Se crolla la Domus Aurea la casa maledetta di Nerone
CORRADO AUGIAS
La Repubblica, 31-03-10, pagina 134 sezione PRIMA PAGINA
LA STRANEZZA non è il crollo avvenuto ieri mattina nella volta di un corridoio. La vera, miracolosa, stranezza è che la Domus Aurea stia ancora in piedi, anche se ridotta quasi alle sole strutture, dopo tutto quello che ha passato nei secoli, ridotta da splendida dimora a tenebroso luogo sotterraneo. Averla resa di nuovo visitabile, qualche anno fa, è stata un' opera meritoria perché l' ex dimora neronianaè senza dubbio uno dei luoghi più affascinanti rimasti dalla Roma classica. Da dove viene questo fascino? In fondo si tratta di nude mura, di ambulacri, opere in laterizio ravvivate solo a tratti da resti di affreschi o di mosaici. La prima volta che potei visitarla, molti anni fa, una delle cose che più mi colpirono furono alcune tracce di nerofumo sugli alti soffitti affrescati di una delle sale. Erano le tracce emozionanti (tuttora visibili) lasciate dai visitatori che per un paio di secoli, tra Cinquee Seicento, si calavano in quelle stanze aprendo a colpi di piccone un foro nel prato soprastante. Sotto un esiguo spessore di terra s' incontrava la resistenza di una struttura in mattoni, bucati anche quelli, i colpi rimbombavano nell' oscuro vuoto sotterraneo. Quegli esploratori erano per lo più archeologi e artisti. Si calavano nella stretta apertura e rannicchiati nel ridottissimo spazio tra la volta e la terra che colmava quasi per intero l' ambiente, scrutavano gli affreschi all' incerta luce di fiaccole: forme vegetali miste a figurette umane o animali di rado realistiche, quasi sempre immaginarie, un mondo fantastico in cui umano, vegetale e animale si fondono in figurazioni tra lo scherzo e l' allucinazione. L' aggettivo "grottesco" per indicare qualcosa di stravagante, bizzarro, innaturale, viene appunto da quelle "grotte". Ma come mai quegli ambienti che erano nati per essere inondati dalla luce e dallo splendore degli ornamenti, si erano trasformati in oscuri antri sotterranei riempiti quasi per intero di terra? Nerone aveva concepito la sua nuova dimora imperiale dopo il devastante incendio del 64 di cui era stato accusato di essere l' autore. Per rivalsa, per megalomania, per quella follia che pareva averlo colto anche se giovanissimo (al momento dell' incendio aveva solo 27 anni, morirà avendone 32), per una qualche ragione legata al capriccioso esercizio del potere assoluto, l' imperatore s' era fatto progettare una smisurata magione. Per capirne la magnificenza e le dimensioni basta pensare che una statua alta trentacinque metri (un edificio di dodici piani) entrava nel vestibolo. È considerato probabile che da questa immane figura abbia preso nome, nel Medio Evo, il Colosseo. Lo scultore greco Zenodoro aveva raffigurato l' imperatore nudo, con attributi solari, il braccio destro proteso, il sinistro ripiegato a sorreggere un globo. Da una corona posta sulla fronte si dipartivano sette raggi (lunghi sei metri l' uno) raffigurazione del potere assoluto e di quel Sole con il quale l' uomo voleva essere identificato. La casa, assicura Svetonio nelle sue Vite dei Cesari, comprendeva tre portici lunghi un miglio «uno stagno, anzi quasi un mare, circondato da edifici grandi come città. Alle spalle ville con campi, vigneti e pascoli, boschi pieni di animali domestici e selvatici». Ancora: «Le sale da pranzo avevano soffitti coperti di lastre d' avorio mobili e forate in modo da consentire la caduta di fiori e di profumi». Abbondavano i marmi spesso alternati tra di loro a formare quelle policromie nelle qualii romani eccellevano. Erano pietre che arrivavano dalla Spagna, dalla Numidia, dalla Tripolitania, dall' Egitto, dall' Asia, dalla Grecia, dalle Gallie, dalla Cappadocia. Diverse per coloree tessitura, uniche per durezza e bellezza del