Repubblica 30.12.07
Torna il 29 febbraio. Un giorno "magico" che sbuca dalle nebbie della storia e dagli artifici della scienza, e che ci invita a riflettere sul tempo e i suoi trabocchetti
di Pino Corrias
Il 29 febbraio 2008, giorno a sorpresa regalato dagli astronomi di Giulio Cesare e poi di Gregorio XIII, serve ad aggiustare i nostri calendari ma anche a svelare l´errore che ci si annida dentro. E ci fa comprendere che, nonostante i perfetti calcoli della nuova fisica basati sulle oscillazioni atomiche del cesio, il tempo può essere misurato, descritto, piegato, eppure non sarà mai scalfito il mistero della sua sostanza
Nel 1582 il Papa cancellò dieci giorni In una notte, tra stupore e tanti tumulti, il mondo passò dal 4 al 15 ottobre
Il calendario gregoriano è in eccesso di ventisei secondi e fra tremila anni ci ritroveremo con un giorno ditroppo
Un´aura magica accompagna questa anomalia, come se un numero stravagante fosse il segno del destino e non una semplice convenzione umana
Siamo fatti di acqua e di tempo. Evaporiamo con lentezza: 365 giorni all´anno. Ma con l´errore di un giorno. L´anno bisestile (che ci aspetta) aggiusta l´errore. Rimuove l´imperfezione di quel giorno. Risarcisce lo sbaglio di quelle 5 ore, 48 minuti, 46 secondi che il calcolo degli uomini cancella per quattro anni di seguito. L´anno bisestile rimette le lancette dell´anno al loro posto tra il sole, la luna, il capriccio di molti dei e la matematica degli uomini. Inventa il trecentosessantaseiesimo giorno. Lo infila in coda al mese più corto. Lo nomina 29 febbraio, il giorno che qualche volta c´è. E che quest´anno, nell´anno bisestile 2008, cadrà di venerdì.
Quel giorno in più sarà la nostra finestra sul tempo. L´eccezione che svela la trama dei nostri calendari che da molte migliaia di anni provano a misurarlo, descriverlo, piegarlo, senza mai scalfire il mistero della sua sostanza. Perché cosa sia il tempo ancora nessuno lo ha scoperto - «Se non me lo chiedo so cos´è, ma se me lo chiedo non lo so», scriveva Sant´Agostino - sebbene ci imprigioni dal primo all´ultimo istante, onda lentissima nel vuoto, fiume tra le sponde buie dello spazio. Inafferrabile. Ma calcolabile nei suoi segmenti ricorrenti. Maneggiabile nelle sue forme ridotte che ci danzano intorno. Al ritmo di un anno alla volta, di un mese, di un giorno. Un anno ogni quattro stagioni intorno al sole. Un mese ogni quattro lune intorno alla Terra. Un giorno, ogni sole che tramonta, e che poi risorge, intorno all´Uomo.
Superstizioni dicono che quel giorno in più, il giorno bisestile, sia nefasto. Che l´intero anno porti male, come tutte le anomalie in natura. Ma nulla di memorabile e di nero ha mai confermato il sospetto. Neppure il penultimo, l´anno Duemila, con il suo corto circuito di zeri che avrebbe inceppato l´intelligenza portatile dei nostri computer, generando il buio nel nuovo Millennio e poi l´apocalisse. Come se la stravaganza di un numero non fosse convenzione umana, artificio contabile d´inchiostro, ma il segno del destino.
In verità il male, anche quello catastrofico delle profezie, si è sempre equamente distribuito sulla superficie dei giorni. Dai tempi imprecisi del primo calendario conosciuto, l´osso d´aquila ritrovato presso il villaggio di Le Placard, vecchio di tredicimila anni, dove l´uomo neolitico, di un clan probabilmente nomade, ha inciso le tacche delle fasi lunari. È la luna, con le sue notti periodiche, la falce che diventa piena e poi scompare, il modo più immediato e perciò più antico, di calcolare il misterioso flusso del tempo.
