venerdì 24 aprile 2020

Veria Sacra


Veria Sacra
Un rito antichissimo, che trova anch’esso certamente la sua origine nella preistoria dei popoli e nelle vicende delle migrazioni dei gruppi etnici primevi è quello del Ver Sacrum. la primavera sacra in cui i nati di un certo anno sciamavano via dalla loro terra di origine, alla ricerca di nuove sedi. La cerimonia riguardava le singole comunità nei loro complesso, cioè la tribù o l’intero popolo, così come le entità statali formatesi sempre più compiutamente nel tempo. Essa doveva tendere a risolvere, in origine, soprattutto il problema della sopravvivenza nel caso di un eccessivo popolamento di un territorio e riguardare perciò il distacco di interi nuclei famigliari e degli elementi più giovani dall’aggruppamento principale.
Il rito consisteva nel promettere agli dei di consacrare ad essi tutti i nati della primavera che doveva venire, piante, animali ed uomini: i vegetali sarebbero stati offerti ai numi stessi e così a loro sacrificati gli animali, mentre i figli (in quanto votati alla divinità non appartenevano più alla comunità) una volta raggiunta l’età matura dovevano partire per trasferirsi in altre regioni, fondando una colonia fuori dei confini della patria. Il sacrificio stesso iniziale delle piante e degli animali era propiziatorio all’impresa e certo coincideva anche con la dote utile ai bisogni dei partenti. Certo la speranza che la migrazione apriva ad una soddisfazione migliore dell’esistenza ed ad una più conveniente soluzione economica, doveva far concorrere ad essa oltre che iniziative similari anche fattori diversi, come gli avvicendamenti politici ed economici all’interno della comunità o quelli che premevano dall’esterno così come le esigenze di sfogo degli elementi più esuberanti, l’attivismo militare e quello commerciale.
Non dobbiamo poi pensare che queste migrazioni di popoli avvenissero con movimenti di massa grandiosi, riguardanti simultaneamente migliaia e migliaia di individui (sul tipo cioè delle migrazioni di età barbarica): il loro numero infatti non era tale neppure all’origine, ed essendo poi gli stessi ceppi etnici divisi nelle miriadi dei piccoli popoli e singole tribù autonomi gli uni dagli altri, questi movimenti andavano indipendenti tra di loro, anche se una concomitanza di cause poteva riguardare insieme più comunità ed avvicinare gli stessi problemi nel tempo e nello spazio. Il numero di emigranti doveva andare quindi in genere da alcune decine per volta, a non certo più di poche centinaia: se però il loro singolo numero non era alto, esso poteva diventare determinante al popolamento di massa di territori anche assai vasti se le singole migrazioni si sommavano in gran numero sulla stessa direzione in un arco di tempo non amplissimo. Nè dobbiamo immaginare che queste migrazioni partissero allo stato brado, alla ventura, ma certo conducevano un’impresa ben ordinata, sia pure nei limiti delle possibilità del tempo, verso luoghi più o meno sperimentati per le possibilità che avevano di accogliere la migrazione stessa.
Il rito del Ver Sacrum  deve essere stato molto praticato nell’ultima età del bronzo: gli stessi Aborigeni, secondo la tradizione, sarebbero giunti nel Lazio seguendo un’analoga migrazione, dietro la via loro tracciata dal sacro picchio (Picus), il protettore della stirpe.
Ma la cerimonia peraltro era ancora in pieno uso non solo nelle prime fasi dell’età del ferro, ma ancora in piena età storica tra i popoli italici dell’arco appenninico. Tutte le tradizioni di queste genti sono rimaste legate al ricordo di questi movimenti, che sarebbero derivati dal primitivo ceppo sabino: i Sanniti migranti dietro la guida del toro sacro a Marte, i Piceni pure essi dietro la guida del picchio, gli Irpini dietro quella del lupo, e così parimenti tutte le altre genti della stessa derivazione, di cui tacevano parte quei Volsci e quegli Equi che travaglieranno tutta la storia laziale della fine del vi e del v secolo a.C., essendo essi venuti ad occupare tutta la parte meridionale del Lazio primitivo.
Per quanto riguarda propriamente il Lazio  nell’età del bronzo finale e nella prima età del ferro, si è visto come la stabile occupazione agricola del territorio, le immense possibilità economiche della,sua pianura e la loro precoce urbanizzazione dovettero portare per tempo ad una precisa definizione delle zone occupate dai rispettivi populi e ad un primo consolidamento della situazione politica e topo­grafica: quella che appunto riconosciamo all’epoca che è sintetizzata nella mitica età di Alba Longa.
Le migrazioni, in questo contesto interno, dovettero pertanto essere limitate allo spostamento di piccoli gruppi di sbandati odi avventurieri. così come la tradizione ricorda appunto la brigata di Romolo e Remo in occasione della cosiddetta fondazione di Roma, Il Ver Sacrum dovette pertanto perdere per tempo nel Lazio il suo significato originario e rimanere solo nel suo valore rituale, strettamente religioso, usato come voto estremamente solenne dalle singole comunità nel caso di una gravissima calamità: così come la conosciamo ancora riesumata ad esempio nel travaglio della seconda guerra Punica da Roma stessa: “quod ver attulerit ex suillo ovill caprino bovillo grege, quacque profana erunt, Iovi fieri (ciò che nascerà in primavera da scrofa, pecora, capra e bove, se non già sacri, saranno di Giove) (Liv. XXII, 10,3).
Ma se il Ver Sacrum, come fenomeno migratorio, non dovette interessare sostanzialmente i Latini all’interno delle loro comunità territo­riali, certo invece esso in età protostorica dovette molto riguardarli per la costante pressione che esercitavano sulla pingue pianura laziale le mire e le aspirazioni dei popoli dell’interno: i Sabini soprattutto,  dei quali la tradizione stessa ricorda la lenta ma costante penetrazione, ed in particolare la piena sabinizzazione di tutto il territorio compreso tra il Tevere e l’Aniene. Esemplificativo di questo genere di penetrazione può essere tutta la migrazione della gens di Attus Clausus dalla Sabina ad entro i confini dello stato romano negli anni a cavallo del vi e del v secolo.