disegno, per secoli i marmorari romani le chiameranno con nomi che evocano da soli un' epoca: "portasanta", "lumachella orientale", "pavonazzetto", "serpentino", "granito degli obelischi", "africano", e la più pregiata di tutte, il "porfido rosso" riservato all' imperatore. C' era poi il grande lago che a sentire Svetonio, che talvolta esagera, sembrava un mare; riempiva la valle dove più tardi sarebbe sorto l' anfiteatro Flavio (il "Colosseo"). La dimora era talmente vasta che, si dice, Nerone non ebbe mai il tempo di visitarla per intero anche perché nemmeno quattro anni dopo averla fatta costruire sopraffatto dalla rivolta delle legioni preferì farsi trafiggere da un liberto. Quelle meraviglie gli sopravvissero di poco. Già i suoi successori provvidero a demolirle in larga parte. Domiziano fece abbattere gli edifici sul Palatino, altri fecero colmare di macerie il lago per predisporre il terreno alla costruzione dell' anfiteatro, Adriano fece demolire il vestibolo della Domus per innalzare il tempio di Veneree Roma. Il padiglione sul Colle Oppio (quello che ha subito il crollo della volta) sopravvisse fino al 104 quando un incendio lo distrusse in parte. Poi arrivò Traiano che sull' area volle che sorgessero le sue terme. L' architetto Apollodoro di Damasco fece abbattere gli ambienti superiori, colmare di terra i sottostanti trasformandoli così in un immenso cubo da sfruttare come fondazione per i nuovi edifici. Ori, affreschi, marmi annegarono sotto tonnellate di terra e di detriti, alla magnificenza si sostituì la rovina, alla luce le tenebre. Proprio a quella rovina si deve, per paradosso, la parziale conservazione di questa testimonianza. E forse anche al crollo di ieri dovremo gratitudine: Il ministro della Cultura Bondi ha commentato: «Questo episodio può indicare al governo che ci vorrebbe un piano straordinario per salvaguardare il patrimonio storico del Paese soprattutto quello di Roma». Meglio tardi che mai.
CORRADO AUGIAS
La Repubblica, 31-03-10, pagina 134 sezione PRIMA PAGINA
LA STRANEZZA non è il crollo avvenuto ieri mattina nella volta di un corridoio. La vera, miracolosa, stranezza è che la Domus Aurea stia ancora in piedi, anche se ridotta quasi alle sole strutture, dopo tutto quello che ha passato nei secoli, ridotta da splendida dimora a tenebroso luogo sotterraneo. Averla resa di nuovo visitabile, qualche anno fa, è stata un' opera meritoria perché l' ex dimora neronianaè senza dubbio uno dei luoghi più affascinanti rimasti dalla Roma classica. Da dove viene questo fascino? In fondo si tratta di nude mura, di ambulacri, opere in laterizio ravvivate solo a tratti da resti di affreschi o di mosaici. La prima volta che potei visitarla, molti anni fa, una delle cose che più mi colpirono furono alcune tracce di nerofumo sugli alti soffitti affrescati di una delle sale. Erano le tracce emozionanti (tuttora visibili) lasciate dai visitatori che per un paio di secoli, tra Cinquee Seicento, si calavano in quelle stanze aprendo a colpi di piccone un foro nel prato soprastante. Sotto un esiguo spessore di terra s' incontrava la resistenza di una struttura in mattoni, bucati anche quelli, i colpi rimbombavano nell' oscuro vuoto sotterraneo. Quegli esploratori erano per lo più archeologi e artisti. Si calavano nella stretta apertura e rannicchiati nel ridottissimo spazio tra la volta e la terra che colmava quasi per intero l' ambiente, scrutavano gli affreschi all' incerta luce di fiaccole: forme vegetali miste a figurette umane o animali di rado realistiche, quasi sempre immaginarie, un mondo fantastico in cui umano, vegetale e animale si fondono in figurazioni tra lo scherzo e l' allucinazione. L' aggettivo "grottesco" per indicare qualcosa di stravagante, bizzarro, innaturale, viene appunto da quelle "grotte". Ma come mai quegli ambienti che erano nati per essere inondati