di project financing e concorso di idee. Per vedere il Museo delle origini di Roma diventare realtà serviranno cinque anni dalla sua approvazione definitiva. Ma già dopo un paio si potrà inaugurare la seizone con la mostra sul passato di Roma, dopo tre inaugurare una mostra permanente, dopo quattro la terrazza e infine l´intero complesso. La previsione di spesa è di 125 milioni di euro.
È ancora aperta l´acquisizione della trattativa per la Collezione Torlonia che, con le sue trecento statue, sarebbe il punto di forza dell´allestimento. Tra indispensabili trovate come touch-screen, plug ‘n play, hands on ovvero tutti gli ultimi congegni della cultura museale contemporanea, capace di tenere attenti anche i più giovani sulla storia delle origini di questa città, un tocco di classe a rimarcare l´unicità di Roma.
Archeologi italiani e russi cercano i tesori di Stabiae
Archeologi italiani e russi cercano i tesori di Stabiae
ANNA LAURA DE ROSA
SABATO, 17 OTTOBRE 2009 LA REPUBBLICA Napoli
Avviata la collaborazione con l´Ermitage di San Pietroburgo
Stabiae riemerge dalle ceneri dell´eruzione del Vesuvio del 79 d. C. Scavi condotti sulla collina di Varano tra il 2007 e il 2009, dalla soprintendenza di Pompei e dalla fondazione Ras, hanno esplorato due residenze di epoca romana: Villa San Marco e Villa Arianna (11mila e 6 mila mq). Gli archeologi hanno ritrovato l´ingresso secondario di Villa San Marco. Qui, lungo un cortile di 108 mq, sono state scoperte piccole stanze destinate alla servitù: celle con all´interno oggetti di uso quotidiano e la casupola del custode. Accanto alla residenza è stata invece individuata la via che collegava la città al lido sottostante, costellata di graffiti e disegni a carboncino. Al di là della strada sono stati infine recuperati ambienti termali. Un vero tesoro archeologico è stato scoperto a Villa Arianna: un giardino di 110 metri per 55 fermo al giorno dell´eruzione, è il meglio conservato al mondo. Le scoperte saranno illustrate oggi e domani nel corso di "ArcheoStabiae ‘09", workshop dell´Istituto vesuviano di Castellammare. Intanto è avviata la collaborazione tra la sovrintendenza e uno staff di archeologi dell´Ermitage di San Pietroburgo. Nei prossimi mesi le due equipe effettueranno congiuntamente studi e scavi sul territorio di Stabiae alla ricerca di nuovi importanti siti.
ANNA LAURA DE ROSA
SABATO, 17 OTTOBRE 2009 LA REPUBBLICA Napoli
Avviata la collaborazione con l´Ermitage di San Pietroburgo
Stabiae riemerge dalle ceneri dell´eruzione del Vesuvio del 79 d. C. Scavi condotti sulla collina di Varano tra il 2007 e il 2009, dalla soprintendenza di Pompei e dalla fondazione Ras, hanno esplorato due residenze di epoca romana: Villa San Marco e Villa Arianna (11mila e 6 mila mq). Gli archeologi hanno ritrovato l´ingresso secondario di Villa San Marco. Qui, lungo un cortile di 108 mq, sono state scoperte piccole stanze destinate alla servitù: celle con all´interno oggetti di uso quotidiano e la casupola del custode. Accanto alla residenza è stata invece individuata la via che collegava la città al lido sottostante, costellata di graffiti e disegni a carboncino. Al di là della strada sono stati infine recuperati ambienti termali. Un vero tesoro archeologico è stato scoperto a Villa Arianna: un giardino di 110 metri per 55 fermo al giorno dell´eruzione, è il meglio conservato al mondo. Le scoperte saranno illustrate oggi e domani nel corso di "ArcheoStabiae ‘09", workshop dell´Istituto vesuviano di Castellammare. Intanto è avviata la collaborazione tra la sovrintendenza e uno staff di archeologi dell´Ermitage di San Pietroburgo. Nei prossimi mesi le due equipe effettueranno congiuntamente studi e scavi sul territorio di Stabiae alla ricerca di nuovi importanti siti.
Acqui, la piccola Pompei che verrà chiusa in garage. Quattromila metri quadrati di domus romane torneranno sottoterra
Acqui, la piccola Pompei che verrà chiusa in garage
V. de Benedictis
18/10/2009 IL SECOLOXIX
Quattromila metri quadrati di domus romane torneranno sottoterra
Il Comune non ha i sette milioni per acquistare l'area e salvare i reperti
Acqui Terme. Non c'è più molto tempo: cantiere fermo da aprile, sulle "domus" della Roma imperiale cresce una rigogliosa vegetazione. Abitazioni che fanno parte di due quartieri, edificati tra il primo secolo a. C. e il quarto dopo Cristo: perfetta la strada principale, circa quattro metri di larghezza, ciottolato e marciapiede intatti, ai lati sei case ben visibili, la Soprintendenza dice «conservate nella loro organizzazione planimetrica», ma ad Acqui si ascoltano espressioni più terra terra, tipo: «Un'emozione unica». Qualche domus pare più ampia delle altre, sui 700-800 metri quadrati, i saloni in grado di ricevere gli ospiti e spesso decorati con mosaici, le cucine con i forni, il fognone che passa nelle viscere. Ambienti riscaldati, le camere da letto. Cortili e pozzi. E anfore, tante anfore; suppellettili e oggetti di vita quotidiana in ceramica, vetro, bronzo, ferro. Erano zone residenziali, non certo popolari, di Aquae Statiellae, centro che rivestiva una certa importanza per l'acqua bollente che sgorga a 75 gradi. Le terme erano assai apprezzate dai romani. Più piccole le altre case, 200-300 metri quadrati.
«Rinvenimento che assume carattere di eccezionalità» si entusiasma Egle Micheletto, soprintendente regionale ai Beni Archeologici. Una piccola Pompei piemontese, volendo forzare molto la mano. Non c'è niente di simile (per estensione, 4 mila metri quadrati) in tutto il Nord Italia. Chiunque abbia avuto accesso al cantiere si illumina.
Ma ce ne sarà poca di luce in futuro per vedere la preziosa area archeologica: perchéè stata rinvenuta dopo aver buttato giù l'ex mercato della città e scavando le fondamenta di un palazzo in costruzione con annessi box e garage. Dunque l'area è privata. Presto il cantiere ripartirà e metà dei quartieri verrà coperta completamente (i resti saranno asportati ed esposti da qualche altra parte, ma vuoi mettere la differenza), l'altra metà sarà conservata e visibile ma avrà come tetto una soletta in cemento. Un garage, insomma. Di grandissimo fascino, ma un garage. È la mediazione pensata dalla Soprintendenza per superare l'ostacolo, pare insormontabile, dei costi.
Il Comune aveva già pregustato passerelle e passaggi sulla piccola Pompei acquese da offrire ai turisti prima o dopo aver fatto un salto alle Terme o nel bellissimo centro storico. Sai che "promo" per la città che sta annaspando sul versante industrie e ha virato sul turismo legato al benessere. Avrebbe potuto affiancare agli Archi dell'acquedotto romano addirittura una città d'epoca in miniatura. Ma come tutti i Comuni è all'affannosa ricerca di soldi che da Roma arrivano sempre meno. «Non abbiamo sette milioni per comprare l'area dai privati, rimborsare quelli già spesi dall'impresa, restaurare i resti archeologici e allestire il percorso museale come avevamo pensato»è la sentenza senza appello di qualche mese fa del sindaco di Acqui Danilo Rapetti. Finora solo la Regione ha scucito 262 mila euro a patto che l'amministrazione locale ne aggiunga 200 mila. Altri 700 mila euro il Comune può ricavarli "scomputando" gli oneri urbani all'impresa. Ma è tutto qui. Dunque, si copre. «Rimuoveremo tutti gli ostacoli per musealizzare l'area con l'aiuto finanziario di Soprintendenza e Regione», aggiunge la city manager Laura Bruna. Chi vorrà vedere un pezzo di storia dovrà scendere sotto il palazzo in costruzione, 74 alloggi, sette piani, più qualche ufficio e negozi, i box un'ottantina, molti meno di quelli che gli imprenditori - Gruppo Eleca di Cantù - avevano in mente quando acquistarono il mercato coperto. Il gruppo accetterà a giorni la mediazione proposta: «L'edificio coprirà tutta l'area - dice il progettista Pierluigi Muschiato, ex city-manager del Comune di Acqui - i resti saranno a vista ma bisogna far presto, ancora sei mesi e subiranno un deterioramento». Già dall'aprile scorso la "Arkaia", impresa genovese specializzata in scavi archeologici, si è dovuta fermare.
Anche la vita dei due quartieri periferici di Aquae Statiellae si fermò. Le frequenti alluvioni del rio Usignolo consigliarono ai residenti di spostarsi altrove, magari verso il centro, nei pressi della fonte Bollente. Forse il fango ha protetto l'insediamento per qualche secolo, si spiega anche così il buono stato di conservazione, anche se nel Medioevo molto materiale fu asportato e usato per altre costruzioni. «Un elemento di ulteriore interesse - aggiunge Marica Venturino, soprintendente che segue l'area alessandrina e dunque gli scavi acquesi - è dato dalla possibilità di cogliere in uno stesso sito l'evoluzione del tessuto urbanistico di una parte della città antica, dall'età imperiale all'alto medioevo». Qui, in Alto Medioevo, fu eretta una necropoli con tombe a inumazione.
In città, nei mesi scorsi, si è scatenato un dibattito politico-culturale: l'opposizione di centrosinistra ha chiesto un consiglio comunale per salvare il sito romano (si è poi optato per una riunione di commissione), si è mossa Italia Nostra, c'è chi ha suggerito di interpellare le università americane alla ricerca di fondi e chi ha rispolverato il 5 per mille e le sponsorizzazioni private. Risultati, al momento: zero. Domanda: ma la Soprintendenza non può porre un bel vincolo archeologico e non se ne parla più? Risponde la soprintendente Egle Micheletto che ha l'avallo, ovviamente, della direttrice regionale Liliana Pittarello: «I finanziamenti necessari per l'acquisizione pubblica dell'area sono molto ingenti: in questo periodo di crisi le risorse, già solitamente limitate ,sono ancora di più difficile reperimento». Le voci parlano di una Soprintendenza restia a porre il vincolo perché senza soldi i due quartieri romani, a cielo aperto, senza restauri e coperture, rischiano il degrado in poco tempo. Se non saltano fuori finanziamenti, gli acquesi si accontentino di vedere le domus romane in un enorme, affascinante, scantinato.
18/10/2009
gli altri gioielli
Sono molte le scoperte archeologiche fatte ad Acqui Terme, anche in tempi recenti. Dall'alto il teatro romano, rinvenuto una decina di anni fa, quindi i resti dell'acquedotto romano di epoca imperiale, uno dei simboli della città, che era lungo tredici chilometri. Quindi un tratto delle mura di cinta che sono venute alla luce quattro anni fa e hanno dimostrato che la città era più estesa di quanto si pensasse. Nella quarta foto la piscina costruita in epoca imperiale e scoperta nel 1913. Infine un reperto conservato nel ricco Museo archeologico ospitato all'interno del Castello dei paleologi.
V. de Benedictis
18/10/2009 IL SECOLOXIX
Quattromila metri quadrati di domus romane torneranno sottoterra
Il Comune non ha i sette milioni per acquistare l'area e salvare i reperti
Acqui Terme. Non c'è più molto tempo: cantiere fermo da aprile, sulle "domus" della Roma imperiale cresce una rigogliosa vegetazione. Abitazioni che fanno parte di due quartieri, edificati tra il primo secolo a. C. e il quarto dopo Cristo: perfetta la strada principale, circa quattro metri di larghezza, ciottolato e marciapiede intatti, ai lati sei case ben visibili, la Soprintendenza dice «conservate nella loro organizzazione planimetrica», ma ad Acqui si ascoltano espressioni più terra terra, tipo: «Un'emozione unica». Qualche domus pare più ampia delle altre, sui 700-800 metri quadrati, i saloni in grado di ricevere gli ospiti e spesso decorati con mosaici, le cucine con i forni, il fognone che passa nelle viscere. Ambienti riscaldati, le camere da letto. Cortili e pozzi. E anfore, tante anfore; suppellettili e oggetti di vita quotidiana in ceramica, vetro, bronzo, ferro. Erano zone residenziali, non certo popolari, di Aquae Statiellae, centro che rivestiva una certa importanza per l'acqua bollente che sgorga a 75 gradi. Le terme erano assai apprezzate dai romani. Più piccole le altre case, 200-300 metri quadrati.
«Rinvenimento che assume carattere di eccezionalità» si entusiasma Egle Micheletto, soprintendente regionale ai Beni Archeologici. Una piccola Pompei piemontese, volendo forzare molto la mano. Non c'è niente di simile (per estensione, 4 mila metri quadrati) in tutto il Nord Italia. Chiunque abbia avuto accesso al cantiere si illumina.
Ma ce ne sarà poca di luce in futuro per vedere la preziosa area archeologica: perchéè stata rinvenuta dopo aver buttato giù l'ex mercato della città e scavando le fondamenta di un palazzo in costruzione con annessi box e garage. Dunque l'area è privata. Presto il cantiere ripartirà e metà dei quartieri verrà coperta completamente (i resti saranno asportati ed esposti da qualche altra parte, ma vuoi mettere la differenza), l'altra metà sarà conservata e visibile ma avrà come tetto una soletta in cemento. Un garage, insomma. Di grandissimo fascino, ma un garage. È la mediazione pensata dalla Soprintendenza per superare l'ostacolo, pare insormontabile, dei costi.
Il Comune aveva già pregustato passerelle e passaggi sulla piccola Pompei acquese da offrire ai turisti prima o dopo aver fatto un salto alle Terme o nel bellissimo centro storico. Sai che "promo" per la città che sta annaspando sul versante industrie e ha virato sul turismo legato al benessere. Avrebbe potuto affiancare agli Archi dell'acquedotto romano addirittura una città d'epoca in miniatura. Ma come tutti i Comuni è all'affannosa ricerca di soldi che da Roma arrivano sempre meno. «Non abbiamo sette milioni per comprare l'area dai privati, rimborsare quelli già spesi dall'impresa, restaurare i resti archeologici e allestire il percorso museale come avevamo pensato»è la sentenza senza appello di qualche mese fa del sindaco di Acqui Danilo Rapetti. Finora solo la Regione ha scucito 262 mila euro a patto che l'amministrazione locale ne aggiunga 200 mila. Altri 700 mila euro il Comune può ricavarli "scomputando" gli oneri urbani all'impresa. Ma è tutto qui. Dunque, si copre. «Rimuoveremo tutti gli ostacoli per musealizzare l'area con l'aiuto finanziario di Soprintendenza e Regione», aggiunge la city manager Laura Bruna. Chi vorrà vedere un pezzo di storia dovrà scendere sotto il palazzo in costruzione, 74 alloggi, sette piani, più qualche ufficio e negozi, i box un'ottantina, molti meno di quelli che gli imprenditori - Gruppo Eleca di Cantù - avevano in mente quando acquistarono il mercato coperto. Il gruppo accetterà a giorni la mediazione proposta: «L'edificio coprirà tutta l'area - dice il progettista Pierluigi Muschiato, ex city-manager del Comune di Acqui - i resti saranno a vista ma bisogna far presto, ancora sei mesi e subiranno un deterioramento». Già dall'aprile scorso la "Arkaia", impresa genovese specializzata in scavi archeologici, si è dovuta fermare.
