ENEIDE LIBRO III
Insieme con i compagni, Enea allestì una flotta con cui abbandonò per sempre quella terra. La prima meta fu la Tracia, dove egli credette di poter fissare la propria dimora; ma un giorno, mentre strappava delle fronde da un cespuglio per ornare un altare, vide colare da quelle delle gocce di sangue e udì una voce che si manifestò per quella di Polidoro, figlio di Priamo, giunto su quella terra per ordine del padre, che aveva voluto tenerlo lontano dalla guerra affidandolo al re Polimestore. Questi, per impossessarsi delle ricchezze che Polidoro aveva con sé, non aveva esitato ad ucciderlo, abbandonandone poi il corpo su quella spiaggia; le aste che lo avevano trafitto si erano poi mutate in quei rami sanguinanti.
Atterrito da quelle parole, Enea diede degna sepoltura ai resti di Polidoro ed abbandonò la Tracia.
Arrivati a Delo, l’Oracolo di Apollo ingiunse a loro di tornare nella loro madre patria, dove avrebbero costruito un impero. Anchise credette che la loro patria fosse Creta, poiché da lì era giunto il primo re di Troia Teucro, e quindi si diressero verso quell’isola. Appena giunti, furono perseguitati dalla cattiva sorte; infatti, quando ebbero costruito le loro abitazioni una terribile pestilenza fece morire molti di loro e per un intero anno dovettero vivere di stenti e in miseria.
Una notte Enea sognò gli Dei che avevano protetto Troia, i quali gli confidarono che la vera patria era l’Italia.
Ripresero così il mare e approdarono nelle isole Strofadi, dove trovarono molti armenti al pascolo. Per aver ucciso alcuni buoi allo scopo di imbandire un banchetto, vennero attaccati dalle Arpie, i famosi uccelli dal volto di donna che divorarono i cibi e imbrattarono i tavoli imbanditi. Enea, per tendere loro un agguato, fece allestire un nuovo banchetto e ordinò ai compagni di armarsi per poterle sconfiggere. Fu tutto inutile, perché le Arpie erano invulnerabili; tuttavia riuscirono a metterle in fuga. Celeno, regina delle Arpie, dichiarò allora dall’alto di una rupe che essi avrebbero avuto l’italia, ma che avrebbero cinto di mura la loro città dopo aver sofferto la fame al punto da dover divorare le mense.
Si rimisero allora sulle navi e fecero vela in Caonia, nell’Epiro, dove regnava Eleno che, essendo fratello gemello di Cassandra, come questa possedeva il dono della divinazione. Costui aveva sposato la vedova di Ettore, Andromaca, e con lei diede accogliente ospitalità ad Enea.
Eleno profetizzò ad Enea che avrebbe dovuto costruire la sua città sulle rive di un fiume di una remota costa dell’Italia proprio nel luogo dove egli avesse visto un bianco cinghiale allattare trenta cuccioli. Diede poi consigli su come evitare i perigliosi scogli di Scilla e Cariddi e inoltre gli raccomandò di consultare la Sibilla Cumana.
Ripresero il viaggio; grazie ai consigli di Eleno, riuscirono ad evitare il terribile stretto e le loro navi furono trascinate nella terra di Sicilia, ai piedi dell’Etna dove vivevano i Ciclopi. Qui si imbatterono in un povero greco coperto di cenci, di nome Achemenide che era stato dimenticato da Ulisse in quella terra per la fretta di fuggire.
Egli lì scongiurò di abbandonare quei posti poiché la ferocia del ciclope Polifemo era terribile.
Essi ebbero appena il tempo di levare le ancore che già Polifemo stava chiamando a raccolta i suoi.
Raggiunsero la costa settentrionale dell’isola e presso Trapani Enea assistette alla morte del padre stremato dalle fatiche. Tornati sulle navi, una tempesta li portò sulle coste della Libia, dove incontrarono Didone.