La Repubblica 6.6.08
Il fascino eterno dell’antico"
Scoprire le Civiltà" è la nuova collana di "Repubblica" e "L´Espresso". Da oggi in edicola il volume "Roma"
di Lucio Villari
Per i romani la parola "civilitas" indicava semplicemente lo stato di cittadino, in qualche caso il governo politico
La forza degli istituti repubblicani e imperiali ha lasciato un segno indelebile nelle idee, nella letteratura e nell´arte
È strano che la parola "civiltà", il cui senso appare comprensibile e indiscutibile e che riceve luce e spiegazione dalla storia, cioè dallo svolgersi della vita degli esseri umani come individui e come popoli, sia in realtà un termine di cui, nel succedersi degli eventi storici, non sempre si ha consapevolezza. Talvolta gli eventi stessi si incaricano di smentirlo o di metterlo in discussione rovesciandolo nel suo contrario. La civiltà è un concetto pensato e usato soltanto dopo che il suo oggetto, cioè l´insieme delle attività spirituali e materiali delle società umane che hanno raggiunto una condizione elevata, si è dispiegato nel tempo e nello spazio senza che i protagonisti e i partecipi di quelle civiltà fossero in grado di definirle tali. I romani, ad esempio, non ne possedevano la parola; per loro civilitas era lo stato di cittadino (in qualche caso si intendeva anche il governo politico) ma non quel livello complessivo, alto, prezioso che poi è stato, ed è, indicato come "civiltà romana" nella quale normalmente includiamo le cose belle, raffinate lasciate a noi da arte, letteratura, poesia, architettura, strumenti di vita quotidiana, gusto, mode.
Una analoga riflessione si può fare per la civiltà egiziana, assiro-babilonese, mesopotamica, greca, cinese, e così via. Perfino quando i romani, Cicerone tra gli altri, usavano l´aggettivo o il sostantivo cultus si riferivano generalmente alle colture agricole più che al significato, per noi scontato, di coltivato, elegante, curato (nel vestire, nel parlare, nel fare ginnastica, eccetera) intuito da qualche poeta dell´età imperiale.
La difficoltà di una percezione precisa nel mondo antico dell´idea di civiltà si è prolungata per secoli fino alla netta distinzione che, nel linguaggio filosofico e scientifico di fine Ottocento, in pieno trionfo della rivoluzione industriale, si è dovuta fare, soprattutto in Germania, tra la "civilizzazione" (materiale) e la "cultura" (i prodotti dello spirito). Una distinzione sempre più valida (un esempio per tutti: la "civiltà dell´automobile" - e di qualsiasi altro consumo invadente - non è più compatibile con la cultura della città e con il vivere "civile") e con la quale ora si fanno i conti nella maggior parte del mondo sviluppato.
Questa premessa è necessaria per rendere il senso dell´iniziativa della Repubblica e dell´Espresso, per sottolinearne, appunto, l´idea ispiratrice: «scoprire le civiltà» del passato senza darle, come è consuetudine, per scontate (spaziando dal Mediterraneo e dal Vicino e Medio Oriente - Madri che hanno generato noi occidentali - all´Estremo Oriente, ai Vichinghi, all´Islam, all´Africa, alla Mesoamerica). Renderle vive, queste civiltà, descrivendole con bellissime immagini scultoree, pittoriche architettoniche, ambientali e riproponendone, per puntuali accenni, il vissuto: dunque, le civiltà mentre si formano. L´intenzione è di riproporre, in una efficace sintesi divulgativa, per i monumenti fisici la stessa attenzione che si presta da più di mille anni ai monumenti della parola salvati dai monaci e amanuensi medievali: i lasciti eterni della letteratura, della poesia, della filosofia, della drammaturgia, del pensiero del mondo antico. L´attenzione di un ammiratore della classicità come Petrarca che teneva religiosamente sul suo tavolo l´opera di Omero in greco pur senza conoscerne la lingua. L´attenzione che spinse Boccaccio a tradurre in latino l´Iliade e l´Odissea con l´aiuto di un greco originario della Calabria. Ammirare ma anche conoscere, dunque, le antiche civiltà.
Il progetto editoriale comprenderà diversi volumi. Il primo ad apparire è Roma. Un compendio di testi, di commenti, di immagini e di brani di autori latini che scorrono come epigrafi all´inizio di ogni capitolo (il volume è di 382 pagine). Ne è curatrice Ada Gabucci che ha scelto il metodo di svolgere la storia di Roma dalla fondazione della città nel 754 a. C. alla caduta politica e istituzionale dell´impero romano d´Occidente nel 476 d. C. senza occuparsi della regolarità cronologica e seguendo piuttosto una scansione tematica (Personaggi, Divinità, Città, Vita quotidiana, Mondo dei morti, Potere e vita pubblica) al cui interno c´è di tutto, dalle strade, alle acconciature, ai teatri e circhi, ai giocattoli, alle ville, agli antenati, ai trionfi militari, alle tecnologie, ai capi politici, agli imperatori, eccetera. La stessa scansione sarà adottata, con variazioni, per tutti gli altri volumi.