dalla luce e dallo splendore degli ornamenti, si erano trasformati in oscuri antri sotterranei riempiti quasi per intero di terra? Nerone aveva concepito la sua nuova dimora imperiale dopo il devastante incendio del 64 di cui era stato accusato di essere l' autore. Per rivalsa, per megalomania, per quella follia che pareva averlo colto anche se giovanissimo (al momento dell' incendio aveva solo 27 anni, morirà avendone 32), per una qualche ragione legata al capriccioso esercizio del potere assoluto, l' imperatore s' era fatto progettare una smisurata magione. Per capirne la magnificenza e le dimensioni basta pensare che una statua alta trentacinque metri (un edificio di dodici piani) entrava nel vestibolo. È considerato probabile che da questa immane figura abbia preso nome, nel Medio Evo, il Colosseo. Lo scultore greco Zenodoro aveva raffigurato l' imperatore nudo, con attributi solari, il braccio destro proteso, il sinistro ripiegato a sorreggere un globo. Da una corona posta sulla fronte si dipartivano sette raggi (lunghi sei metri l' uno) raffigurazione del potere assoluto e di quel Sole con il quale l' uomo voleva essere identificato. La casa, assicura Svetonio nelle sue Vite dei Cesari, comprendeva tre portici lunghi un miglio «uno stagno, anzi quasi un mare, circondato da edifici grandi come città. Alle spalle ville con campi, vigneti e pascoli, boschi pieni di animali domestici e selvatici». Ancora: «Le sale da pranzo avevano soffitti coperti di lastre d' avorio mobili e forate in modo da consentire la caduta di fiori e di profumi». Abbondavano i marmi spesso alternati tra di loro a formare quelle policromie nelle qualii romani eccellevano. Erano pietre che arrivavano dalla Spagna, dalla Numidia, dalla Tripolitania, dall' Egitto, dall' Asia, dalla Grecia, dalle Gallie, dalla Cappadocia. Diverse per coloree tessitura, uniche per durezza e bellezza del disegno, per secoli i marmorari romani le chiameranno con nomi che evocano da soli un' epoca: "portasanta", "lumachella orientale", "pavonazzetto", "serpentino", "granito degli obelischi", "africano", e la più pregiata di tutte, il "porfido rosso" riservato all' imperatore. C' era poi il grande lago che a sentire Svetonio, che talvolta esagera, sembrava un mare; riempiva la valle dove più tardi sarebbe sorto l' anfiteatro Flavio (il "Colosseo"). La dimora era talmente vasta che, si dice, Nerone non ebbe mai il tempo di visitarla per intero anche perché nemmeno quattro anni dopo averla fatta costruire sopraffatto dalla rivolta delle legioni preferì farsi trafiggere da un liberto. Quelle meraviglie gli sopravvissero di poco. Già i suoi successori provvidero a demolirle in larga parte. Domiziano fece abbattere gli edifici sul Palatino, altri fecero colmare di macerie il lago per predisporre il terreno alla costruzione dell' anfiteatro, Adriano fece demolire il vestibolo della Domus per innalzare il tempio di Veneree Roma. Il padiglione sul Colle Oppio (quello che ha subito il crollo della volta) sopravvisse fino al 104 quando un incendio lo distrusse in parte. Poi arrivò Traiano che sull' area volle che sorgessero le sue terme. L' architetto Apollodoro di Damasco fece abbattere gli ambienti superiori, colmare di terra i sottostanti trasformandoli così in un immenso cubo da sfruttare come fondazione per i nuovi edifici. Ori, affreschi, marmi annegarono sotto tonnellate di terra e di detriti, alla magnificenza si sostituì la rovina, alla luce le tenebre. Proprio a quella rovina si deve, per paradosso, la parziale conservazione di questa testimonianza. E forse anche al crollo di ieri dovremo gratitudine: Il ministro della Cultura Bondi ha commentato: «Questo episodio può indicare al governo che ci vorrebbe un piano straordinario per salvaguardare il patrimonio storico del Paese soprattutto quello di Roma». Meglio tardi che mai.