Anche la vita dei due quartieri periferici di Aquae Statiellae si fermò. Le frequenti alluvioni del rio Usignolo consigliarono ai residenti di spostarsi altrove, magari verso il centro, nei pressi della fonte Bollente. Forse il fango ha protetto l'insediamento per qualche secolo, si spiega anche così il buono stato di conservazione, anche se nel Medioevo molto materiale fu asportato e usato per altre costruzioni. «Un elemento di ulteriore interesse - aggiunge Marica Venturino, soprintendente che segue l'area alessandrina e dunque gli scavi acquesi - è dato dalla possibilità di cogliere in uno stesso sito l'evoluzione del tessuto urbanistico di una parte della città antica, dall'età imperiale all'alto medioevo». Qui, in Alto Medioevo, fu eretta una necropoli con tombe a inumazione.
In città, nei mesi scorsi, si è scatenato un dibattito politico-culturale: l'opposizione di centrosinistra ha chiesto un consiglio comunale per salvare il sito romano (si è poi optato per una riunione di commissione), si è mossa Italia Nostra, c'è chi ha suggerito di interpellare le università americane alla ricerca di fondi e chi ha rispolverato il 5 per mille e le sponsorizzazioni private. Risultati, al momento: zero. Domanda: ma la Soprintendenza non può porre un bel vincolo archeologico e non se ne parla più? Risponde la soprintendente Egle Micheletto che ha l'avallo, ovviamente, della direttrice regionale Liliana Pittarello: «I finanziamenti necessari per l'acquisizione pubblica dell'area sono molto ingenti: in questo periodo di crisi le risorse, già solitamente limitate ,sono ancora di più difficile reperimento». Le voci parlano di una Soprintendenza restia a porre il vincolo perché senza soldi i due quartieri romani, a cielo aperto, senza restauri e coperture, rischiano il degrado in poco tempo. Se non saltano fuori finanziamenti, gli acquesi si accontentino di vedere le domus romane in un enorme, affascinante, scantinato.
18/10/2009
gli altri gioielli
Sono molte le scoperte archeologiche fatte ad Acqui Terme, anche in tempi recenti. Dall'alto il teatro romano, rinvenuto una decina di anni fa, quindi i resti dell'acquedotto romano di epoca imperiale, uno dei simboli della città, che era lungo tredici chilometri. Quindi un tratto delle mura di cinta che sono venute alla luce quattro anni fa e hanno dimostrato che la città era più estesa di quanto si pensasse. Nella quarta foto la piscina costruita in epoca imperiale e scoperta nel 1913. Infine un reperto conservato nel ricco Museo archeologico ospitato all'interno del Castello dei paleologi.
Ostia Antica mette in mostra i gioielli dei romani cosmopoliti e di buon gusto
Ostia Antica mette in mostra i gioielli dei romani cosmopoliti e di buon gusto
IL GIORNALE - domenica 18 ottobre 2009
di Redazione
Oggetti raffinati prodotti per una società ricca e cosmopolita sono i tesori nascosti di Ostia Antica, esposti fino al 7 gennaio nel Nuovo Antiquarium all’interno degli Scavi nella mostra «Bronzi, avori ed ossi lavorati dalle Collezioni Ostiensi». Da oltre un decennio questi reperti erano conservati nei depositi della Soprintendenza, ma ora, dopo un articolato programma di documentazione e ricerca, si è sentita l’esigenza di far conoscere una piccola ma significativa selezione. I bronzi sono reperti particolarmente preziosi perché in epoca romana il prezzo del bronzo era secondo solo a quello dell’oro, e inoltre per la rarità di questo materiale, spesso rifuso in epoche successive per ricavarne armi. Dal Caseggiato dei Mulini provengono diversi arredi interessanti, tra cui candelabri, lucerne, animali, teste di divinità che fungevano da terminazioni di oggetti in materiali deperibili come il legno. A figura intera sono invece una piccola statua di Lare e altre due statuine di Eracle fanciullo e di Mercurio. La presenza di un serpente e di uno scorpione potrebbe essere collegata ai culti orientali, come quello di Mitra particolarmente attestato ad Ostia Antica. Tra gli oggetti esposti figurano anche alcuni strumenti chirurgici, pinze, compassi e altri manufatti bronzei usati per le attività commerciali. Di grande interesse documentario sono le misure ufficiali, ovvero la «regola» graduata corrispondente a 29,6 cm e il peso da 5 libbre (pari a 1635 g). L’ultima vetrina è dedicata ai materiali di origine animale come l'avorio e l'osso. L'avorio, proveniente per lo più dall'Africa, ma anche dall'India, visto che Ostia antica aveva rapporti commerciali con i porti indiani e dell’Asia orientale, era certo un bene di lusso che veniva lavorato con perizia, come nella placca con Nereide ed Amorino (III secolo d.C.), che doveva decorare una cassetta di legno nuziale, nel raro dittico con dedica a Severo Patrono (V secolo), o nella pisside per prodotti di bellezza. Più comuni erano le bamboline in osso e le immanicature di coltello figurate.
IL GIORNALE - domenica 18 ottobre 2009
di Redazione
Oggetti raffinati prodotti per una società ricca e cosmopolita sono i tesori nascosti di Ostia Antica, esposti fino al 7 gennaio nel Nuovo Antiquarium all’interno degli Scavi nella mostra «Bronzi, avori ed ossi lavorati dalle Collezioni Ostiensi». Da oltre un decennio questi reperti erano conservati nei depositi della Soprintendenza, ma ora, dopo un articolato programma di documentazione e ricerca, si è sentita l’esigenza di far conoscere una piccola ma significativa selezione. I bronzi sono reperti particolarmente preziosi perché in epoca romana il prezzo del bronzo era secondo solo a quello dell’oro, e inoltre per la rarità di questo materiale, spesso rifuso in epoche successive per ricavarne armi. Dal Caseggiato dei Mulini provengono diversi arredi interessanti, tra cui candelabri, lucerne, animali, teste di divinità che fungevano da terminazioni di oggetti in materiali deperibili come il legno. A figura intera sono invece una piccola statua di Lare e altre due statuine di Eracle fanciullo e di Mercurio. La presenza di un serpente e di uno scorpione potrebbe essere collegata ai culti orientali, come quello di Mitra particolarmente attestato ad Ostia Antica. Tra gli oggetti esposti figurano anche alcuni strumenti chirurgici, pinze, compassi e altri manufatti bronzei usati per le attività commerciali. Di grande interesse documentario sono le misure ufficiali, ovvero la «regola» graduata corrispondente a 29,6 cm e il peso da 5 libbre (pari a 1635 g). L’ultima vetrina è dedicata ai materiali di origine animale come l'avorio e l'osso. L'avorio, proveniente per lo più dall'Africa, ma anche dall'India, visto che Ostia antica aveva rapporti commerciali con i porti indiani e dell’Asia orientale, era certo un bene di lusso che veniva lavorato con perizia, come nella placca con Nereide ed Amorino (III secolo d.C.), che doveva decorare una cassetta di legno nuziale, nel raro dittico con dedica a Severo Patrono (V secolo), o nella pisside per prodotti di bellezza. Più comuni erano le bamboline in osso e le immanicature di coltello figurate.
Isola Tiberina - Tempio di Esclupaio - Tempio di Giove - Tempio di Fauno - Ponte Fabrizio e del Cestio
Un tesoro sotto il metrò
Un tesoro sotto il metrò
Flavia Amabile, interv. a Roberto Cecchi
La Stampa 19/10/2009
Non diventeranno un museo all'aperto i Fori Imperiali a Roma. Non subito, almeno. Da quando sarà chiaro a tutti quello che c'è sotto allora sì, potrebbero trasformarsi in un'area archeologica a tutti gli effetti, senza auto né motorini. Roberto Cecchi, commissario delegato per le aree archeologiche di Roma e Ostia sostiene che «sotto i Fori c'è un tesoro e fra qualche anno forse tutti potranno vederlo». Un tesoro non merita di essere scavato e di avere una strada pedonale sopra come sostiene anche Francesco Rutelli? «La proposta è interessante ma esistono altre priorità in questo momento. La metropolitana di Roma è la seconda grande operazione di scavo a Roma e sta dando risultati importantissimi, quindi prima di intraprendere altre iniziative è preferibile vedere che cosa altro verrà fuori. Non sono soltanto io architetto a sostenerlo, ma anche gli archeologi». Che cos'altro vi aspettate che venga scoperto? «Le scoperte sono continue. L'ultima è stata l'Atenaeum di Adriano ma ci sono anche scavi importanti che riguardano il Campo Marzio e altri ancora che già ora permettono di riscrivere la storia di Roma. Il lavoro della metropolitana è stato considerato una iattura dai cittadini per i problemi di traffico che impone, ma sono sicuro che si rivelerà una grande opportunità per la città». Che cosa c'è da scrivere di nuovo nella storia di Roma. «Lascio agli archeologi il compito di dirlo, lo ann nceranno questa settimana in un incontro di due giorni a palazzo Massimo che farà il punto di due anni di scavi preliminari per la linea C. Per il momento infatti ci si è fermati a scavi che hanno avuto il carattere dei saggi. Quando invece si passerà alla realizzazione dell'uscita vera e propria della metropolitana avremo delle scoperte di maggiore rilievo, conosceremo cose di Roma che ancora non conoscevamo». Come sarà la Roma del futuro? «Una città più vivibile per i trasporti e anche più bella. Raddoppierà la fermata del Colosseo: sarà bandito un concorso internazionale per affidare ad un architetto di massimo livello la sua realizzazione». E da un punto di vista archeologico? «Le nuove conoscenze saranno così importanti che alla fine chiudere i fori e dare il via allo scavo dei Fori Imperiali sarà una delle decisioni possibili, da prendere per in base alle valutazioni dell'amministrazione della città. Si innescherà un meccanismo virtuoso. Le scoperte faranno fare ulteriori ricerche e attireranno ancora altri visitatori». Rutelli proponeva la pedonalizzazione anche della zona intorno al Circo Massimo. Un tesoro si nasconde anche lì. «Per quel che mi riguarda le pedonalizzazioni sono sempre benvenute. Non so quanto potranno armonizzarsi con i problemi di viabilità di una grande capitale come Roma». Anche se nasconde un tesoro, l'area archeologica del Palatino non vive un momeno felice. «I visitatori sono in calo a Roma e in crescita soltanto al Colosseo. E quando si lice che sono in crescita soltanto al Colosseo si intende che entrano nel Colosseo, lo visitano e poi vanno altrove, non si fermano nemmeno a pochi metri di distanza, dove c'è proprio il Palatino». È una zona che attira poco il grande turismo, sembra abbandonata, è più da addetti ai lavori. «Infatti probabilmente c'è anche una nostra mancanza dietro queste cifre. Se il Colosseo è immediatamente percepibile da tutti, il Palatino bisogna raccontarlo. Rappresenta la nascita di Roma, richiede uno sforzo in più da parte nostra per attirare altri turisti. Ci stiamo lavorando, infatti. Innanzitutto apriremo presto un nuovo percorso ma stiamo valutando come creare un'offerta diversa in base al tipo divisitatori». È così difficile gestire i monumenti di Roma? «Soltanto il Palatino ha un'area più o meno grande quanto quella del centro di San Gimignano. Le dimensioni della Roma archeologica non hanno confronti al mondo. Il Palatino misura 40 ettari, le Terme di Diocleziano 25. Le mura Aureliane sono lunghe 18 chilometri, mentre degli acquedotti non abbiamo ancora la misura lineare». Mai misurati finora? «Manca la catalogazione, ma in un contesto così ampio altre sono le priorità». E i problemi cronici di fondi? «Paradossalmente, questi scavi per la metropolitana hanno portato risorse a cui non eravamo abituati. Ragionavamo in centinaia di migliaia di euro, ora in milioni di euro».
Flavia Amabile, interv. a Roberto Cecchi
La Stampa 19/10/2009
Non diventeranno un museo all'aperto i Fori Imperiali a Roma. Non subito, almeno. Da quando sarà chiaro a tutti quello che c'è sotto allora sì, potrebbero trasformarsi in un'area archeologica a tutti gli effetti, senza auto né motorini. Roberto Cecchi, commissario delegato per le aree archeologiche di Roma e Ostia sostiene che «sotto i Fori c'è un tesoro e fra qualche anno forse tutti potranno vederlo». Un tesoro non merita di essere scavato e di avere una strada pedonale sopra come sostiene anche Francesco Rutelli? «La proposta è interessante ma esistono altre priorità in questo momento. La metropolitana di Roma è la seconda grande operazione di scavo a Roma e sta dando risultati importantissimi, quindi prima di intraprendere altre iniziative è preferibile vedere che cosa altro verrà fuori. Non sono soltanto io architetto a sostenerlo, ma anche gli archeologi». Che cos'altro vi aspettate che venga scoperto? «Le scoperte sono continue. L'ultima è stata l'Atenaeum di Adriano ma ci sono anche scavi importanti che riguardano il Campo Marzio e altri ancora che già ora permettono di riscrivere la storia di Roma. Il lavoro della metropolitana è stato considerato una iattura dai cittadini per i problemi di traffico che impone, ma sono sicuro che si rivelerà una grande opportunità per la città». Che cosa c'è da scrivere di nuovo nella storia di Roma. «Lascio agli archeologi il compito di dirlo, lo ann nceranno questa settimana in un incontro di due giorni a palazzo Massimo che farà il punto di due anni di scavi preliminari per la linea C. Per il momento infatti ci si è fermati a scavi che hanno avuto il carattere dei saggi. Quando invece si passerà alla realizzazione dell'uscita vera e propria della metropolitana avremo delle scoperte di maggiore rilievo, conosceremo cose di Roma che ancora non conoscevamo». Come sarà la Roma del futuro? «Una città più vivibile per i trasporti e anche più bella. Raddoppierà la fermata del Colosseo: sarà bandito un concorso internazionale per affidare ad un architetto di massimo livello la sua realizzazione». E da un punto di vista archeologico? «Le nuove conoscenze saranno così importanti che alla fine chiudere i fori e dare il via allo scavo dei Fori Imperiali sarà una delle decisioni possibili, da prendere per in base alle valutazioni dell'amministrazione della città. Si innescherà un meccanismo virtuoso. Le scoperte faranno fare ulteriori ricerche e attireranno ancora altri visitatori». Rutelli proponeva la pedonalizzazione anche della zona intorno al Circo Massimo. Un tesoro si nasconde anche lì. «Per quel che mi riguarda le pedonalizzazioni sono sempre benvenute. Non so quanto potranno armonizzarsi con i problemi di viabilità di una grande capitale come Roma». Anche se nasconde un tesoro, l'area archeologica del Palatino non vive un momeno felice. «I visitatori sono in calo a Roma e in crescita soltanto al Colosseo. E quando si lice che sono in crescita soltanto al Colosseo si intende che entrano nel Colosseo, lo visitano e poi vanno altrove, non si fermano nemmeno a pochi metri di distanza, dove c'è proprio il Palatino». È una zona che attira poco il grande turismo, sembra abbandonata, è più da addetti ai lavori. «Infatti probabilmente c'è anche una nostra mancanza dietro queste cifre. Se il Colosseo è immediatamente percepibile da tutti, il Palatino bisogna raccontarlo. Rappresenta la nascita di Roma, richiede uno sforzo in più da parte nostra per attirare altri turisti. Ci stiamo lavorando, infatti. Innanzitutto apriremo presto un nuovo percorso ma stiamo valutando come creare un'offerta diversa in base al tipo divisitatori». È così difficile gestire i monumenti di Roma? «Soltanto il Palatino ha un'area più o meno grande quanto quella del centro di San Gimignano. Le dimensioni della Roma archeologica non hanno confronti al mondo. Il Palatino misura 40 ettari, le Terme di Diocleziano 25. Le mura Aureliane sono lunghe 18 chilometri, mentre degli acquedotti non abbiamo ancora la misura lineare». Mai misurati finora? «Manca la catalogazione, ma in un contesto così ampio altre sono le priorità». E i problemi cronici di fondi? «Paradossalmente, questi scavi per la metropolitana hanno portato risorse a cui non eravamo abituati. Ragionavamo in centinaia di migliaia di euro, ora in milioni di euro».
