mercoledì 25 giugno 2008

Roma e la sua storia nel museo "portale"

ROMA - Roma e la sua storia nel museo "portale"
Lidia Lombardi, interv. a Andrea Carandini
Il Tempo 25/06/2008

Nell'altro affaccio, i dettagli di Palazzo Rospigliosi, tra le fronde perlate di verde. Il pomeriggio è molle, rintocca l'orologio del Quirinale. Il professore che alla Sapienza ha tirato su schiere di archeologi, sorseggia il tè e carezza Puko, il giovane labrador bianco. Poi entra senza preamboli in medias res.
«Me lo devono spiegare perché in tutte le capitali sì e a Roma no. Vengo da Berlino, hanno da poco aperto nel cuore della città un museo sulla storia della Germania: dalla conquista romana alla riunificazione, al 1989. E ce n'è uno a Londra, e uno ad Amsterdam. Ma un italiano, un giapponese che volesse vedere in sintesi la storia di Roma, e d'Italia, un museo così da noi non lo trova. Niente, in tutto lo Stivale».
E invece serve, professore?
«Certo che serve, e lo vorrei vedere prima di morire, visto che ho settant'anni. E so rispondere punto per punto a chi obietta».
Chi obietta?
«Sono gelosi, i musei esistenti, di uno nuovo. Immaginano che tolga loro prestigio, pezzi, visitatori. È tutto il contrario».
Perché, come sarà il museo che ha in mente?
«Un museo di contesti. Il contrario, insomma, di quelli di collezione. Che giustappongono quadri, sculture, vasi, monete. Mi spiegate come si fa da questi pezzi in fila a ricavare un racconto? Capire che quel dipinto, quella statua, quel vaso, quella moneta stavano in una città fatta di strade, di palazzi, di acquedotti, di servizi? Se arrivi a New York, capisci subito la metropoli, l'impatto con la Grande Mela è facile grazie a una mappa ragionata che squaderna il perché e il come di una città che ha 400 anni e manca di sottosuolo. Ma Roma? Non è lineare e conta tremila anni. La sua faccia è relegata alla Forma Urbis del Lanciani, splendida raccolta di tavole, ma mai aggiornate dal 1893. Oppure a quel plastico del Gismondi, risalente agli anni Trenta, limitato alla Roma del IV secolo dopo Cristo. È confinato nel museo della Civiltà Romana dell'Eur, cattedrale decentrata e poco visitata. Ma non si pensa a quanta acqua è passata sotto i ponti? Quanto nel frattempo abbiano trovato e saputo di più di Roma?».
Beh sì, basta pensare all'ultimo scorcio aperto al pubblico, lo studio di Augusto al Palatino. Ma insomma, dove dovrebbe stare il museo di Roma?
«Perfetto è l'edificio in via dei Cerchi, quello dove si vanno a ritirare i certificati elettorali. Il Comune pensa di utilizzarlo diversamente, lo stanno già svuotando. Non c'è bisogno di tanti lavori strutturali».
Ed è nel centro di Roma.
«Già, è accanto al Circo Massimo, un'altra assurdità così com'è. Un non luogo che andrebbe scavato, restaurato, trasformato in giardino. Il Palatino, poi, proprio nel versante che guarda il Circo Massimo avrà altri ingressi. Ecco, il museo che non c'è dovrebbe spiegare e documentare, per esempio, la Casa di Augusto al Palatino. Dopodiché, il visitatore esce e se la va a vedere in loco. Capendola però, cosa che ora non accade. Insomma, il museo porta al luogo e il luogo al museo. Lo possiamo anche chiamare un Portale: da qui il turista sceglie il suo itinerario. E comprende che Roma non è solo il Colosseo e il Foro, giganti venuti dal nulla. Sa, e vede, che c'è un prima e un dopo, una Roma monarchica, repubblicana e imperiale. E anche quella medievale, che per i più resta una nebulosa».
Uno strumento anche per i romani.
«Anche per loro. Chi abita nei suburbi, nelle periferie, può scoprire che cosa esisteva nel suo territorio. Qualcuno dirà: toh, dove abito io c'era la Tomba di Livia. E un altro: vicino casa mia, sulla via Trionfale, gli antichi avevano sistemato un fontanile. E potrà viaggiare dentro e sotto la città».
Un viaggio virtuale, da avatar che cammina a ritroso.
«Un viaggio che accosta all'informatica altri strumenti. Un assaggio s'è avuto con la mostra a Palazzo Valentini, sede della Provincia, sul suo sottosuolo. Un successo di pubblico. Un altro è alla Crypta Balbi, che sarebbe meglio chiamare Museo di Campo Marzio. Ecco, quello che si fa per spicchi di città si può fare per l'intero territorio. Ovviamente su basi scientifiche, come abbiamo fatto all'Università con finanziamenti dell'ateneo e di Arcus, realizzando il Gis, il Geographical Informatic System, sistema informatico archeologico».
Un progetto articolato, che ha suscitato qualche critica. Da parte del professor Settis, per esempio.
«Qui perdura un atteggiamento aristocratico. Si obietta che Roma ha così tanto che spiega da sola, e magari bisogna solo rifare le didascalie. È vero, al Foro Romano mancano troppe delle antiche didascalie in marmo. Oppure sono sbagliate, perché nel frattempo sono sopraggiunte altre conoscenze. Ma non basta rifare le etichette, la storia va raccontata, come un fiume che scorre. Dopo Roma antica, ciò che è venuto dopo. Il museo che immagino dovrebbe essere continuamente in fieri: si realizza la prima sala e si illustra come sarà la successiva, e l'altra ancora, seguendo lo scorrere dei secoli».
Operativamente da realizzare come e con chi?
«Con la Sovrintendenza Archeologica e con quella Comunale, che si sono dette d'accordo. Ma la collaborazione può estendersi all'Università, al Ministero per i Beni Culturali. Questo museo non non dev'essere l'idea di Carandini, ma di tutti. E non è né di destra né di sinistra. Ma di chi fa».