La scienza nasce da quei calcoli. E tutti gli dei si ergono da quelle immense ricorrenze di stelle all´orizzonte e di costellazioni che sorgono e scompaiono secondo un disegno sconosciuto, ma incontrovertibile, come fa il destino quando si svela. Per i popoli nomadi la notte è la prima tavola su cui contare il tempo. Per le comunità stanziali lo è il sole che fa germogliare i campi oppure li rende sterili. Gli egizi, nei loro calendari, aggiungono le inondazioni del Nilo. Gli Aztechi, il fuoco dei vulcani.
Per tutti il tempo è una freccia che viaggia in una sola direzione, dal seme, al frutto, alla polvere. Il passato non torna, se non nei sogni e nella nostalgia. Il presente ci scappa come sabbia tra le dita. Il futuro è incalcolabile nonostante i numeri, nonostante la scrittura, nonostante la fede che promette un aldilà perpetuo, capace di sconfiggere la declinazione ultima del tempo, l´eternità della morte. Il tempo è la nostra lotta perpetua.
Non per nulla la fibra dei nostri calendari viene dal più grande condottiero romano, Giulio Cesare, che conquistò il mondo conosciuto, e poi da un papa guerriero, Gregorio XIII, anno 1582, che masticava bacche di ginepro, faceva strage di Ugonotti, soffriva di insonnia, «teneva in gran parsimonia il tempo, di tutte le cose la più preziosa». Il tempo, a quel tempo, era in ritardo. Dieci giorni sull´equinozio di primavera, secondo i matematici. Accumulati dall´errore di certi aggiustamenti che Cesare, nell´anno 46 avanti Cristo, dopo la campagna d´Egitto, aveva introdotto per conteggiare la sua gloria e i raccolti. Sosigene di Alessandria era l´astronomo che Cesare condusse a Roma per riformare il tempo. Unificarlo. Secondo la scienza egizia, i calcoli caldei, le osservazioni babilonesi.
L´anno solare era già la misura della vita degli uomini e di tutte le cose. Diviso in dieci mesi fino a Tito Livio. Diviso in 365 giorni, ma con quella imperfezione di quasi sei ore che Sosigene, l´astronomo, calcolò di aggiustare una volta ogni quattro anni. Infilando quel giorno in più tra il 23 e il 24 febbraio, chiamandolo «bis sexto antes kalenda martias», due volte il sesto giorno prima del primo marzo. Giorno bisesto, per l´appunto.
Cesare promulga il tempo nuovo. Il calendario diventa "Giuliano". In suo onore si nomina il settimo mese. E per suo volere il Capodanno si sposta al primo giorno di gennaio. Tre secoli dopo, Costantino, che si proclama imperatore per volontà di Dio e che alla spada romana affianca la croce, introduce la settimana, dedicando la domenica alla preghiera, ma non ancora al riposo. La preghiera si avvera. La Chiesa romana si impadronisce del tempo. Fissa al 6 gennaio la nascita di Gesù. Poi la retrocede al giorno sacro del culto di Mitra, la festa del sole, che in tutto l´impero cade il 25 dicembre. Inglobandola la cancella, per sostituirla col Natale. Inizia da quella nascita la numerazione del tempo. Il matematico Dionigi nomina Uno quell´anno, non conoscendo lo Zero. Tutte le festività diventano cristiane.
Ma l´imperfezione dei calcoli resta umana. Come lo sono le conseguenze dell´errore, undici minuti non contabilizzati ogni anno. Per questo Gregorio XIII, padrone del suo tempo, consulta i più grandi matematici, i signori di tutti i calendari, confronta le misurazioni astronomiche, accerta lo scarto accumulato che fa cadere l´equinozio di primavera non più il 21, ma l´11 marzo, in anticipo di dieci giorni. Con danni al calendario della fede che fissa la Pasqua dopo l´ultimo novilunio e non ammette deroghe. Per questo Gregorio elabora una decisione spettacolare.
Nel memorabile anno 1582, il papa impugna lo scettro del tempo e con la bolla Inter gravissimas cancella dieci giorni dal calendario. In una sola notte il mondo cristiano passa dal 4 al 15 ottobre. Propagando stupori, genuflessioni e proteste. Contadini chiedono il risarcimento di quelle ore non vissute, di quei semi non piantati. Le banche non sanno come conteggiare gli interessi sui prestiti. Debitori rifiutano di onorare le scadenze cancellate. I fedeli temono che scompaginando i giorni del calendario, preghiere destinate ad altri santi finiscano inascoltate. A Francoforte scoppiano tumulti. E nelle Fiandre si litiga fino al successivo dicembre, quando la bolla papale viene accolta, e il tempo passa dal 21 al 31 dicembre, cancellando per quella volta il Natale.