Largo Argentina svela templi, altari e gradini
Largo Argentina svela templi, altari e gradini. Cutrufo: risorsa da incentivare con infrastrutture adeguate
GIOVANNI MANFRONI
IL MESSAGGERO – 20 ottobre 2009
Tour nelle antiche meraviglie riemerse durante gli scavi, fra due anni aperti al pubblico.
Una passeggiata nella storia, nella Roma pre-imperiale, tra i reperti di una città che riemerge dalla terra. Una città a strati dove, scendendo, si scoprono tesori nascosti, E' il caso di largo Argentina, uno dei tanti cuori pulsanti di Roma, dove ieri una folta delegazione di giornalisti provenienti da tutto il mondo e di tour operator internazionali ha avuto la possibilità unica di vedere e camminare nella storia. Una giornata vissuta grazie alla prima edizione della Borsa Internazionale della Locations con l'obiettivo di creare un momento di confronto tra i professionisti del settore audiovisivo grazie al Cineturismo, e che proseguirà con altri viaggi nel passato tra i percorsi segreti di una Roma che non finisce mai di emozionare. Così, ecco che appaiono in tutta la loro bellezza i resti dei quattro templi che ad oggi romani e turisti possono solo ammirare dall'alto affacciandosi da largo Argentina. Quattro templi che vengono chiamati con le prime quattro lettere dell'alfabeto perché ancora non è chiaro agli studiosi a quali divinità fossero stati dedicati (sul B sembrano orientarsi sulla Dea Fortuna), costruiti tra il IV e il II secolo e di cui oggi non ci sarebbe memoria se all' epoca Mussolini non fosse stato distolto dall'idea di edificare su quei luoghi. Da quattro anni, ad opera della Sovrintendenza ai Beni culturali del Comune di Roma, è in corso un progetto di studio e restauro per riportare alla luce quei luoghi: «Vanno visti e respirati dice Marina Mattei, responsabile degli scavi e tra circa due anni verranno in parte riaperti al pubblico». Come l'altare del Tempio A, a cui si arriva dopo essere scesi al primo livello di stratificazione: «Sembra di stare in un film di Indiana Jones dice scherzando ai visitatori Roberto Giacobbo, conduttore di Vojager, che li accompagnava durante il viaggio nella storia ma è tutto vero». La base dell'altare è perfettamente conservata perché si è creata una specie di camera d'aria nel terreno che ha fatto da protezione. L'altare, incredibilmente, è come se avesse vissuto sotto una campana di vetro per poi riemergere in tutto il suo splendore. Potere della storia. Visibili anche i primi gradini in tufo che portavano ai templi e una pavimentazione del secondo livello anche questa in tufo. Si cammina nel tempo, indietro di circa 2300 anni. Più si scende, più si entra nel passato. E l'emozione cresce quando all'esterno si passa dove, alcuni studiosi dicono sia stato ucciso Cesare, alle spalle delle Colonne del Tempio della Dea Fortuna dove fu fatto costruire un Vespasiano (sono visibili i resti) per evitare che qualcuno portasse fiori sulla tomba dell'imperatore. E' storia, a Roma è nell'aria: «Dobbiamo far conoscere a tutti questi luoghi di Roma spiega il vicesindaco Mauro Cutrufo non solo quelli del centro storico, dobbiamo portare i turisti anche fuori perché il patrimonio è enorme. Aumentiamo l'offerta, aumentiamo le infrastrutture e aumenteranno gli arrivi prosegue è un'equazione semplice. Se vogliamo che i turisti crescano e passino più tempo nella nostra splendida città dobbiamo dar loro un qualcosa in più fatto di storia ma anche di intrattenimento e servizi». L'ultimo regalo di Roma è un altare in peperino e tufo davanti al tempio C (angolo Botteghe Oscure): è integro e l'iscrizione ne testimonia il rifacimento intorno al 179 a.C. Quando l'area sarà restituita al pubblico tornerà a vivere insieme a tutte le altre bellezze.
GIOVANNI MANFRONI
IL MESSAGGERO – 20 ottobre 2009
Tour nelle antiche meraviglie riemerse durante gli scavi, fra due anni aperti al pubblico.
Una passeggiata nella storia, nella Roma pre-imperiale, tra i reperti di una città che riemerge dalla terra. Una città a strati dove, scendendo, si scoprono tesori nascosti, E' il caso di largo Argentina, uno dei tanti cuori pulsanti di Roma, dove ieri una folta delegazione di giornalisti provenienti da tutto il mondo e di tour operator internazionali ha avuto la possibilità unica di vedere e camminare nella storia. Una giornata vissuta grazie alla prima edizione della Borsa Internazionale della Locations con l'obiettivo di creare un momento di confronto tra i professionisti del settore audiovisivo grazie al Cineturismo, e che proseguirà con altri viaggi nel passato tra i percorsi segreti di una Roma che non finisce mai di emozionare. Così, ecco che appaiono in tutta la loro bellezza i resti dei quattro templi che ad oggi romani e turisti possono solo ammirare dall'alto affacciandosi da largo Argentina. Quattro templi che vengono chiamati con le prime quattro lettere dell'alfabeto perché ancora non è chiaro agli studiosi a quali divinità fossero stati dedicati (sul B sembrano orientarsi sulla Dea Fortuna), costruiti tra il IV e il II secolo e di cui oggi non ci sarebbe memoria se all' epoca Mussolini non fosse stato distolto dall'idea di edificare su quei luoghi. Da quattro anni, ad opera della Sovrintendenza ai Beni culturali del Comune di Roma, è in corso un progetto di studio e restauro per riportare alla luce quei luoghi: «Vanno visti e respirati dice Marina Mattei, responsabile degli scavi e tra circa due anni verranno in parte riaperti al pubblico». Come l'altare del Tempio A, a cui si arriva dopo essere scesi al primo livello di stratificazione: «Sembra di stare in un film di Indiana Jones dice scherzando ai visitatori Roberto Giacobbo, conduttore di Vojager, che li accompagnava durante il viaggio nella storia ma è tutto vero». La base dell'altare è perfettamente conservata perché si è creata una specie di camera d'aria nel terreno che ha fatto da protezione. L'altare, incredibilmente, è come se avesse vissuto sotto una campana di vetro per poi riemergere in tutto il suo splendore. Potere della storia. Visibili anche i primi gradini in tufo che portavano ai templi e una pavimentazione del secondo livello anche questa in tufo. Si cammina nel tempo, indietro di circa 2300 anni. Più si scende, più si entra nel passato. E l'emozione cresce quando all'esterno si passa dove, alcuni studiosi dicono sia stato ucciso Cesare, alle spalle delle Colonne del Tempio della Dea Fortuna dove fu fatto costruire un Vespasiano (sono visibili i resti) per evitare che qualcuno portasse fiori sulla tomba dell'imperatore. E' storia, a Roma è nell'aria: «Dobbiamo far conoscere a tutti questi luoghi di Roma spiega il vicesindaco Mauro Cutrufo non solo quelli del centro storico, dobbiamo portare i turisti anche fuori perché il patrimonio è enorme. Aumentiamo l'offerta, aumentiamo le infrastrutture e aumenteranno gli arrivi prosegue è un'equazione semplice. Se vogliamo che i turisti crescano e passino più tempo nella nostra splendida città dobbiamo dar loro un qualcosa in più fatto di storia ma anche di intrattenimento e servizi». L'ultimo regalo di Roma è un altare in peperino e tufo davanti al tempio C (angolo Botteghe Oscure): è integro e l'iscrizione ne testimonia il rifacimento intorno al 179 a.C. Quando l'area sarà restituita al pubblico tornerà a vivere insieme a tutte le altre bellezze.
Ecco le case dei clan sulla via romana. Giugliano: 98 abitazioni, realizzate con soldi riciclati. Tra gli indagati tre ex sindaci
Ecco le case dei clan sulla via romana. Giugliano: 98 abitazioni, realizzate con soldi riciclati. Tra gli indagati tre ex sindaci
20/10/09 IL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO
Lottizzazione abusiva, falsi in atto pubblico e truffa aggravata dalle finalità dell’agevolazione camorristica dei clan Mallardo e Nuvoletta. Un’ombra pesantissima si abbatte su almeno due amministrazioni comunali di Giugliano, dove la Guardia di Finanza della locale compagnia (col tenente colonnello Luigi Migliozzi e il capitano Michele Ciarla) ha sottoposto a sequestro preventivo un intero parco da 98 appartamenti e un albergo per un valore complessivo di 20 milioni di euro.
Immobili realizzati a mezzo di concessioni edilizie che il comune di Giugliano non avrebbe dovuto rilasciare poiché il complesso da edificare era in contrasto con i piani urbanistici. E non solo perché in quella zona, siamo nella frazione di Varcaturo, passava la via domitiana orrendamente sfregiata, ma perché dietro quegli edifici c’era la mano di due dei più potenti clan del Napoletano che gli amministratori avrebbero così agevolato.
Stando alle ricostruzioni degli investigatori — l’inchiesta è stata condotta dal pm Maria Cristina Ribera — i rilievi fotografici aerei della zona erano stati modificati in maniera tale da mostrare che la strada romana risultasse al di fuori della zona destinata all'insediamento abitativo. Quello storico paesaggistico, però, non è l’unico vincolo cui è sottoposta l'area. Ne esiste anche uno di natura aeronautica: l’area è normalmente sorvolata da aerei militari della vicina base Nato. Le abitazioni sono così state realizzate diminuendo l’altezza dei soffitti, da qui il nome dell’operazione: «Puff Village». Nel registro degli indagati sono finiti in 38, tra ex sindaci, imprenditori e funzionari comunali. E tra i nomi dell’elenco spicca quello degli ex sindaci Pasquale Basile, Giacomo Gerlini e Francesco Taglialatela (quest’ultimo indagato perché, all'epoca dei fatti, era assessore all'Urbanistica e componente della commissione edilizia); nomi a cui sono legati gli ultimi vent’anni di vita amministrativa di Giugliano. Il parco sequestrato è «L’Obelisco» e, secondo le indagini di Dda e Guardia di Finanza, le amministrazioni locali avrebbero fatto di tutto per «regolarizzarlo» (sulla carta era un complesso turistico-alberghiero, in realtà era stato destinato ad area residenziale), fino al punto di rilasciare concessioni in sanatoria illecite in quanto fondate su atti di condono (ben 105) del tutto falsi e aventi ad oggetto lavori non ancora eseguiti alla data dell'apparente inoltro della richiesta. É stato così possibile ricostruire precisamente lo scacchiere degli interessi imprenditoriali e dei rapporti tra gli speculatori e la pubblica amministrazione e lo è stato fatto utilizzando le tecniche investigative normalmente usate per il contrasto ai reati di criminalità organizzata: non solo acquisizioni documentali ed intercettazioni ma anche interrogatori di collaboratori di giustizia tra cui Salvatore Izzo (clan Nuvoletta-Polverino) e Gaetano Vassallo (ex fedelissimo dei clan di Giugliano e Casal di Principe). Pentiti eccellenti che hanno confermato come, nel tempo, le diverse organizzazioni camorristiche si siano succedete nella gestione dell’affare: dai Rea ai Nuvoletta e poi dai Nuvoletta ai Mallardo. Tre clan che, a distanza di anni, avrebbero sempre trovato i loro referenti in un municipio già travolto da altri scandali, non ultimo quello che un anno fa ha portato in manette mezzo comando dei vigili urbani, sempre per una storia di concessioni edilizie, mazzette e mancati controlli. Quanto alla lottizzazione (l’indagine parte dagli anni 1990-93 e arriva fino al 2003), Dda e Finanza sottolineano che «si tratta di una speculazione di grosse dimensioni e di un progetto realizzato in un lunghissimo arco temporale e che ha coinvolto un cospicuo numero di persone, anche inserite in diversi rami della pubblica amministrazione, con differenti ruoli e professionalità. Ciò spiega la nota stampa - ha consentito l'aggiramento ed il superamento di tutti i limiti ed i vincoli amministrativi e normativi». E non solo quelli.
Ugo Ferrero
20/10/09 IL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO
Lottizzazione abusiva, falsi in atto pubblico e truffa aggravata dalle finalità dell’agevolazione camorristica dei clan Mallardo e Nuvoletta. Un’ombra pesantissima si abbatte su almeno due amministrazioni comunali di Giugliano, dove la Guardia di Finanza della locale compagnia (col tenente colonnello Luigi Migliozzi e il capitano Michele Ciarla) ha sottoposto a sequestro preventivo un intero parco da 98 appartamenti e un albergo per un valore complessivo di 20 milioni di euro.
Immobili realizzati a mezzo di concessioni edilizie che il comune di Giugliano non avrebbe dovuto rilasciare poiché il complesso da edificare era in contrasto con i piani urbanistici. E non solo perché in quella zona, siamo nella frazione di Varcaturo, passava la via domitiana orrendamente sfregiata, ma perché dietro quegli edifici c’era la mano di due dei più potenti clan del Napoletano che gli amministratori avrebbero così agevolato.