Al concludersi di Roma il lettore si porrà certamente la tormentata domanda: nel 476 è caduta anche la "civiltà romana" insieme all´ultimo, fragile imperatore e ai segni visibilmente svuotati di un potere politico durato quasi mezzo millennio?
L´interrogativo è, come si sa, antico, e proprio rispondendo negativamente ad esso è stato elaborato, a partire dal Medio Evo e soprattutto nel Rinascimento, il concetto che oggi possediamo di "civiltà". Cioè la potenza politica di Roma, la religione pagana, la forza giuridica e "civile" degli istituti repubblicani e imperiali hanno sempre suscitato il rispetto culturale anche se crollati quasi improvvisamente con la spallata dei barbari e per malattia interna (complicata dai germi del Cristianesimo): soprattutto perché hanno lasciato un segno indelebile nelle idee, nelle immagini letterarie e nei monumenti che le hanno rappresentate, combattute o esaltate. Dante lo dirà esplicitamente in un passo del Convito dedicato alle vestigia di Roma: «Le pietre che nelle mura sue stanno sono degne di reverenzia e ´l suolo dov´ella siede è degno oltre quello che per gli uomini è predicato e provato». Dante voleva così dire che la civiltà romana è degna anche di più (oltre) di quanto è stato testimoniato da coloro che l´hanno prodotta e da quanti l´hanno ereditata. È l´intuizione, con due secoli di anticipo, del Rinascimento o (avrebbe detto a metà Ottocento lo storico Jacob Burckhardt) del «risorgimento dell´antichità» e quindi della prima, compiuta elaborazione del concetto di civiltà occidentale.
Della dignità richiamata da Dante si farà interprete autorevolissimo Raffaello che in una celebre lettera a lui attribuita e inviata a Leone X protestava per le distruzioni dei resti storici romani invitando il papa a proteggere quel che rimaneva del mondo classico sia per confermarne la grandezza e bellezza, sia perché la loro «presenza» avrebbe acceso sentimenti sublimi.
Il fascino eterno dell’antico"
Scoprire le Civiltà" è la nuova collana di "Repubblica" e "L´Espresso". Da oggi in edicola il volume "Roma"
di Lucio Villari
Per i romani la parola "civilitas" indicava semplicemente lo stato di cittadino, in qualche caso il governo politico
La forza degli istituti repubblicani e imperiali ha lasciato un segno indelebile nelle idee, nella letteratura e nell´arte
È strano che la parola "civiltà", il cui senso appare comprensibile e indiscutibile e che riceve luce e spiegazione dalla storia, cioè dallo svolgersi della vita degli esseri umani come individui e come popoli, sia in realtà un termine di cui, nel succedersi degli eventi storici, non sempre si ha consapevolezza. Talvolta gli eventi stessi si incaricano di smentirlo o di metterlo in discussione rovesciandolo nel suo contrario. La civiltà è un concetto pensato e usato soltanto dopo che il suo oggetto, cioè l´insieme delle attività spirituali e materiali delle società umane che hanno raggiunto una condizione elevata, si è dispiegato nel tempo e nello spazio senza che i protagonisti e i partecipi di quelle civiltà fossero in grado di definirle tali. I romani, ad esempio, non ne possedevano la parola; per loro civilitas era lo stato di cittadino (in qualche caso si intendeva anche il governo politico) ma non quel livello complessivo, alto, prezioso che poi è stato, ed è, indicato come "civiltà romana" nella quale normalmente includiamo le cose belle, raffinate lasciate a noi da arte, letteratura, poesia, architettura, strumenti di vita quotidiana, gusto, mode.
Una analoga riflessione si può fare per la civiltà egiziana, assiro-babilonese, mesopotamica, greca, cinese, e così via. Perfino quando i romani, Cicerone tra gli altri, usavano l´aggettivo o il sostantivo cultus si riferivano generalmente alle colture agricole più che al significato, per noi scontato, di coltivato, elegante, curato (nel vestire, nel parlare, nel fare ginnastica, eccetera) intuito da qualche poeta dell´età imperiale.
