La vendetta cristiana su Roma.
Forse non c’è nulla che stanchi tanto, quanto lo
spettacolo di un continuo vincitore, — per duecento anni si era visto Roma assoggettate a
sé un popolo dopo l’altro, il circolo era compiuto, tutto l’avvenire sembrava
alla fine, tutte le cose erano organizzate per una eterna condizione. Sì, se
l’impero edificava, edificava con l’intenzione dell’« aere perennius »; e noi, noi che conosciamo
soltanto la « malinconia delle rovine », possiamo a stento comprendere quella
malinconia, di tutt’altra specie, delle costruzioni eterne, dalla quale si
doveva cercare di salvarsi come si poteva: per esempio, con la frivolezza di
Orazio. Altri cercavano differenti mezzi di conforto contro la stanchezza
confinante con la disperazione, contro la coscienza mortifera che ormai tutti i
movimenti del pensiero e del cuore fossero senza speranza, che in ogni luogo si
fosse piantato il grande ragno, che esso avrebbe implacabilmente bevuto tutto
il sangue, dovunque ancora scaturisse. Questo odio vecchio di secoli, senza
parole, nutrito dagli stanchi spettatori verso Roma, almeno per tutto il tempo
in cui durò il suo dominio, si sgravò, alla fine, nel cristianesimo,
coinvolgendo in un solo sentimento Roma, il « mondo » e il « peccato »; ci si vendicò di Roma, ritenendo prossima
l’improvvisa fine del mondo; ci si vendicò di Roma, ponendo di nuovo dinanzi a
sé un avvenire - Roma
aveva saputo trasformare tutto nella sua preistoria e nel suo presente — e un avvenire, in confronto al
quale Roma non appariva più come il fatto più importante; ci si vendicava di
essa, sognando il giudizio ultimo, — e
l’ebreo crocifisso, come simbolo di salvezza, costituiva l’estrema irrisione
verso gli splendidi pretori romani della provincia; infatti essi ora apparivano
come i simboli della sventura e del « mondo » maturo per la fine.
Friedrich Nietzsche
Da “Aurora”