Stando alle ricostruzioni degli investigatori — l’inchiesta è stata condotta dal pm Maria Cristina Ribera — i rilievi fotografici aerei della zona erano stati modificati in maniera tale da mostrare che la strada romana risultasse al di fuori della zona destinata all'insediamento abitativo. Quello storico paesaggistico, però, non è l’unico vincolo cui è sottoposta l'area. Ne esiste anche uno di natura aeronautica: l’area è normalmente sorvolata da aerei militari della vicina base Nato. Le abitazioni sono così state realizzate diminuendo l’altezza dei soffitti, da qui il nome dell’operazione: «Puff Village». Nel registro degli indagati sono finiti in 38, tra ex sindaci, imprenditori e funzionari comunali. E tra i nomi dell’elenco spicca quello degli ex sindaci Pasquale Basile, Giacomo Gerlini e Francesco Taglialatela (quest’ultimo indagato perché, all'epoca dei fatti, era assessore all'Urbanistica e componente della commissione edilizia); nomi a cui sono legati gli ultimi vent’anni di vita amministrativa di Giugliano. Il parco sequestrato è «L’Obelisco» e, secondo le indagini di Dda e Guardia di Finanza, le amministrazioni locali avrebbero fatto di tutto per «regolarizzarlo» (sulla carta era un complesso turistico-alberghiero, in realtà era stato destinato ad area residenziale), fino al punto di rilasciare concessioni in sanatoria illecite in quanto fondate su atti di condono (ben 105) del tutto falsi e aventi ad oggetto lavori non ancora eseguiti alla data dell'apparente inoltro della richiesta. É stato così possibile ricostruire precisamente lo scacchiere degli interessi imprenditoriali e dei rapporti tra gli speculatori e la pubblica amministrazione e lo è stato fatto utilizzando le tecniche investigative normalmente usate per il contrasto ai reati di criminalità organizzata: non solo acquisizioni documentali ed intercettazioni ma anche interrogatori di collaboratori di giustizia tra cui Salvatore Izzo (clan Nuvoletta-Polverino) e Gaetano Vassallo (ex fedelissimo dei clan di Giugliano e Casal di Principe). Pentiti eccellenti che hanno confermato come, nel tempo, le diverse organizzazioni camorristiche si siano succedete nella gestione dell’affare: dai Rea ai Nuvoletta e poi dai Nuvoletta ai Mallardo. Tre clan che, a distanza di anni, avrebbero sempre trovato i loro referenti in un municipio già travolto da altri scandali, non ultimo quello che un anno fa ha portato in manette mezzo comando dei vigili urbani, sempre per una storia di concessioni edilizie, mazzette e mancati controlli. Quanto alla lottizzazione (l’indagine parte dagli anni 1990-93 e arriva fino al 2003), Dda e Finanza sottolineano che «si tratta di una speculazione di grosse dimensioni e di un progetto realizzato in un lunghissimo arco temporale e che ha coinvolto un cospicuo numero di persone, anche inserite in diversi rami della pubblica amministrazione, con differenti ruoli e professionalità. Ciò spiega la nota stampa - ha consentito l'aggiramento ed il superamento di tutti i limiti ed i vincoli amministrativi e normativi». E non solo quelli.
Ugo Ferrero
Scoperte antiche pitture che raffigurano nani
Scoperte antiche pitture che raffigurano nani
SERGIO RINALDI TUFI
IL MESSAGGERO – 21 ottobre 2009
Grossa scoperta a Ostia Antica: nell'oecus (sala da ricevimento) di una ricca dimora di età repubblicana è stata rinvenuta una serie di interessantissime pitture, fra le quali spicca un fregio raffigurante dei nani. Lo ha illustrato ieri l'archeologo svizzero Jean-Marc Moret (docente all'Università Louis Lumière di Lione, da tempo collabora con la Soprintendenza di Ostia, ora confluita in quella di Roma) in una conferenza al Museo Nazionale Romano (sede di Palazzo Massimo). Il rinvenimento ha un sapore particolare per vari motivi. Siamo in un edificio, detto casa dei Bucrani (in un sito presso Porta Marina più tardi occupato dalla Schola di Traiano ) risalente al 60 circa a.C.: faceva parte di un quartiere aristocratico che rappresentava una fase piuttosto antica nella storia urbanistica della città, il cui massimo sviluppo si data due secoli dopo. Inoltre, nel quadro della cultura classica nel suo complesso, la figura del nano non è particolarmente presente. L'affresco appena scoperto è quindi una rarità. I nani sono inseriti in un fregio molto complesso, con scene a prima vista poco coerenti fra loro: scene di tintoria e corse di cavalli, avventori di un'osteria, suonatori di tromba e soldati. Anche alcuni dei nani portano armi; uno di essi indossa uno strano copricapo troncoconico. E proprio questa la chiave dell' interpretazione. Il copricapo è quello indossato talvolta dai sacerdoti Salii , durante le feste del dio della guerra, Marte, nel mese che da lui prende il nome, marzo. Ma marzo è anche il mese in cui si celebrano Minerva e gli artigiani (fra cui i tintori), e in cui si purificano le armi, le trombe e i cavalli da guerra. Sembra così spiegato quello strano contesto: la presenza dei nani pare tuttavia dare all'insieme un tono non da cerimonia religiosa, ma da spettacolo teatrale comico. Perché? Nel mondo romano, il confine fra religione e teatro è tenue. Forse poi - ha detto Moret - con questo slittamento parodistico il pittore ha voluto fare l'occhiolino allo spettatore.
SERGIO RINALDI TUFI
IL MESSAGGERO – 21 ottobre 2009
Grossa scoperta a Ostia Antica: nell'oecus (sala da ricevimento) di una ricca dimora di età repubblicana è stata rinvenuta una serie di interessantissime pitture, fra le quali spicca un fregio raffigurante dei nani. Lo ha illustrato ieri l'archeologo svizzero Jean-Marc Moret (docente all'Università Louis Lumière di Lione, da tempo collabora con la Soprintendenza di Ostia, ora confluita in quella di Roma) in una conferenza al Museo Nazionale Romano (sede di Palazzo Massimo). Il rinvenimento ha un sapore particolare per vari motivi. Siamo in un edificio, detto casa dei Bucrani (in un sito presso Porta Marina più tardi occupato dalla Schola di Traiano ) risalente al 60 circa a.C.: faceva parte di un quartiere aristocratico che rappresentava una fase piuttosto antica nella storia urbanistica della città, il cui massimo sviluppo si data due secoli dopo. Inoltre, nel quadro della cultura classica nel suo complesso, la figura del nano non è particolarmente presente. L'affresco appena scoperto è quindi una rarità. I nani sono inseriti in un fregio molto complesso, con scene a prima vista poco coerenti fra loro: scene di tintoria e corse di cavalli, avventori di un'osteria, suonatori di tromba e soldati. Anche alcuni dei nani portano armi; uno di essi indossa uno strano copricapo troncoconico. E proprio questa la chiave dell' interpretazione. Il copricapo è quello indossato talvolta dai sacerdoti Salii , durante le feste del dio della guerra, Marte, nel mese che da lui prende il nome, marzo. Ma marzo è anche il mese in cui si celebrano Minerva e gli artigiani (fra cui i tintori), e in cui si purificano le armi, le trombe e i cavalli da guerra. Sembra così spiegato quello strano contesto: la presenza dei nani pare tuttavia dare all'insieme un tono non da cerimonia religiosa, ma da spettacolo teatrale comico. Perché? Nel mondo romano, il confine fra religione e teatro è tenue. Forse poi - ha detto Moret - con questo slittamento parodistico il pittore ha voluto fare l'occhiolino allo spettatore.
Le due stele romane resteranno a Urbino
Le due stele romane resteranno a Urbino
Edizione del 21 ottobre 2009, CORRIERE ADRIATICO
L’assicurazione di De Marinis a Rossi
Urbino Le due stele romane trovate al bivio “Croce dei missionari” non partiranno per il Museo Archeologico di Ancona ma resteranno per il momento ad Urbino, dove sono state rinvenute.
L’assessore provinciale alla Cultura Davide Rossi, raccogliendo l’appello lanciato dal sindaco di Urbino Franco Corbucci, ha telefonato ieri mattina al Soprintendente ai beni archeologici Giuliano De Marinis, ricevendo l’assicurazione che verrà sospesa la procedura per lo spostamento delle opere al Museo archeologico di Ancona. el frattempo, Provincia e Comune di Urbino si attiveranno per presentare un progetto per la valorizzazione dei due reperti, che furono ritrovati ad Urbino proprio dall’amministrazione provinciale durante i lavori per la realizzazione della rotatoria della “Croce dei Missionari” e restaurate a spese della Provincia.
Ma il colloquio telefonico tra l’assessore Rossi e il sovrintendente è stato utile in senso generale. “Al di là della vicenda delle due stele – evidenzia l’assessore Rossi – il Soprintendente ha comunque evidenziato come Urbino sia scarsamente rappresentata presso il Museo archeologico regionale, mentre per promuovere maggiormente l’immagine della città sarebbe opportuna la presenza di qualche testimonianza legata al territorio”.
Edizione del 21 ottobre 2009, CORRIERE ADRIATICO
L’assicurazione di De Marinis a Rossi
Urbino Le due stele romane trovate al bivio “Croce dei missionari” non partiranno per il Museo Archeologico di Ancona ma resteranno per il momento ad Urbino, dove sono state rinvenute.
L’assessore provinciale alla Cultura Davide Rossi, raccogliendo l’appello lanciato dal sindaco di Urbino Franco Corbucci, ha telefonato ieri mattina al Soprintendente ai beni archeologici Giuliano De Marinis, ricevendo l’assicurazione che verrà sospesa la procedura per lo spostamento delle opere al Museo archeologico di Ancona. el frattempo, Provincia e Comune di Urbino si attiveranno per presentare un progetto per la valorizzazione dei due reperti, che furono ritrovati ad Urbino proprio dall’amministrazione provinciale durante i lavori per la realizzazione della rotatoria della “Croce dei Missionari” e restaurate a spese della Provincia.
Ma il colloquio telefonico tra l’assessore Rossi e il sovrintendente è stato utile in senso generale. “Al di là della vicenda delle due stele – evidenzia l’assessore Rossi – il Soprintendente ha comunque evidenziato come Urbino sia scarsamente rappresentata presso il Museo archeologico regionale, mentre per promuovere maggiormente l’immagine della città sarebbe opportuna la presenza di qualche testimonianza legata al territorio”.
Foro di Augusto - Foro di Nerva - Foro di Giulio Cesare - Tempio di Marte Ultore - Tempio di Venere Genitrice
Una mongolfiera per due Il colosso di Nerone o l'equus Vespasianus?
Una mongolfiera per due Il colosso di Nerone o l'equus Vespasianus?
Alessandro Marchetti
Libero (Roma) 22/10/2009
Un'enorme mongolfiera a fianco della mole del Colosseo. Sarà una delle attrazioni della Roma futura, che dovrebbe vedere la luce il 17 novembre. La notizia, riportata ieri dal quotidiano Italia Oggi e confermata a Libero dall'ideatore, l'archeologo Filippo Coarelli, ha ancora contorni poco definiti per quanto riguarda il soggetto. Secondo quanto riportato dal quotidiano finanziario si tratterebbe dell'effige del colosso di Nerone, un tempo nell'area dell'anfiteatro Flavio. Di questo progetto si conoscono anche i dettagli: il profilo dovrebbe essere interamente in oro per 35 metri d'altezza, più la base. Un enorme pallone gonfiato pronto a galleggiare sopra il Colosseo. L'idea, ambiziosa quanto suggestiva, non coincide tuttavia con il progetto che risulta alla Sovrintendenza: l'ipotesi iniziale, infatti, in conclusione dell'anno dedicato all'imperatore Vespasiano (tuttora al centro dell'esposizione Divus Vespasianus), era di riprodurre l'Equus Vespasianus. Oggi, dell'antica statua equestre dell'esponente dei Flavi, resta soltanto il basamento: il monumento onorario nel Foro Romano, eretto nel 9l d.C. per commemorare le vittorie dell'imperatore contro i Gennani, venne collocato al centro della piazza dove oggi resta solo una cavità di forma rettangolare del basamento. Insomma, ci sono due soggetti per una sola mongolfiera. Che a quanto pare vedremo comunque innalzarsi sulle rovine della Roma imperiale. In attesa di un pronunciamento ufficiale del Sovrintendente di Roma Angelo Bottini. Per ora, la bozza resta chiusa nei cassetti degli uffici tecnici per una valutazione: fra gli obiettivi di Coarelli - storico allievo di Ranuccio Bianchi-Bandinelli - avere il nulla osta da parte di Bottini, ma anche accedere a fondi pubblici del ministero dei Beni Culturali. Di sicuro, l'evento farà discutere gli ambienti accademici, oltre a riaccendere il dibattito politico sul futuro dell'area dei Fori: una Roma più austera magari affidata alle cure dei soli soldi pubblici (e dunque alle competenze dei tecnici delle sovrintendenze), o una Roma pi simile a un grande Luna Park, a disposizione dei turisti. Staremo a vedere.
Alessandro Marchetti
Libero (Roma) 22/10/2009
Un'enorme mongolfiera a fianco della mole del Colosseo. Sarà una delle attrazioni della Roma futura, che dovrebbe vedere la luce il 17 novembre. La notizia, riportata ieri dal quotidiano Italia Oggi e confermata a Libero dall'ideatore, l'archeologo Filippo Coarelli, ha ancora contorni poco definiti per quanto riguarda il soggetto. Secondo quanto riportato dal quotidiano finanziario si tratterebbe dell'effige del colosso di Nerone, un tempo nell'area dell'anfiteatro Flavio. Di questo progetto si conoscono anche i dettagli: il profilo dovrebbe essere interamente in oro per 35 metri d'altezza, più la base. Un enorme pallone gonfiato pronto a galleggiare sopra il Colosseo. L'idea, ambiziosa quanto suggestiva, non coincide tuttavia con il progetto che risulta alla Sovrintendenza: l'ipotesi iniziale, infatti, in conclusione dell'anno dedicato all'imperatore Vespasiano (tuttora al centro dell'esposizione Divus Vespasianus), era di riprodurre l'Equus Vespasianus. Oggi, dell'antica statua equestre dell'esponente dei Flavi, resta soltanto il basamento: il monumento onorario nel Foro Romano, eretto nel 9l d.C. per commemorare le vittorie dell'imperatore contro i Gennani, venne collocato al centro della piazza dove oggi resta solo una cavità di forma rettangolare del basamento. Insomma, ci sono due soggetti per una sola mongolfiera. Che a quanto pare vedremo comunque innalzarsi sulle rovine della Roma imperiale. In attesa di un pronunciamento ufficiale del Sovrintendente di Roma Angelo Bottini. Per ora, la bozza resta chiusa nei cassetti degli uffici tecnici per una valutazione: fra gli obiettivi di Coarelli - storico allievo di Ranuccio Bianchi-Bandinelli - avere il nulla osta da parte di Bottini, ma anche accedere a fondi pubblici del ministero dei Beni Culturali. Di sicuro, l'evento farà discutere gli ambienti accademici, oltre a riaccendere il dibattito politico sul futuro dell'area dei Fori: una Roma più austera magari affidata alle cure dei soli soldi pubblici (e dunque alle competenze dei tecnici delle sovrintendenze), o una Roma pi simile a un grande Luna Park, a disposizione dei turisti. Staremo a vedere.
A piazza Venezia. Le trasformazioni attraverso i secoli
A piazza Venezia. Le trasformazioni attraverso i secoli
CARLO ALBERTO BUCCI
GIOVEDÌ, 22 OTTOBRE 2009 LA REPUBBLICA - Roma
I recenti ritrovamenti in occasione dei nuovi scavi fanno ridisegnare la mappa dell´Urbe
Dall´Athenaeum di Adriano a piazza Venezia al colonnato del Gymnasium a Sant´Andrea della Valle. E Carandini sollecita il Museo delle origini
I gradoni dell´Athenaeum di Adriano scoperto cinque metri sotto terra davanti al Vittoriano. Il colonnato del Gymnasium greco, voluto da Nerone accanto alle sue terme e individuabile nel quadriportico scavato di fronte a Sant´Andrea della Valle.