La difficoltà di una percezione precisa nel mondo antico dell´idea di civiltà si è prolungata per secoli fino alla netta distinzione che, nel linguaggio filosofico e scientifico di fine Ottocento, in pieno trionfo della rivoluzione industriale, si è dovuta fare, soprattutto in Germania, tra la "civilizzazione" (materiale) e la "cultura" (i prodotti dello spirito). Una distinzione sempre più valida (un esempio per tutti: la "civiltà dell´automobile" - e di qualsiasi altro consumo invadente - non è più compatibile con la cultura della città e con il vivere "civile") e con la quale ora si fanno i conti nella maggior parte del mondo sviluppato.
Questa premessa è necessaria per rendere il senso dell´iniziativa della Repubblica e dell´Espresso, per sottolinearne, appunto, l´idea ispiratrice: «scoprire le civiltà» del passato senza darle, come è consuetudine, per scontate (spaziando dal Mediterraneo e dal Vicino e Medio Oriente - Madri che hanno generato noi occidentali - all´Estremo Oriente, ai Vichinghi, all´Islam, all´Africa, alla Mesoamerica). Renderle vive, queste civiltà, descrivendole con bellissime immagini scultoree, pittoriche architettoniche, ambientali e riproponendone, per puntuali accenni, il vissuto: dunque, le civiltà mentre si formano. L´intenzione è di riproporre, in una efficace sintesi divulgativa, per i monumenti fisici la stessa attenzione che si presta da più di mille anni ai monumenti della parola salvati dai monaci e amanuensi medievali: i lasciti eterni della letteratura, della poesia, della filosofia, della drammaturgia, del pensiero del mondo antico. L´attenzione di un ammiratore della classicità come Petrarca che teneva religiosamente sul suo tavolo l´opera di Omero in greco pur senza conoscerne la lingua. L´attenzione che spinse Boccaccio a tradurre in latino l´Iliade e l´Odissea con l´aiuto di un greco originario della Calabria. Ammirare ma anche conoscere, dunque, le antiche civiltà.
Il progetto editoriale comprenderà diversi volumi. Il primo ad apparire è Roma. Un compendio di testi, di commenti, di immagini e di brani di autori latini che scorrono come epigrafi all´inizio di ogni capitolo (il volume è di 382 pagine). Ne è curatrice Ada Gabucci che ha scelto il metodo di svolgere la storia di Roma dalla fondazione della città nel 754 a. C. alla caduta politica e istituzionale dell´impero romano d´Occidente nel 476 d. C. senza occuparsi della regolarità cronologica e seguendo piuttosto una scansione tematica (Personaggi, Divinità, Città, Vita quotidiana, Mondo dei morti, Potere e vita pubblica) al cui interno c´è di tutto, dalle strade, alle acconciature, ai teatri e circhi, ai giocattoli, alle ville, agli antenati, ai trionfi militari, alle tecnologie, ai capi politici, agli imperatori, eccetera. La stessa scansione sarà adottata, con variazioni, per tutti gli altri volumi.
Al concludersi di Roma il lettore si porrà certamente la tormentata domanda: nel 476 è caduta anche la "civiltà romana" insieme all´ultimo, fragile imperatore e ai segni visibilmente svuotati di un potere politico durato quasi mezzo millennio?
L´interrogativo è, come si sa, antico, e proprio rispondendo negativamente ad esso è stato elaborato, a partire dal Medio Evo e soprattutto nel Rinascimento, il concetto che oggi possediamo di "civiltà". Cioè la potenza politica di Roma, la religione pagana, la forza giuridica e "civile" degli istituti repubblicani e imperiali hanno sempre suscitato il rispetto culturale anche se crollati quasi improvvisamente con la spallata dei barbari e per malattia interna (complicata dai germi del Cristianesimo): soprattutto perché hanno lasciato un segno indelebile nelle idee, nelle immagini letterarie e nei monumenti che le hanno rappresentate, combattute o esaltate. Dante lo dirà esplicitamente in un passo del Convito dedicato alle vestigia di Roma: «Le pietre che nelle mura sue stanno sono degne di reverenzia e ´l suolo dov´ella siede è degno oltre quello che per gli uomini è predicato e provato». Dante voleva così dire che la civiltà romana è degna anche di più (oltre) di quanto è stato testimoniato da coloro che l´hanno prodotta e da quanti l´hanno ereditata. È l´intuizione, con due secoli di anticipo, del Rinascimento o (avrebbe detto a metà Ottocento lo storico Jacob Burckhardt) del «risorgimento dell´antichità» e quindi della prima, compiuta elaborazione del concetto di civiltà occidentale.
Della dignità richiamata da Dante si farà interprete autorevolissimo Raffaello che in una celebre lettera a lui attribuita e inviata a Leone X protestava per le distruzioni dei resti storici romani invitando il papa a proteggere quel che rimaneva del mondo classico sia per confermarne la grandezza e bellezza, sia perché la loro «presenza» avrebbe acceso sentimenti sublimi.