In quattro secoli quel calendario diventa universale. Entra in vigore in Inghilterra nel 1752. In Russia nel 1918. Nella Grecia ortodossa nel 1932. In Cina si affianca ai suoi anni zoologici. La persistenza d´altri conteggi - quelli ebraici, islamici, buddisti - consente l´equivalenza degli anni, senza smentire la scansione dei mesi e dei giorni. Si inceppa nella sola Francia di Robespierre e Danton che polverizza la Bastiglia, si impadronisce dello spazio con il calcolo decimale, promette di governare gli uomini in nome di un´era nuova. E perciò anche di un nuovo calendario, affinché il trionfo sia completo, come da allora in avanti faranno altre rivoluzioni, celebrando i giorni della vittoria, prima di insanguinarli.
Il calendario Gregoriano ha unificato il tempo. Introdotto la data. Reso pensabile l´ordine cronologico degli eventi. Lineare. Fino a certe soglie del nostro Novecento, quando il romanzo e la psicoanalisi hanno scoperto che il tempo interiore degli uomini non è affatto unico, ma scorre tra il cuore e la memoria a velocità sempre differenti. Fino a certi calcoli della nuova fisica che lo ha reso infinitamente esatto, secondo le oscillazioni atomiche del Cesio, ma ne ha messo in discussione la durata eterna, perché non esisteva un attimo prima del big bang e prima o poi smetterà di esistere. Sempre che il prima e il poi abbiano ancora un senso.
Dicono i matematici dei nuovi calcoli che l´anno gregoriano sia in eccesso di tre millesimi di giorno. E che tra tremila anni ci troveremo con un giorno di troppo, obbligati a ordinare un nuovo anno bisestile alle nostre imperfette procedure. Fatevi un appunto per quel giorno.
Torna il 29 febbraio. Un giorno "magico" che sbuca dalle nebbie della storia e dagli artifici della scienza, e che ci invita a riflettere sul tempo e i suoi trabocchetti
di Pino Corrias
Il 29 febbraio 2008, giorno a sorpresa regalato dagli astronomi di Giulio Cesare e poi di Gregorio XIII, serve ad aggiustare i nostri calendari ma anche a svelare l´errore che ci si annida dentro. E ci fa comprendere che, nonostante i perfetti calcoli della nuova fisica basati sulle oscillazioni atomiche del cesio, il tempo può essere misurato, descritto, piegato, eppure non sarà mai scalfito il mistero della sua sostanza
Nel 1582 il Papa cancellò dieci giorni In una notte, tra stupore e tanti tumulti, il mondo passò dal 4 al 15 ottobre
Il calendario gregoriano è in eccesso di ventisei secondi e fra tremila anni ci ritroveremo con un giorno ditroppo
Un´aura magica accompagna questa anomalia, come se un numero stravagante fosse il segno del destino e non una semplice convenzione umana
Siamo fatti di acqua e di tempo. Evaporiamo con lentezza: 365 giorni all´anno. Ma con l´errore di un giorno. L´anno bisestile (che ci aspetta) aggiusta l´errore. Rimuove l´imperfezione di quel giorno. Risarcisce lo sbaglio di quelle 5 ore, 48 minuti, 46 secondi che il calcolo degli uomini cancella per quattro anni di seguito. L´anno bisestile rimette le lancette dell´anno al loro posto tra il sole, la luna, il capriccio di molti dei e la matematica degli uomini. Inventa il trecentosessantaseiesimo giorno. Lo infila in coda al mese più corto. Lo nomina 29 febbraio, il giorno che qualche volta c´è. E che quest´anno, nell´anno bisestile 2008, cadrà di venerdì.