Ma anche le centinaia di vasi medievali gettati nei profondi "butti" - le antiche discariche - e la paziente ricostruzione dei livelli della città antica e moderna seppellita sotto il giardino spartitraffico di piazza Venezia. Sono solo tre delle, a vario titolo, importanti scoperte fatte nel sottosuolo di Roma. E dovute alle indagini eseguite in vista del passaggio della Metro C. Saranno illustrate e spiegate oggi pomeriggio dalle 15 da tre archeologi della Soprintendenza statale: Roberto Egidi, la medievista Mirella Serlorenzi e Fedora Filippi che è pronta a ridisegnare, grazie alle nuove scoperte, la mappa dell´antico Campo Marzio occidentale.
L´occasione è la due giorni di palazzo Massimo organizzata dal ministero Beni culturali per fare il punto sulle acquisizioni che la comunità scientifica e il patrimonio statale hanno fatto grazie ai sondaggi archeologici, nel passaggio «dall´archeologia d´urgenza a quella preventiva - per dirla con il soprintendente Angelo Bottini - intesa quale unico modus operandi adeguato per territori dalla lunghissima frequentazione umana».
Lunghissimo è l´arco cronologico delle scoperte effettuate. Si parte dalle testimonianze dell´Eneolitico e dell´età del Bronzo (IV-III millennio a. C.) venute alla luce nell´area di Pantano Borghese dove sorgerà la prima stazione della Metrò C. E si passa per le indagini eseguite lungo le mura Aureliane, tra San Giovanni e Porta Metronia, da Rossella Rea, responsabile anche dei ritrovamenti di età giulio-claudia fatti sotto il Colosseo in vista della stazione Fori Imperiali.
Lunghi sono però i lavori in vista del primo viaggio in direzione del capolinea Clodio-Mazzini. Tanto che ieri, invitato al convegno, il presidente di Roma Metropolitane, Giovanni Ascarelli, si è lamentato: «La linea C è altamente desiderata ma i ritrovamenti fatti inevitabilmente porteranno ritardi nei lavori del cantiere. È difficile pensare che una generazione di romani subisca questi disagi ...» Per poi dettare il calendario: «Da Pantano alla fermata Parco di Centocelle arriveremo nel 2011. A San Giovanni nel 2013. Poi marceremo più speditamente grazie all´esperienza e alle tecnologie avanzate».
Quando negli anni Settanta si scavò per la Metro A non si andò più spediti, «e di molti ritrovamenti non è rimasta nemmeno la documentazione» rivela un funzionario. In questi anni si è scavato invece con attenzione. Ed è con una certa rapidità che Egidi ha riportato alla luce la doppia gradinata dove nel 133 d.C. poetavano gli intellettuali dell´imperatore Adriano.
«Chi ha pensato di far passare due linee sotto la città antica, area poco scavata dagli archeologi, doveva immaginare - ha sottolineato il commissario per la metropoliana di Roma, Roberto Cecchi - che sarebbe venuto fuori un patrimonio inestimabile. I tempi e i costi, comunque, sono stati rispettati». L´archeologia «non è un nemico della città» ha scandito il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro. E il professor Andrea Carandini ha proposto: «Facciamo che la memoria sia comunicata a tutti i cittadini, non solo alle élite di laureati», invocando «la nascita al più presto del Museo della città di Roma».
CARLO ALBERTO BUCCI
GIOVEDÌ, 22 OTTOBRE 2009 LA REPUBBLICA - Roma
I recenti ritrovamenti in occasione dei nuovi scavi fanno ridisegnare la mappa dell´Urbe
Dall´Athenaeum di Adriano a piazza Venezia al colonnato del Gymnasium a Sant´Andrea della Valle. E Carandini sollecita il Museo delle origini
I gradoni dell´Athenaeum di Adriano scoperto cinque metri sotto terra davanti al Vittoriano. Il colonnato del Gymnasium greco, voluto da Nerone accanto alle sue terme e individuabile nel quadriportico scavato di fronte a Sant´Andrea della Valle.
Ma anche le centinaia di vasi medievali gettati nei profondi "butti" - le antiche discariche - e la paziente ricostruzione dei livelli della città antica e moderna seppellita sotto il giardino spartitraffico di piazza Venezia. Sono solo tre delle, a vario titolo, importanti scoperte fatte nel sottosuolo di Roma. E dovute alle indagini eseguite in vista del passaggio della Metro C. Saranno illustrate e spiegate oggi pomeriggio dalle 15 da tre archeologi della Soprintendenza statale: Roberto Egidi, la medievista Mirella Serlorenzi e Fedora Filippi che è pronta a ridisegnare, grazie alle nuove scoperte, la mappa dell´antico Campo Marzio occidentale.
L´occasione è la due giorni di palazzo Massimo organizzata dal ministero Beni culturali per fare il punto sulle acquisizioni che la comunità scientifica e il patrimonio statale hanno fatto grazie ai sondaggi archeologici, nel passaggio «dall´archeologia d´urgenza a quella preventiva - per dirla con il soprintendente Angelo Bottini - intesa quale unico modus operandi adeguato per territori dalla lunghissima frequentazione umana».
Lunghissimo è l´arco cronologico delle scoperte effettuate. Si parte dalle testimonianze dell´Eneolitico e dell´età del Bronzo (IV-III millennio a. C.) venute alla luce nell´area di Pantano Borghese dove sorgerà la prima stazione della Metrò C. E si passa per le indagini eseguite lungo le mura Aureliane, tra San Giovanni e Porta Metronia, da Rossella Rea, responsabile anche dei ritrovamenti di età giulio-claudia fatti sotto il Colosseo in vista della stazione Fori Imperiali.
Lunghi sono però i lavori in vista del primo viaggio in direzione del capolinea Clodio-Mazzini. Tanto che ieri, invitato al convegno, il presidente di Roma Metropolitane, Giovanni Ascarelli, si è lamentato: «La linea C è altamente desiderata ma i ritrovamenti fatti inevitabilmente porteranno ritardi nei lavori del cantiere. È difficile pensare che una generazione di romani subisca questi disagi ...» Per poi dettare il calendario: «Da Pantano alla fermata Parco di Centocelle arriveremo nel 2011. A San Giovanni nel 2013. Poi marceremo più speditamente grazie all´esperienza e alle tecnologie avanzate».
Quando negli anni Settanta si scavò per la Metro A non si andò più spediti, «e di molti ritrovamenti non è rimasta nemmeno la documentazione» rivela un funzionario. In questi anni si è scavato invece con attenzione. Ed è con una certa rapidità che Egidi ha riportato alla luce la doppia gradinata dove nel 133 d.C. poetavano gli intellettuali dell´imperatore Adriano.
«Chi ha pensato di far passare due linee sotto la città antica, area poco scavata dagli archeologi, doveva immaginare - ha sottolineato il commissario per la metropoliana di Roma, Roberto Cecchi - che sarebbe venuto fuori un patrimonio inestimabile. I tempi e i costi, comunque, sono stati rispettati». L´archeologia «non è un nemico della città» ha scandito il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro. E il professor Andrea Carandini ha proposto: «Facciamo che la memoria sia comunicata a tutti i cittadini, non solo alle élite di laureati», invocando «la nascita al più presto del Museo della città di Roma».
Metro C, si viaggerà nella storia
Metro C, si viaggerà nella storia
Claudio Marincola
Messaggero (Roma) 22/10/2009
«Questa metropolitana di Roma possiamo definirla archeologica». Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, pensa a tutte le scoperte (vere o presunte) emerse nei sondaggi: l'Atheneum di Adriano, il Gymnasium neroniano, le tracce di un canale che attraversava Campo Marzio e portava fino al Tevere. Un insediamento preistorico a Pantano Borghese e, lungo una parte delle Mure Aureliane, testimonianze di presenze umane risalenti all'Età del bronzo. E ancora: piccoli bacini d'acqua sotto il Claudium, al Celio. «Chi ha programmato due linee nel centro storico di Roma non aveva la cognizione di quello che si andava a fare...», osserva, compiaciuto Carandini. Ma c'è anche l'altra faccia della medaglia: le conseguenze che questa imponente campagna di scavi potrebbe avere sui tempi. Due visioni e due mondi che Roberto Cecchi, commissario delegato per le Metropolitane di Roma, ha messo a confronto nel convegno Archeologia e infrastrutture. Si è aperto ieri a Palazzo Massimo, sede del Museo nazionale romana. Presenti anche il soprintendente ai Beni archeologici, Angelo Bottini, e il sottosegretario ai Beni Culturali, Francesco Giro. Così Carandini nella Metro C vede «una grande opportunità». Dice: «La nostra conoscenza del passato dipende in larga parte dai lavori pubblici che ci consentono di fare scoperte che ogni volta rivoluzionano Roma». Mentre Giovanni Ascarelli, presidente di Roma Metropolita nesrl vede la questione da un altro angolo di osservazione: «Lo sviluppo economico se non è ragionevolmente veloce, non è uno sviluppo economico». «La Metro C servirà un bacino di utenza di circa mezza milione di persone- osserva - avranno un servizio che a causa di questi ritrovamenti slitterà. Credo sia grave». Privilegiare le necessità della generazione vivente. Sì ma come? «Noi utilizziamo tecnologie all'avanguardia e stiamo facendo un grande sforzo», risponde Ascarelli. Su un punto però sono tutti d'accordo: il risultato finale sarà al di sopra delle aspettative. Stazioni con pareti multimediali e accesso virtuale ai Fori Imperiali. Scale mobili che sembreranno macchine del tempo e stimoleranno la conoscenza attraverso le varie epoche stratificate. Sarà possibile anche ricomporre le fasi evolutive dcl paesaggio e le trasforniazioni subite (l'esempio mostrato è quello di un complesso edilizio sull'antica via Lata). Quanto ci costa l'archeologia preventiva? «Non più del 2,3% delle risorse (circa 70 milioni di euro, ndr)- fa i conti Cecchi - un investimento che premia Roma, la fa guadagnare una terza linea in tempi certi e con un corredo di monumenti». Per Francesco Giro l'opera dovrà essere «realizzata in tempi umani, e l'archeologia non è un nemico ma una risorsa». Invece «Roma si perde in progetti faraonici anche di natura sportiva». Dove il riferimento è, forse, la Formula Uno all'Eur. Le prime due talpe intanto hanno raggiunto il pozzo di San Felice di Cantelice, ovvero l'Alessandrino. Per l'esattezza stanno scavando proprio sotto la chiesa di San Francesco, non distante dai luoghi pasoliniani dove si girò Accattone. L'arrivo al Parco di Centocelle è in programma per il dicembre dcl 2011, quando è previsto il completamento della tratta T7 con capolinea a Pantano. Le altre due talpe stanno scavando in direzione opposta dal pozzo Malatesta. Per l'arrivo alla fermata San Giovanni si parla del 2013.
Claudio Marincola
Messaggero (Roma) 22/10/2009
«Questa metropolitana di Roma possiamo definirla archeologica». Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, pensa a tutte le scoperte (vere o presunte) emerse nei sondaggi: l'Atheneum di Adriano, il Gymnasium neroniano, le tracce di un canale che attraversava Campo Marzio e portava fino al Tevere. Un insediamento preistorico a Pantano Borghese e, lungo una parte delle Mure Aureliane, testimonianze di presenze umane risalenti all'Età del bronzo. E ancora: piccoli bacini d'acqua sotto il Claudium, al Celio. «Chi ha programmato due linee nel centro storico di Roma non aveva la cognizione di quello che si andava a fare...», osserva, compiaciuto Carandini. Ma c'è anche l'altra faccia della medaglia: le conseguenze che questa imponente campagna di scavi potrebbe avere sui tempi. Due visioni e due mondi che Roberto Cecchi, commissario delegato per le Metropolitane di Roma, ha messo a confronto nel convegno Archeologia e infrastrutture. Si è aperto ieri a Palazzo Massimo, sede del Museo nazionale romana. Presenti anche il soprintendente ai Beni archeologici, Angelo Bottini, e il sottosegretario ai Beni Culturali, Francesco Giro. Così Carandini nella Metro C vede «una grande opportunità». Dice: «La nostra conoscenza del passato dipende in larga parte dai lavori pubblici che ci consentono di fare scoperte che ogni volta rivoluzionano Roma». Mentre Giovanni Ascarelli, presidente di Roma Metropolita nesrl vede la questione da un altro angolo di osservazione: «Lo sviluppo economico se non è ragionevolmente veloce, non è uno sviluppo economico». «La Metro C servirà un bacino di utenza di circa mezza milione di persone- osserva - avranno un servizio che a causa di questi ritrovamenti slitterà. Credo sia grave». Privilegiare le necessità della generazione vivente. Sì ma come? «Noi utilizziamo tecnologie all'avanguardia e stiamo facendo un grande sforzo», risponde Ascarelli. Su un punto però sono tutti d'accordo: il risultato finale sarà al di sopra delle aspettative. Stazioni con pareti multimediali e accesso virtuale ai Fori Imperiali. Scale mobili che sembreranno macchine del tempo e stimoleranno la conoscenza attraverso le varie epoche stratificate. Sarà possibile anche ricomporre le fasi evolutive dcl paesaggio e le trasforniazioni subite (l'esempio mostrato è quello di un complesso edilizio sull'antica via Lata). Quanto ci costa l'archeologia preventiva? «Non più del 2,3% delle risorse (circa 70 milioni di euro, ndr)- fa i conti Cecchi - un investimento che premia Roma, la fa guadagnare una terza linea in tempi certi e con un corredo di monumenti». Per Francesco Giro l'opera dovrà essere «realizzata in tempi umani, e l'archeologia non è un nemico ma una risorsa». Invece «Roma si perde in progetti faraonici anche di natura sportiva». Dove il riferimento è, forse, la Formula Uno all'Eur. Le prime due talpe intanto hanno raggiunto il pozzo di San Felice di Cantelice, ovvero l'Alessandrino. Per l'esattezza stanno scavando proprio sotto la chiesa di San Francesco, non distante dai luoghi pasoliniani dove si girò Accattone. L'arrivo al Parco di Centocelle è in programma per il dicembre dcl 2011, quando è previsto il completamento della tratta T7 con capolinea a Pantano. Le altre due talpe stanno scavando in direzione opposta dal pozzo Malatesta. Per l'arrivo alla fermata San Giovanni si parla del 2013.
Per non perdere 2.600 anni
Per non perdere 2.600 anni
23-10-2009, CORRIERE DELLA SERA
Quando Rutelli era sindaco di Roma si rese famoso per aver piazzato quella specie di totem indiano in Largo di Santa Susanna, che fa a pugni con l'antichissimo reperto delle mura Serviane di duemilaseicento anni fa.
Roma è l'unica città dell'universo ad avere due cinte murarie perfettamente riconoscibili. Quando gli venne in mente di restaurare l'Ara Pacis,che costò allora miliardi di lire, prelevate direttamente dalle tasche dei poveri cittadini Romani, dimenticò di farsi restutuire dal Governo Francese, i preziosi marmi vendutigli da qualche privato e custoditi al Louvre e a Villa Medici di Roma. Aveva il precedente che il Papa Pio XII, salvatore di Roma e dell'Italia, regalò all' Italia un frammento dell'Ara, esposto nei Musei Vaticani
Prof. Arnaldo Cantani
23-10-2009, CORRIERE DELLA SERA
Quando Rutelli era sindaco di Roma si rese famoso per aver piazzato quella specie di totem indiano in Largo di Santa Susanna, che fa a pugni con l'antichissimo reperto delle mura Serviane di duemilaseicento anni fa.
Roma è l'unica città dell'universo ad avere due cinte murarie perfettamente riconoscibili. Quando gli venne in mente di restaurare l'Ara Pacis,che costò allora miliardi di lire, prelevate direttamente dalle tasche dei poveri cittadini Romani, dimenticò di farsi restutuire dal Governo Francese, i preziosi marmi vendutigli da qualche privato e custoditi al Louvre e a Villa Medici di Roma. Aveva il precedente che il Papa Pio XII, salvatore di Roma e dell'Italia, regalò all' Italia un frammento dell'Ara, esposto nei Musei Vaticani
Prof. Arnaldo Cantani
E Testaccio diventa un rione-museo. Scavi archeologici, un percorso sulla storia del quartiere e strade pedonalizzate
E Testaccio diventa un rione-museo. Scavi archeologici, un percorso sulla storia del quartiere e strade pedonalizzate
SARA GRATTOGGI
DOMENICA, 25 OTTOBRE 2009 LA REPUBBLICA - Roma
Il presidente del I Municipio Corsetti: "Finalmente non solo movida, ma turismo diurno"
Da centro nevralgico per gli affari dell´Impero a "orto" della Roma medioevale, fino al suo recente passato di rione popolare e al suo caotico presente, che l´ha consacrato come mecca della movida capitolina. Una storia millenaria, quella di Testaccio, che si arricchisce ora di un nuovo capitolo. La riqualificazione del quartiere, infatti, parte dall´idea di un museo diffuso del rione, che ne valorizzi tutte le stratificazioni storiche in un percorso diacronico che dall´Antica Roma giunge fino agli anni ´20 del Novecento.
Il cuore del progetto, presentato ieri alla cittadinanza e curato dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, sarà il nuovo mercato compreso tra via Galvani e via Volta. Costruito - letteralmente - sui cocci del suo antico progenitore, e realizzato grazie al project financing, il nuovo sito affonderà le proprie radici sugli scavi archeologici, che saranno fruibili grazie a due percorsi ipogei, simili a quelli della Necropoli Vaticana di Santa Rosa. «Vogliamo raggiungere una compenetrazione tra la città antica e quella contemporanea» spiega Renato Sebastiani, responsabile del progetto. Che ha portato alla luce uno spaccato della storia del rione, dall´età antica al secolo scorso: «Nell´ettaro che abbiamo scavato - racconta il Soprintendente Angelo Bottini - abbiamo rinvenuto alcuni horrea di epoca imperiale, tracce delle coltivazioni medioevali, l´impianto di un casale rinascimentale, porzioni a più livelli del "Vicolo della Serpe", che attraversava questo tratto di agro romano fino a poco più di un secolo fa, oltre alle fondamenta dei "villini" edificati nei primi anni ´20 del Novecento».
Dal mercato partirà il percorso di quartiere (articolato in tre sezioni) che collegherà i luoghi di interesse architettonico e culturale del rione, segnalandoli con accurati pannelli illustrativi: dal Porticus Aemilia alle Mura Aureliane, dal Monte dei Cocci alle tombe romantiche del cimitero acattolico, fino all´ex Mattatoio e all´eclettica caserma dei vigili del fuoco.
«Finalmente Testaccio non sarà più conosciuto solo come il quartiere della movida - commenta Orlando Corsetti, presidente del I Municipio - In questo modo incrementeremo il turismo diurno, stimolando anche alle attività commerciali della zona». «L´idea di un museo diffuso è straordinaria - aggiunge Dino Gasperini, delegato del sindaco per il centro storico - pedonalizzeremo l´area del Monte dei Cocci per salvarla dal "traffico parassitario", bonificheremo il verde sopra la collina e creeremo delle aperture verso zone limitrofe della città, dall´oltretevere, verso Portuense, al Parco Lineare delle Mura Aureliane».
SARA GRATTOGGI
DOMENICA, 25 OTTOBRE 2009 LA REPUBBLICA - Roma
Il presidente del I Municipio Corsetti: "Finalmente non solo movida, ma turismo diurno"
Da centro nevralgico per gli affari dell´Impero a "orto" della Roma medioevale, fino al suo recente passato di rione popolare e al suo caotico presente, che l´ha consacrato come mecca della movida capitolina. Una storia millenaria, quella di Testaccio, che si arricchisce ora di un nuovo capitolo. La riqualificazione del quartiere, infatti, parte dall´idea di un museo diffuso del rione, che ne valorizzi tutte le stratificazioni storiche in un percorso diacronico che dall´Antica Roma giunge fino agli anni ´20 del Novecento.
Il cuore del progetto, presentato ieri alla cittadinanza e curato dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, sarà il nuovo mercato compreso tra via Galvani e via Volta. Costruito - letteralmente - sui cocci del suo antico progenitore, e realizzato grazie al project financing, il nuovo sito affonderà le proprie radici sugli scavi archeologici, che saranno fruibili grazie a due percorsi ipogei, simili a quelli della Necropoli Vaticana di Santa Rosa. «Vogliamo raggiungere una compenetrazione tra la città antica e quella contemporanea» spiega Renato Sebastiani, responsabile del progetto. Che ha portato alla luce uno spaccato della storia del rione, dall´età antica al secolo scorso: «Nell´ettaro che abbiamo scavato - racconta il Soprintendente Angelo Bottini - abbiamo rinvenuto alcuni horrea di epoca imperiale, tracce delle coltivazioni medioevali, l´impianto di un casale rinascimentale, porzioni a più livelli del "Vicolo della Serpe", che attraversava questo tratto di agro romano fino a poco più di un secolo fa, oltre alle fondamenta dei "villini" edificati nei primi anni ´20 del Novecento».
Dal mercato partirà il percorso di quartiere (articolato in tre sezioni) che collegherà i luoghi di interesse architettonico e culturale del rione, segnalandoli con accurati pannelli illustrativi: dal Porticus Aemilia alle Mura Aureliane, dal Monte dei Cocci alle tombe romantiche del cimitero acattolico, fino all´ex Mattatoio e all´eclettica caserma dei vigili del fuoco.
«Finalmente Testaccio non sarà più conosciuto solo come il quartiere della movida - commenta Orlando Corsetti, presidente del I Municipio - In questo modo incrementeremo il turismo diurno, stimolando anche alle attività commerciali della zona». «L´idea di un museo diffuso è straordinaria - aggiunge Dino Gasperini, delegato del sindaco per il centro storico - pedonalizzeremo l´area del Monte dei Cocci per salvarla dal "traffico parassitario", bonificheremo il verde sopra la collina e creeremo delle aperture verso zone limitrofe della città, dall´oltretevere, verso Portuense, al Parco Lineare delle Mura Aureliane».
Cipolle e cavoli in mezzo agli scavi così rinascono gli orti degli antichi
Cipolle e cavoli in mezzo agli scavi così rinascono gli orti degli antichi
CINZIA DAL MASO
DOMENICA, 25 OTTOBRE 2009 LA REPUBBLICA - NAPOLI
Pompei diventa un marchio di cibi prodotti come duemila anni fa
Archeoagricoltura anche in Toscana dove si stanno riscoprendo le viti degli Etruschi
Lavorare la terra come gli antichi Romani. Coltivare gli stessi prodotti negli stessi identici luoghi. Sembra fantascienza. Ma oggi è davvero possibile ricostruire anche il passato più impalpabile e perituro. Ricostruire la vita. E ottenere prodotti locali che di più non si può: autoctoni da oltre duemila anni. Ci stanno provando in molti, unendo le forze degli archeologi con quelle dei botanici, degli storici dell´agricoltura e del paesaggio antico. A Pompei, innanzitutto, dove l´eruzione del 79 d.C. ha conservato persino le impronte nel terreno delle radici delle piante. Lì si sa esattamente dove stavano gli orti, dove le viti, gli alberi da frutto. E già da qualche anno l´azienda vinicola Mastroberardino sperimenta la coltivazione di vitigni autoctoni nei medesimi luoghi antichi e con tecniche antiche. Ma adesso si andrà oltre: con un protocollo d´intesa firmato dal commissario straordinario Marcello Fiori e dall´assessore all´Agricoltura della Regione Campania, Gianfranco Nappi, si promuoverà nel mondo l´unicità di Pompei anche dal punto di vista agricolo. Vendendo «uno dei grandi marchi italiani», come dice Fiori, non solo al turismo culturale ma anche a quello enogastronomico. Nelle aree di Pompei non ancora scavate si farà coltivazione biologica solo di specie tipiche locali come la cipolla, il cavolo, gli alberi da frutto. Che da Natale i turisti potranno degustare a Pompei o acquistare a distanza. E il vino "Villa dei Misteri", già in produzione, sarà l´araldo di Pompei nelle ambasciate italiane del mondo.
Intanto in città l´archeobiologa Annamaria Ciarallo progetta un luogo dove raccontare al pubblico curiosità di storia dell´agricoltura e dell´alimentazione. Ma già gli studi sui metodi di conservazione dei cibi, che da tempo conduce con i colleghi della cooperativa Amphora di Forlì, sono in mostra al castello romagnolo di Cusercoli. Dove sta prendendo forma un inventario nazionale dei luoghi per la conservazione del cibo, forse il problema maggiore per l´agricoltore dell´era pre-frigorifero. Innanzitutto le ingegnose fosse da grano che dalla preistoria, per millenni, hanno sigillato cereali e legumi come fossero sottovuoto.
È però sempre il vino il protagonista delle ricerche archeoagricole. Dai Campi Flegrei alla Lomellina, diverse aziende ripristinano oggi i sistemi antichi di coltivazione della vite. E c´è chi è riuscito persino a individuare la parentela genetica tra vitigni antichi e moderni. Sono gli archeologi Andrea Zifferero e Andrea Ciacci dell´Università di Siena che da anni collaborano con i biologi molecolari di Milano e Siena nell´indagine delle "lambruscaie" etrusche, viti selvatiche che s´inerpicano sugli alberi. Con studi pionieristici hanno scoperto che le viti trovate vicino alle antiche fattorie etrusche e romane hanno sviluppato negli anni un patrimonio genetico diverso da quelle cresciute in ambienti totalmente naturali. Sono quasi sicuramente le discendenti di quelle che il fattore antico ha coltivato per fare il suo vino, e che col tempo poi sono tornate a inselvatichirsi. Quelle del centro etrusco di Ghiaccioforte assomigliano molto ai vitigni canaiolo nero e sangiovese impiegati oggi in zona per fare il Morellino di Scansano. Che è, dunque, vino quasi etrusco. E presto a Scansano si produrrà anche il suo antenato.
CINZIA DAL MASO
DOMENICA, 25 OTTOBRE 2009 LA REPUBBLICA - NAPOLI
Pompei diventa un marchio di cibi prodotti come duemila anni fa
Archeoagricoltura anche in Toscana dove si stanno riscoprendo le viti degli Etruschi
Lavorare la terra come gli antichi Romani. Coltivare gli stessi prodotti negli stessi identici luoghi. Sembra fantascienza. Ma oggi è davvero possibile ricostruire anche il passato più impalpabile e perituro. Ricostruire la vita. E ottenere prodotti locali che di più non si può: autoctoni da oltre duemila anni. Ci stanno provando in molti, unendo le forze degli archeologi con quelle dei botanici, degli storici dell´agricoltura e del paesaggio antico. A Pompei, innanzitutto, dove l´eruzione del 79 d.C. ha conservato persino le impronte nel terreno delle radici delle piante. Lì si sa esattamente dove stavano gli orti, dove le viti, gli alberi da frutto. E già da qualche anno l´azienda vinicola Mastroberardino sperimenta la coltivazione di vitigni autoctoni nei medesimi luoghi antichi e con tecniche antiche. Ma adesso si andrà oltre: con un protocollo d´intesa firmato dal commissario straordinario Marcello Fiori e dall´assessore all´Agricoltura della Regione Campania, Gianfranco Nappi, si promuoverà nel mondo l´unicità di Pompei anche dal punto di vista agricolo. Vendendo «uno dei grandi marchi italiani», come dice Fiori, non solo al turismo culturale ma anche a quello enogastronomico. Nelle aree di Pompei non ancora scavate si farà coltivazione biologica solo di specie tipiche locali come la cipolla, il cavolo, gli alberi da frutto. Che da Natale i turisti potranno degustare a Pompei o acquistare a distanza. E il vino "Villa dei Misteri", già in produzione, sarà l´araldo di Pompei nelle ambasciate italiane del mondo.
Intanto in città l´archeobiologa Annamaria Ciarallo progetta un luogo dove raccontare al pubblico curiosità di storia dell´agricoltura e dell´alimentazione. Ma già gli studi sui metodi di conservazione dei cibi, che da tempo conduce con i colleghi della cooperativa Amphora di Forlì, sono in mostra al castello romagnolo di Cusercoli. Dove sta prendendo forma un inventario nazionale dei luoghi per la conservazione del cibo, forse il problema maggiore per l´agricoltore dell´era pre-frigorifero. Innanzitutto le ingegnose fosse da grano che dalla preistoria, per millenni, hanno sigillato cereali e legumi come fossero sottovuoto.
È però sempre il vino il protagonista delle ricerche archeoagricole. Dai Campi Flegrei alla Lomellina, diverse aziende ripristinano oggi i sistemi antichi di coltivazione della vite. E c´è chi è riuscito persino a individuare la parentela genetica tra vitigni antichi e moderni. Sono gli archeologi Andrea Zifferero e Andrea Ciacci dell´Università di Siena che da anni collaborano con i biologi molecolari di Milano e Siena nell´indagine delle "lambruscaie" etrusche, viti selvatiche che s´inerpicano sugli alberi. Con studi pionieristici hanno scoperto che le viti trovate vicino alle antiche fattorie etrusche e romane hanno sviluppato negli anni un patrimonio genetico diverso da quelle cresciute in ambienti totalmente naturali. Sono quasi sicuramente le discendenti di quelle che il fattore antico ha coltivato per fare il suo vino, e che col tempo poi sono tornate a inselvatichirsi. Quelle del centro etrusco di Ghiaccioforte assomigliano molto ai vitigni canaiolo nero e sangiovese impiegati oggi in zona per fare il Morellino di Scansano. Che è, dunque, vino quasi etrusco. E presto a Scansano si produrrà anche il suo antenato.
sabato 24 ottobre 2009
Il ritrovamento di una testa ripropone un tema cruciale per l´archeologia quei culti per Diana nella roma antica
La Repubblica 16.10.09
Il ritrovamento di una testa ripropone un tema cruciale per l´archeologia
quei culti per Diana nella roma antica
di Andrea Carandini
Il reperto è stato rinvenuto accanto al luogo nel quale si presume possa essere il tempio dedicato alla dea L´edificio è stato ricostruito grazie alle tecniche geomagnetiche
Come gli individui si capiscono nel loro ambiente, così avviene per le cose, almeno nell´ottica sistemica dell´archeologo. La testa marmorea di Diana, scoperta ai piedi dell´Aventino da Alessandra Capodiferro della Soprintendenza archeologica di Roma ed esposta a Palazzo Altemps, è una rielaborazione della statua di culto del tempio di Artemide a Efeso. È sembrata, a prima vista, una delle tante sculture che il suolo di Roma non si stanca di restituire. Ma l´oggetto rappresenta anche un indizio importante di una realtà più cospicua: il tempio di Diana sull´Aventino, che gli studiosi situano in punti diversi di quel monte.