Quel giorno in più sarà la nostra finestra sul tempo. L´eccezione che svela la trama dei nostri calendari che da molte migliaia di anni provano a misurarlo, descriverlo, piegarlo, senza mai scalfire il mistero della sua sostanza. Perché cosa sia il tempo ancora nessuno lo ha scoperto - «Se non me lo chiedo so cos´è, ma se me lo chiedo non lo so», scriveva Sant´Agostino - sebbene ci imprigioni dal primo all´ultimo istante, onda lentissima nel vuoto, fiume tra le sponde buie dello spazio. Inafferrabile. Ma calcolabile nei suoi segmenti ricorrenti. Maneggiabile nelle sue forme ridotte che ci danzano intorno. Al ritmo di un anno alla volta, di un mese, di un giorno. Un anno ogni quattro stagioni intorno al sole. Un mese ogni quattro lune intorno alla Terra. Un giorno, ogni sole che tramonta, e che poi risorge, intorno all´Uomo.
Superstizioni dicono che quel giorno in più, il giorno bisestile, sia nefasto. Che l´intero anno porti male, come tutte le anomalie in natura. Ma nulla di memorabile e di nero ha mai confermato il sospetto. Neppure il penultimo, l´anno Duemila, con il suo corto circuito di zeri che avrebbe inceppato l´intelligenza portatile dei nostri computer, generando il buio nel nuovo Millennio e poi l´apocalisse. Come se la stravaganza di un numero non fosse convenzione umana, artificio contabile d´inchiostro, ma il segno del destino.
In verità il male, anche quello catastrofico delle profezie, si è sempre equamente distribuito sulla superficie dei giorni. Dai tempi imprecisi del primo calendario conosciuto, l´osso d´aquila ritrovato presso il villaggio di Le Placard, vecchio di tredicimila anni, dove l´uomo neolitico, di un clan probabilmente nomade, ha inciso le tacche delle fasi lunari. È la luna, con le sue notti periodiche, la falce che diventa piena e poi scompare, il modo più immediato e perciò più antico, di calcolare il misterioso flusso del tempo.
La scienza nasce da quei calcoli. E tutti gli dei si ergono da quelle immense ricorrenze di stelle all´orizzonte e di costellazioni che sorgono e scompaiono secondo un disegno sconosciuto, ma incontrovertibile, come fa il destino quando si svela. Per i popoli nomadi la notte è la prima tavola su cui contare il tempo. Per le comunità stanziali lo è il sole che fa germogliare i campi oppure li rende sterili. Gli egizi, nei loro calendari, aggiungono le inondazioni del Nilo. Gli Aztechi, il fuoco dei vulcani.
Per tutti il tempo è una freccia che viaggia in una sola direzione, dal seme, al frutto, alla polvere. Il passato non torna, se non nei sogni e nella nostalgia. Il presente ci scappa come sabbia tra le dita. Il futuro è incalcolabile nonostante i numeri, nonostante la scrittura, nonostante la fede che promette un aldilà perpetuo, capace di sconfiggere la declinazione ultima del tempo, l´eternità della morte. Il tempo è la nostra lotta perpetua.
Non per nulla la fibra dei nostri calendari viene dal più grande condottiero romano, Giulio Cesare, che conquistò il mondo conosciuto, e poi da un papa guerriero, Gregorio XIII, anno 1582, che masticava bacche di ginepro, faceva strage di Ugonotti, soffriva di insonnia, «teneva in gran parsimonia il tempo, di tutte le cose la più preziosa». Il tempo, a quel tempo, era in ritardo. Dieci giorni sull´equinozio di primavera, secondo i matematici. Accumulati dall´errore di certi aggiustamenti che Cesare, nell´anno 46 avanti Cristo, dopo la campagna d´Egitto, aveva introdotto per conteggiare la sua gloria e i raccolti. Sosigene di Alessandria era l´astronomo che Cesare condusse a Roma per riformare il tempo. Unificarlo. Secondo la scienza egizia, i calcoli caldei, le osservazioni babilonesi.
L´anno solare era già la misura della vita degli uomini e di tutte le cose. Diviso in dieci mesi fino a Tito Livio. Diviso in 365 giorni, ma con quella imperfezione di quasi sei ore che Sosigene, l´astronomo, calcolò di aggiustare una volta ogni quattro anni. Infilando quel giorno in più tra il 23 e il 24 febbraio, chiamandolo «bis sexto antes kalenda martias», due volte il sesto giorno prima del primo marzo. Giorno bisesto, per l´appunto.