Consultando il nostro "sistema informativo" su Roma antica ci siamo accorti che una statuetta in alabastro di Diana, del tutto simile, era stata scoperta nel ´700, lì vicino, sulla sommità del monte. Era questo uno degli indizi che, insieme all´iscrizione (D)iana e a una statua femminile arcaizzante - riproduzione della statua di culto? - ci aveva indotto a situare il tempio a sinistra della chiesa di Sant´Alessio.
La chiesa si trova nel punto più alto dell´Aventino ed è stata costruita sopra il tempio di Minerva, che Marziale colloca in arce, quindi sulla sommità del monte. Un frammento della pianta marmorea di Roma degli inizi del III secolo d. C. mostra, accanto al tempio di Minerva, quello di Diana, che secondo Giovenale sorgeva anch´esso in posizione dominante. Il frammento di pianta marmorea bene si ancora ad un muro antico sotto quello perimetrale di Sant´Alessio e anche a una strada basolata. È da notare che i templi pagani si disponevano lungo l´alto ciglio dell´Aventino sopra il Tevere, come poi le chiese.
Per questa nostra scelta topografica siamo stati criticati, ma tutti gli indizi ricollegabili al tempio sono stati trovati nei pressi di Sant´Alessio, per cui già Giovanni Colonna aveva collocato il tempio lì vicino, ma non nel luogo e nell´orientamento da noi scelti. Il recente rinvenimento della testa di Diana conferma la nostra scelta topografica: le due statue della dea - relative probabilmente a statue votive - sono state rinvenute proprio ai lati del sito dove il tempio era stato ricostruito da Daniela Bruno e da me. Sarebbe bene che un cartello in quel punto spiegasse al visitatore cosa ha sotto i piedi.
La pianta marmorea antica rivela anche parte della pianta del tempio di Diana, per cui è stato facile per noi proporne una ricostruzione, tra due portici. Aveva una fila di otto colonne "ioniche" sulle due fronti e due file di quindici colonne sui lati, come il tempio di Efeso, preso a modello dall´ammiraglio trionfatore Cornificio, che aveva il vezzo di girare per Roma su un elefante. Pur trattandosi di una delle meraviglie della Roma augustea, non è stata dedicata al monumento sufficiente attenzione: si potrebbe eseguire in un cortile dell´Istituto di Studi Romani una prospezione geomagnetica, come quella che ci ha consentito di individuare il tempio di Quirino nei giardini del Quirinale (Cercando Quirino, Einaudi 2007). Sempre grazie a onde elettromagnetiche si potrebbe identificare anche il tempio di Cerere, Libero e Libera degli inizi del V secolo a. C., la cui posizione sull´Aventino in senso lato conosciamo (la pendice verso il Circo Massimo), ma anche a questa rovina sepolta si è guardato con insufficiente dedizione. È bene sapere che le prospezioni geomagnetiche costano assai poco.
I templi nominati sono tra i più importanti di Roma, legati entrambi alla plebe, che davanti a essi si riuniva, venendo a costituire una sorta di Stato nello Stato. Il culto di Diana sull´Aventino era stato istituito intorno alla metà del VI secolo a.C. dal re Servio Tullio, amatissimo dal popolo, come contraltare romano del culto ad Aricia (Nemi). Servio aveva imitato Tarquinio Prisco, che agli inizi dello stesso secolo aveva istituito il culto di Giove Re/Ottimo Massimo, contraltare del culto di Giove Laziare sul Monte Albano (Cavo). Sono questi i presupposti teologici dell´egemonia di Roma sui Latini, non più solo lungo la riva sinistra del Tevere, che era stato stato il progetto di Romolo, Tullo Ostilio e Anco Marcio, ma sull´intero Lazio antico, che è stato il progetto dei Tarquini e di Servio, per cui Roma cominciò per la prima volta ad apparire come una potenza mediterranea.
Se continuiamo a procedere per frammenti sparsi che si accumulano, non adeguatamente organizzati e cartografati, non riusciremo a capire, raccontare e mostrare la città nel sistema dei contesti che si succedono nel tempo. Il fine sta dunque nel riguadagnare i singoli frammenti ai contesti per spiegare la storia nello spazio, oltre che nel tempo. Quando spiego Roma a visitatori anche colti, ferfino ad archeologi non specialisti, mi accorgo che Roma non si spiega da sola.
Il ritrovamento di una testa ripropone un tema cruciale per l´archeologia
quei culti per Diana nella roma antica
di Andrea Carandini
Il reperto è stato rinvenuto accanto al luogo nel quale si presume possa essere il tempio dedicato alla dea L´edificio è stato ricostruito grazie alle tecniche geomagnetiche
Come gli individui si capiscono nel loro ambiente, così avviene per le cose, almeno nell´ottica sistemica dell´archeologo. La testa marmorea di Diana, scoperta ai piedi dell´Aventino da Alessandra Capodiferro della Soprintendenza archeologica di Roma ed esposta a Palazzo Altemps, è una rielaborazione della statua di culto del tempio di Artemide a Efeso. È sembrata, a prima vista, una delle tante sculture che il suolo di Roma non si stanca di restituire. Ma l´oggetto rappresenta anche un indizio importante di una realtà più cospicua: il tempio di Diana sull´Aventino, che gli studiosi situano in punti diversi di quel monte.
Consultando il nostro "sistema informativo" su Roma antica ci siamo accorti che una statuetta in alabastro di Diana, del tutto simile, era stata scoperta nel ´700, lì vicino, sulla sommità del monte. Era questo uno degli indizi che, insieme all´iscrizione (D)iana e a una statua femminile arcaizzante - riproduzione della statua di culto? - ci aveva indotto a situare il tempio a sinistra della chiesa di Sant´Alessio.
La chiesa si trova nel punto più alto dell´Aventino ed è stata costruita sopra il tempio di Minerva, che Marziale colloca in arce, quindi sulla sommità del monte. Un frammento della pianta marmorea di Roma degli inizi del III secolo d. C. mostra, accanto al tempio di Minerva, quello di Diana, che secondo Giovenale sorgeva anch´esso in posizione dominante. Il frammento di pianta marmorea bene si ancora ad un muro antico sotto quello perimetrale di Sant´Alessio e anche a una strada basolata. È da notare che i templi pagani si disponevano lungo l´alto ciglio dell´Aventino sopra il Tevere, come poi le chiese.
Per questa nostra scelta topografica siamo stati criticati, ma tutti gli indizi ricollegabili al tempio sono stati trovati nei pressi di Sant´Alessio, per cui già Giovanni Colonna aveva collocato il tempio lì vicino, ma non nel luogo e nell´orientamento da noi scelti. Il recente rinvenimento della testa di Diana conferma la nostra scelta topografica: le due statue della dea - relative probabilmente a statue votive - sono state rinvenute proprio ai lati del sito dove il tempio era stato ricostruito da Daniela Bruno e da me. Sarebbe bene che un cartello in quel punto spiegasse al visitatore cosa ha sotto i piedi.
La pianta marmorea antica rivela anche parte della pianta del tempio di Diana, per cui è stato facile per noi proporne una ricostruzione, tra due portici. Aveva una fila di otto colonne "ioniche" sulle due fronti e due file di quindici colonne sui lati, come il tempio di Efeso, preso a modello dall´ammiraglio trionfatore Cornificio, che aveva il vezzo di girare per Roma su un elefante. Pur trattandosi di una delle meraviglie della Roma augustea, non è stata dedicata al monumento sufficiente attenzione: si potrebbe eseguire in un cortile dell´Istituto di Studi Romani una prospezione geomagnetica, come quella che ci ha consentito di individuare il tempio di Quirino nei giardini del Quirinale (Cercando Quirino, Einaudi 2007). Sempre grazie a onde elettromagnetiche si potrebbe identificare anche il tempio di Cerere, Libero e Libera degli inizi del V secolo a. C., la cui posizione sull´Aventino in senso lato conosciamo (la pendice verso il Circo Massimo), ma anche a questa rovina sepolta si è guardato con insufficiente dedizione. È bene sapere che le prospezioni geomagnetiche costano assai poco.
I templi nominati sono tra i più importanti di Roma, legati entrambi alla plebe, che davanti a essi si riuniva, venendo a costituire una sorta di Stato nello Stato. Il culto di Diana sull´Aventino era stato istituito intorno alla metà del VI secolo a.C. dal re Servio Tullio, amatissimo dal popolo, come contraltare romano del culto ad Aricia (Nemi). Servio aveva imitato Tarquinio Prisco, che agli inizi dello stesso secolo aveva istituito il culto di Giove Re/Ottimo Massimo, contraltare del culto di Giove Laziare sul Monte Albano (Cavo). Sono questi i presupposti teologici dell´egemonia di Roma sui Latini, non più solo lungo la riva sinistra del Tevere, che era stato stato il progetto di Romolo, Tullo Ostilio e Anco Marcio, ma sull´intero Lazio antico, che è stato il progetto dei Tarquini e di Servio, per cui Roma cominciò per la prima volta ad apparire come una potenza mediterranea.
Se continuiamo a procedere per frammenti sparsi che si accumulano, non adeguatamente organizzati e cartografati, non riusciremo a capire, raccontare e mostrare la città nel sistema dei contesti che si succedono nel tempo. Il fine sta dunque nel riguadagnare i singoli frammenti ai contesti per spiegare la storia nello spazio, oltre che nel tempo. Quando spiego Roma a visitatori anche colti, ferfino ad archeologi non specialisti, mi accorgo che Roma non si spiega da sola.
Qui, nella casa di Tito, c’era il Laocoonte
Corriere della Sera 19.10.09
Le prove dell’archeologo Andrea Carandini: ecco dove si trovava l’abitazione del futuro imperatore
Qui, nella casa di Tito, c’era il Laocoonte
di Paolo Conti
Forse per essere buoni archeologi occorre allevare un doppio, quello del detective. Altrimenti non si potrebbe approdare alle conclusioni che oggi alle 17.30 Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali e docente di Archeologia classica a «La Sapienza» di Roma, esporrà agli Uffizi di Firenze in occasione del restauro del Laocoonte di Baccio Bandinelli realizzato grazie agli Amici degli Uffizi e i Friends of Uffizi Gallery inc. La copia di Baccio fu scolpita nel 1520 dopo il ritrovamento dell’originale ellenistico del I secolo avanti Cristo (Plinio la attribuisce a Agesandro, Atanadoro e Polidoro, tre scultori di Rodi) avvenuto nel 1506 vicino alla Domus Aurea, dissepolto alla presenza di Michelangelo e di Giuliano da Sangallo. Il clamore per la scoperta fu immenso per l’epoca, ecco perché Baccio Bandinelli ricevette dalla corte pontificia la commissione di una riproduzione da offrire a Francesco I di Francia.
Per individuare quella che a suo avviso è la Casa di Tito sul Colle Oppio (e «nella Casa di Tito», fino a oggi mai identificata, stando a Plinio, era esposto il Laocoonte) Carandini si è armato di due fondamentali piante romane. Ovvero la marmorea Forma Urbis Romae degli inizi del III secolo dopo Cristo e quella realizzata da Giambattista Nolli nel 1748. Racconta Carandini: «Studiando la Forma Urbis mi sono imbattuto in un atrio di forma arcaica a crociera, con un gigantesco tablino e con un accesso che apre su uno spazio porticato con al centro un tempietto. Che strano, mi sono detto, un atrio così antico rimasto intatto sulla pianta per tanti secoli». Ma una ragione, per il professore, c’è. Ed è legata al culto di Servio Tullio, penultimo re di Roma assassinato dal genero Tarquinio il Superbo: «Sappiamo dalle fonti che la sua casa era in periferia, sulla cima del Colle Oppio. Dopo la sua morte e quella di Tarquinio il Superbo, la repubblica fondò il suo culto come vecchio re filo-popolare. Venne il tempietto ».
Ed eccoci a un nuovo capitolo, al primo Prefetto del Pretorio Seio Strabone, capo delle guardie del palazzo imperiale sotto Augusto: «Guardando la pianta, si nota che intorno alla casa e al tempietto si costruisce un grande edificio. Si deve a Aelio Seiano, suo figlio, Prefetto del Pretorio sotto Tiberio, che poi lo farà uccidere nel palazzo imperiale. Lì sorge infatti il Tempio della Fortuna seiana, visibile sulla pianta, e coperta secondo le fonti dalle toghe di Servio Tullio conservate fino a quel momento».
Tutto torna, dunque, per Carandini: la conservazione dell’antichissimo edificio fino all’età imperiale per il culto di Servio Tullio, il luogo (la cima del Colle Oppio). Ed eccoci al punto, la casa di Tito, finora mai identificata: «Con tutta evidenza quel complesso era diventato di fatto 'la' casa del Prefetto del Pretorio. E quando il futuro imperatore Tito diventa Prefetto del Pretorio sotto suo padre, l’imperatore Vespasiano, quell’agglomerato diventa a tutti gli effetti 'la casa di Tito'. Nerone, lì accanto alla Domus Aurea, aveva ampliato l’edificio aggiungendo una grande aula con due absidi, la struttura è visibile sul Colle Oppio. Un luogo di rappresentanza ma anche, con ogni probabilità, uno spazio per amministrare la giustizia».
Secondo Carandini il Laocoonte era lì, in una delle due absidi. E nell’altra? Tesi pronta: «Laocoonte muore per la 'colpa' di essersi opposto all’ingresso del Cavallo di Troia nella sua città. A Pompei, nella Casa del Menandro c’è una situazione identica. Un ambiente dove è dipinto Laocoonte. In quello di fronte c’è Cassandra, altro personaggio 'colpevole' di aver profetizzato la fine di Troia e di essersi quindi opposta, come Laocoonte, all’arrivo del Cavallo. Secondo me nell’altra abside c’era una Cassandra. Entrambi alludevano alla Nuova Troia, cioè Roma».
Altro tassello: sovrapponendo la pianta del Nolli alla Forma Urbis si scopre che il luogo del ritrovamento, la «Vigna delle Capocce», non lontano dalla Cisterna delle Sette Sale, coincide con quella che per Carandini è «la casa di Tito». All’epoca del Nolli, tutto faceva parte degli Orti di San Pietro in Vincoli. A questo punto, Carandini lancia una sfida personale: «Scommetto che, scavando lì, potremmo ritrovare il basamento del Laocoonte. Un progetto già c’è ma mancano i soldi e urgerebbe uno sponsor». E in quanto all’ipotizzata Cassandra? «Chissà». L’archeologo sorride, enigmatico. È in arrivo un’altra scoperta del suo doppio, il detective?
Le prove dell’archeologo Andrea Carandini: ecco dove si trovava l’abitazione del futuro imperatore
Qui, nella casa di Tito, c’era il Laocoonte
di Paolo Conti
Forse per essere buoni archeologi occorre allevare un doppio, quello del detective. Altrimenti non si potrebbe approdare alle conclusioni che oggi alle 17.30 Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali e docente di Archeologia classica a «La Sapienza» di Roma, esporrà agli Uffizi di Firenze in occasione del restauro del Laocoonte di Baccio Bandinelli realizzato grazie agli Amici degli Uffizi e i Friends of Uffizi Gallery inc. La copia di Baccio fu scolpita nel 1520 dopo il ritrovamento dell’originale ellenistico del I secolo avanti Cristo (Plinio la attribuisce a Agesandro, Atanadoro e Polidoro, tre scultori di Rodi) avvenuto nel 1506 vicino alla Domus Aurea, dissepolto alla presenza di Michelangelo e di Giuliano da Sangallo. Il clamore per la scoperta fu immenso per l’epoca, ecco perché Baccio Bandinelli ricevette dalla corte pontificia la commissione di una riproduzione da offrire a Francesco I di Francia.
Per individuare quella che a suo avviso è la Casa di Tito sul Colle Oppio (e «nella Casa di Tito», fino a oggi mai identificata, stando a Plinio, era esposto il Laocoonte) Carandini si è armato di due fondamentali piante romane. Ovvero la marmorea Forma Urbis Romae degli inizi del III secolo dopo Cristo e quella realizzata da Giambattista Nolli nel 1748. Racconta Carandini: «Studiando la Forma Urbis mi sono imbattuto in un atrio di forma arcaica a crociera, con un gigantesco tablino e con un accesso che apre su uno spazio porticato con al centro un tempietto. Che strano, mi sono detto, un atrio così antico rimasto intatto sulla pianta per tanti secoli». Ma una ragione, per il professore, c’è. Ed è legata al culto di Servio Tullio, penultimo re di Roma assassinato dal genero Tarquinio il Superbo: «Sappiamo dalle fonti che la sua casa era in periferia, sulla cima del Colle Oppio. Dopo la sua morte e quella di Tarquinio il Superbo, la repubblica fondò il suo culto come vecchio re filo-popolare. Venne il tempietto ».
Ed eccoci a un nuovo capitolo, al primo Prefetto del Pretorio Seio Strabone, capo delle guardie del palazzo imperiale sotto Augusto: «Guardando la pianta, si nota che intorno alla casa e al tempietto si costruisce un grande edificio. Si deve a Aelio Seiano, suo figlio, Prefetto del Pretorio sotto Tiberio, che poi lo farà uccidere nel palazzo imperiale. Lì sorge infatti il Tempio della Fortuna seiana, visibile sulla pianta, e coperta secondo le fonti dalle toghe di Servio Tullio conservate fino a quel momento».
Tutto torna, dunque, per Carandini: la conservazione dell’antichissimo edificio fino all’età imperiale per il culto di Servio Tullio, il luogo (la cima del Colle Oppio). Ed eccoci al punto, la casa di Tito, finora mai identificata: «Con tutta evidenza quel complesso era diventato di fatto 'la' casa del Prefetto del Pretorio. E quando il futuro imperatore Tito diventa Prefetto del Pretorio sotto suo padre, l’imperatore Vespasiano, quell’agglomerato diventa a tutti gli effetti 'la casa di Tito'. Nerone, lì accanto alla Domus Aurea, aveva ampliato l’edificio aggiungendo una grande aula con due absidi, la struttura è visibile sul Colle Oppio. Un luogo di rappresentanza ma anche, con ogni probabilità, uno spazio per amministrare la giustizia».
Secondo Carandini il Laocoonte era lì, in una delle due absidi. E nell’altra? Tesi pronta: «Laocoonte muore per la 'colpa' di essersi opposto all’ingresso del Cavallo di Troia nella sua città. A Pompei, nella Casa del Menandro c’è una situazione identica. Un ambiente dove è dipinto Laocoonte. In quello di fronte c’è Cassandra, altro personaggio 'colpevole' di aver profetizzato la fine di Troia e di essersi quindi opposta, come Laocoonte, all’arrivo del Cavallo. Secondo me nell’altra abside c’era una Cassandra. Entrambi alludevano alla Nuova Troia, cioè Roma».
Altro tassello: sovrapponendo la pianta del Nolli alla Forma Urbis si scopre che il luogo del ritrovamento, la «Vigna delle Capocce», non lontano dalla Cisterna delle Sette Sale, coincide con quella che per Carandini è «la casa di Tito». All’epoca del Nolli, tutto faceva parte degli Orti di San Pietro in Vincoli. A questo punto, Carandini lancia una sfida personale: «Scommetto che, scavando lì, potremmo ritrovare il basamento del Laocoonte. Un progetto già c’è ma mancano i soldi e urgerebbe uno sponsor». E in quanto all’ipotizzata Cassandra? «Chissà». L’archeologo sorride, enigmatico. È in arrivo un’altra scoperta del suo doppio, il detective?
giovedì 15 ottobre 2009
L’«Ateneum» di Adriano emerge sotto piazza Venezia
L’«Ateneum» di Adriano emerge sotto piazza Venezia
09 OTTOBRE 2009, corriere della sera
Archeologia La scoperta durante gli scavi per la linea C della metro
L’Ateneum di Adriano imperatore, favoleggiato, noto dalle fonti storiche, mai trovato. Ecco cosa rappresenta, anzi di cosa fa parte, la scalinata imperiale emersa a piazza Venezia durante gli scavi per la metro C. Il traffico scorre, ignaro e intenso, intorno alla recinzione che nasconde ancora lo scavo aperto ormai da due anni. Ma laggiù, a cinque metri di profondità, proprio di fronte al Vittoriano, è emersa ora l’ultima straordinaria novità dei ritrovamenti archeologici a Roma: il posto in cui anche a Roma, come ad Atene, si discuteva e si effettuavano rappresentazioni pubbliche.
La scalinata individuata due anni fa non è sola, ha una consorella, proprio di fronte, appena scoperta e purtroppo nascosta sotto il palazzo delle assicurazioni in cui è stata interrata: in mezzo, tra le due scalinate, c’è un pavimento a marmi policromi che fungeva dunque da cavea.
Quando l’archeologo Roberto Egidi, della Sovrintendenza di Roma, ha messo a fuoco il tutto, ha capito di trovarsi davanti all’esatta riproduzione dell’Ateneum che l’imperatore Adriano aveva fatto erigere ad Atene, accanto alla grande biblioteca eretta nel 132 d.C. L’Ateneum è in sostanza un auditorium per rappresentazioni e dibattiti, per la recitazione di retori e poeti.
Nessuno ne conosceva l’ubicazione esatta. Neanche la «Forma Urbis», la pianta monumentale marmorea di Roma imperiale fatta all’epoca di Settimio Severo e di cui si conservano importanti lacerti, ne certifica la presenza. Ignoto e meraviglioso monumento, risorge ora in un’area da poco indagata a piazza Venezia. Eppure era lì sotto, nell’aiuola di fronte a Modonna di Loreto, ad appena quattro metri di profondità. Tutto è iniziato dunque col ritrovamento di una prima grande scala, in cemento romano, ricoperta in marmo. Cinque gradoni imponenti, per una larghezza di 15 metri, sono riemersi due anni fa grazie agli scavi per l’uscita della Metro C a piazza Venezia.
I gradoni scendono verso il palazzo delle Assicurazioni Generali e atterrano davanti a una pavimentazione in granito e marmi gialli. Nel punto più basso la scala è profonda quattro metri e mezzo rispetto al piano stradale. L’impianto è chiuso da entrambi i lati da pilastri in laterizi che sono collassati, probabilmente a causa di un terremoto. I laterizi sono fatti da mattoni «bipedali» romani, cioè quei grandi e spessi quadratoni giallognoli di lato 59 centimetri. Sui pilastri ci sono i segni di un grande incendio, probabilmente quello del 390 d.C.
Poi col proseguire dello scavo ecco emergere oltre il pavimento la seconda scala. E qui per gli studiosi è scattata la scintilla. L’Ateneum adrianeo romano è più di un'ipotesi, ormai, quasi una certezza, anche se la seconda scalinata scompare purtroppo nelle fondamenta del palazzo delle assicurazioni. Non tutta però, una prima porzione ne rivela la base iniziale subito dopo la piccola cavea. Le due scalinate allora servivano come sede degli scanni e accoglievano gli spettatori di quanto veniva rappresentato o discusso sul pavimento policromo.
Adriano era solito dire «a sud dell’Acropoli c’è l’Atene di Teseo, a nord dell’Acropoli c’è l’Atene di Adriano». Ad Atene la Biblioteca di Adriano si trova sul confine del Foro romano, a nord. Costruita dall’Imperatore nel 132 a.C. è l’edificio più grande di Atene. Accanto alla biblioteca l’Ateneum era un luogo molto caro all'imperatore. Lo si conosce dalle descrizioni storiche, il suo gemello romano rappresenta dunque un soccorso inaspettato per la conoscenza archeologica imperiale.
«L’attuale sistemazione della zona di piazza Venezia - ha scritto Egidi - è il frutto delle pesanti demolizioni attuatesi tra la fine dell’ 800 ed i primi anni del ’900 per la costruzione degli imponenti edifici del Vittoriano, del Palazzo delle Assicurazioni; nonché per la realizzazione di piazza Venezia e della via dei Fori Imperiali. Numerose sono le testimonianze grafiche e fotografiche degli edifici che furono allora smantellati, e che pertanto costituiscono una imprescindibile base documentaria a cui relazionare le strutture che progressivamente vanno emergendo nel corso dello scavo...».
La fonte a cui Egidi ha attinto è la cartografia archeologica realizzata ai primi del ’900 dall’archeologo Guglielmo Gatti figlio di Edoardo. Gatti ritrovò lì una domus tardo antica e poco più a sud strutture monumentali, che in realtà erano l’inizio dunque dell'Ateneum ora ipotizzato. Negli appunti il Gatti parla di una grande lastra di marmo che era con ogni evidenza la delimitazione della scala imperiale. La struttura non ha subito solo un terremoto, ma nell’alto Medio Evo anche l'utilizzo che quegli anni bui potevano dare. Infatti qua e là emergono «attacagli», buchi che servivano per legare le bestie.
Paolo Brogi
09 OTTOBRE 2009, corriere della sera
Archeologia La scoperta durante gli scavi per la linea C della metro
L’Ateneum di Adriano imperatore, favoleggiato, noto dalle fonti storiche, mai trovato. Ecco cosa rappresenta, anzi di cosa fa parte, la scalinata imperiale emersa a piazza Venezia durante gli scavi per la metro C. Il traffico scorre, ignaro e intenso, intorno alla recinzione che nasconde ancora lo scavo aperto ormai da due anni. Ma laggiù, a cinque metri di profondità, proprio di fronte al Vittoriano, è emersa ora l’ultima straordinaria novità dei ritrovamenti archeologici a Roma: il posto in cui anche a Roma, come ad Atene, si discuteva e si effettuavano rappresentazioni pubbliche.
La scalinata individuata due anni fa non è sola, ha una consorella, proprio di fronte, appena scoperta e purtroppo nascosta sotto il palazzo delle assicurazioni in cui è stata interrata: in mezzo, tra le due scalinate, c’è un pavimento a marmi policromi che fungeva dunque da cavea.
Quando l’archeologo Roberto Egidi, della Sovrintendenza di Roma, ha messo a fuoco il tutto, ha capito di trovarsi davanti all’esatta riproduzione dell’Ateneum che l’imperatore Adriano aveva fatto erigere ad Atene, accanto alla grande biblioteca eretta nel 132 d.C. L’Ateneum è in sostanza un auditorium per rappresentazioni e dibattiti, per la recitazione di retori e poeti.
Nessuno ne conosceva l’ubicazione esatta. Neanche la «Forma Urbis», la pianta monumentale marmorea di Roma imperiale fatta all’epoca di Settimio Severo e di cui si conservano importanti lacerti, ne certifica la presenza. Ignoto e meraviglioso monumento, risorge ora in un’area da poco indagata a piazza Venezia. Eppure era lì sotto, nell’aiuola di fronte a Modonna di Loreto, ad appena quattro metri di profondità. Tutto è iniziato dunque col ritrovamento di una prima grande scala, in cemento romano, ricoperta in marmo. Cinque gradoni imponenti, per una larghezza di 15 metri, sono riemersi due anni fa grazie agli scavi per l’uscita della Metro C a piazza Venezia.
I gradoni scendono verso il palazzo delle Assicurazioni Generali e atterrano davanti a una pavimentazione in granito e marmi gialli. Nel punto più basso la scala è profonda quattro metri e mezzo rispetto al piano stradale. L’impianto è chiuso da entrambi i lati da pilastri in laterizi che sono collassati, probabilmente a causa di un terremoto. I laterizi sono fatti da mattoni «bipedali» romani, cioè quei grandi e spessi quadratoni giallognoli di lato 59 centimetri. Sui pilastri ci sono i segni di un grande incendio, probabilmente quello del 390 d.C.
Poi col proseguire dello scavo ecco emergere oltre il pavimento la seconda scala. E qui per gli studiosi è scattata la scintilla. L’Ateneum adrianeo romano è più di un'ipotesi, ormai, quasi una certezza, anche se la seconda scalinata scompare purtroppo nelle fondamenta del palazzo delle assicurazioni. Non tutta però, una prima porzione ne rivela la base iniziale subito dopo la piccola cavea. Le due scalinate allora servivano come sede degli scanni e accoglievano gli spettatori di quanto veniva rappresentato o discusso sul pavimento policromo.
Adriano era solito dire «a sud dell’Acropoli c’è l’Atene di Teseo, a nord dell’Acropoli c’è l’Atene di Adriano». Ad Atene la Biblioteca di Adriano si trova sul confine del Foro romano, a nord. Costruita dall’Imperatore nel 132 a.C. è l’edificio più grande di Atene. Accanto alla biblioteca l’Ateneum era un luogo molto caro all'imperatore. Lo si conosce dalle descrizioni storiche, il suo gemello romano rappresenta dunque un soccorso inaspettato per la conoscenza archeologica imperiale.
«L’attuale sistemazione della zona di piazza Venezia - ha scritto Egidi - è il frutto delle pesanti demolizioni attuatesi tra la fine dell’ 800 ed i primi anni del ’900 per la costruzione degli imponenti edifici del Vittoriano, del Palazzo delle Assicurazioni; nonché per la realizzazione di piazza Venezia e della via dei Fori Imperiali. Numerose sono le testimonianze grafiche e fotografiche degli edifici che furono allora smantellati, e che pertanto costituiscono una imprescindibile base documentaria a cui relazionare le strutture che progressivamente vanno emergendo nel corso dello scavo...».
La fonte a cui Egidi ha attinto è la cartografia archeologica realizzata ai primi del ’900 dall’archeologo Guglielmo Gatti figlio di Edoardo. Gatti ritrovò lì una domus tardo antica e poco più a sud strutture monumentali, che in realtà erano l’inizio dunque dell'Ateneum ora ipotizzato. Negli appunti il Gatti parla di una grande lastra di marmo che era con ogni evidenza la delimitazione della scala imperiale. La struttura non ha subito solo un terremoto, ma nell’alto Medio Evo anche l'utilizzo che quegli anni bui potevano dare. Infatti qua e là emergono «attacagli», buchi che servivano per legare le bestie.
Paolo Brogi
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