Cesare promulga il tempo nuovo. Il calendario diventa "Giuliano". In suo onore si nomina il settimo mese. E per suo volere il Capodanno si sposta al primo giorno di gennaio. Tre secoli dopo, Costantino, che si proclama imperatore per volontà di Dio e che alla spada romana affianca la croce, introduce la settimana, dedicando la domenica alla preghiera, ma non ancora al riposo. La preghiera si avvera. La Chiesa romana si impadronisce del tempo. Fissa al 6 gennaio la nascita di Gesù. Poi la retrocede al giorno sacro del culto di Mitra, la festa del sole, che in tutto l´impero cade il 25 dicembre. Inglobandola la cancella, per sostituirla col Natale. Inizia da quella nascita la numerazione del tempo. Il matematico Dionigi nomina Uno quell´anno, non conoscendo lo Zero. Tutte le festività diventano cristiane.
Ma l´imperfezione dei calcoli resta umana. Come lo sono le conseguenze dell´errore, undici minuti non contabilizzati ogni anno. Per questo Gregorio XIII, padrone del suo tempo, consulta i più grandi matematici, i signori di tutti i calendari, confronta le misurazioni astronomiche, accerta lo scarto accumulato che fa cadere l´equinozio di primavera non più il 21, ma l´11 marzo, in anticipo di dieci giorni. Con danni al calendario della fede che fissa la Pasqua dopo l´ultimo novilunio e non ammette deroghe. Per questo Gregorio elabora una decisione spettacolare.
Nel memorabile anno 1582, il papa impugna lo scettro del tempo e con la bolla Inter gravissimas cancella dieci giorni dal calendario. In una sola notte il mondo cristiano passa dal 4 al 15 ottobre. Propagando stupori, genuflessioni e proteste. Contadini chiedono il risarcimento di quelle ore non vissute, di quei semi non piantati. Le banche non sanno come conteggiare gli interessi sui prestiti. Debitori rifiutano di onorare le scadenze cancellate. I fedeli temono che scompaginando i giorni del calendario, preghiere destinate ad altri santi finiscano inascoltate. A Francoforte scoppiano tumulti. E nelle Fiandre si litiga fino al successivo dicembre, quando la bolla papale viene accolta, e il tempo passa dal 21 al 31 dicembre, cancellando per quella volta il Natale.
In quattro secoli quel calendario diventa universale. Entra in vigore in Inghilterra nel 1752. In Russia nel 1918. Nella Grecia ortodossa nel 1932. In Cina si affianca ai suoi anni zoologici. La persistenza d´altri conteggi - quelli ebraici, islamici, buddisti - consente l´equivalenza degli anni, senza smentire la scansione dei mesi e dei giorni. Si inceppa nella sola Francia di Robespierre e Danton che polverizza la Bastiglia, si impadronisce dello spazio con il calcolo decimale, promette di governare gli uomini in nome di un´era nuova. E perciò anche di un nuovo calendario, affinché il trionfo sia completo, come da allora in avanti faranno altre rivoluzioni, celebrando i giorni della vittoria, prima di insanguinarli.
Il calendario Gregoriano ha unificato il tempo. Introdotto la data. Reso pensabile l´ordine cronologico degli eventi. Lineare. Fino a certe soglie del nostro Novecento, quando il romanzo e la psicoanalisi hanno scoperto che il tempo interiore degli uomini non è affatto unico, ma scorre tra il cuore e la memoria a velocità sempre differenti. Fino a certi calcoli della nuova fisica che lo ha reso infinitamente esatto, secondo le oscillazioni atomiche del Cesio, ma ne ha messo in discussione la durata eterna, perché non esisteva un attimo prima del big bang e prima o poi smetterà di esistere. Sempre che il prima e il poi abbiano ancora un senso.
Dicono i matematici dei nuovi calcoli che l´anno gregoriano sia in eccesso di tre millesimi di giorno. E che tra tremila anni ci troveremo con un giorno di troppo, obbligati a ordinare un nuovo anno bisestile alle nostre imperfette procedure. Fatevi un appunto per quel giorno.