domenica 29 novembre 2009
sabato 28 novembre 2009
Reperti romani nel cantiere della beauty farm
Reperti romani nel cantiere della beauty farm
VENERDÌ, 27 NOVEMBRE 2009 IL TIRRENO - Cecina
Si pensa a un percorso culturale esterno alla beauty farm
Reperti romani nel cantiere del grande centro benessere che Enio Taffi sta realizzando a Collemezzano. I ritrovamenti entreranno a far parte di un percorso culturale che sarà organizzato nelle aree esterne alla beauty farm.
A confermare i ritrovamenti lo stesso dottor Taffi, imprenditore a capo dell’omonima azienda di erboristeria e cosmesi, che spiega come «sul lato sud dell’area di cantiere sono venute alla luce anfore e altri oggetti che fanno pensare a un deposito alimentare». Nella zona di Collemezzano già in passato erano stati rinvenuti reperti archeologici, «ecco perché - dice Taffi - durante i lavori sono stati concordati con la Soprintendenza sopralluoghi esplorativi».
Proprio durante uno di questi sopralluoghi, nei mesi scorsi è venuta alla luce una vasta area ricca di reperti. «Si tratta di una zona - dice Anna Maria Esposito, Soprintendente ai beni culturali di Firenze - ampia circa 400 metri quadrati. È stato ritrovato, circa 25 centimetri sotto il livello di campagna, quello che doveva essere il magazzioni e il quartiere artigianale di una villa romana, che presumibilmente doveva trovarsi spostata verso il mare rispetto a questa zona. Sono reperti interessanti, c’è un piano cottura di una fornace e molti contenitori in coccio pesto che fanno pensare che lì si trovasse un magazzino per l’accumulo e la lavorazione degli alimenti».
Dopo il sopralluogo la cooperativa fiorentina Archeologia ha effettuato gli scavi necessari, che appunto hanno fatto emergere gli antichi reperti. «I ritrovamenti sono stati ricoperti - prosegue Esposito - con i materiali adeguati, l’area è stata interdetta ai lavori». Una volta terminata la costruzione del centro benessere i reperti andranno a far parte di un percorso esterno alla struttura. «Pensiamo di evidenziare l’area - dice Taffi -, lasciandola visibile a fianco di un camminamento che si snoderà fuori dal complesso del centro benessere». (a.c.)
VENERDÌ, 27 NOVEMBRE 2009 IL TIRRENO - Cecina
Si pensa a un percorso culturale esterno alla beauty farm
Reperti romani nel cantiere del grande centro benessere che Enio Taffi sta realizzando a Collemezzano. I ritrovamenti entreranno a far parte di un percorso culturale che sarà organizzato nelle aree esterne alla beauty farm.
A confermare i ritrovamenti lo stesso dottor Taffi, imprenditore a capo dell’omonima azienda di erboristeria e cosmesi, che spiega come «sul lato sud dell’area di cantiere sono venute alla luce anfore e altri oggetti che fanno pensare a un deposito alimentare». Nella zona di Collemezzano già in passato erano stati rinvenuti reperti archeologici, «ecco perché - dice Taffi - durante i lavori sono stati concordati con la Soprintendenza sopralluoghi esplorativi».
Proprio durante uno di questi sopralluoghi, nei mesi scorsi è venuta alla luce una vasta area ricca di reperti. «Si tratta di una zona - dice Anna Maria Esposito, Soprintendente ai beni culturali di Firenze - ampia circa 400 metri quadrati. È stato ritrovato, circa 25 centimetri sotto il livello di campagna, quello che doveva essere il magazzioni e il quartiere artigianale di una villa romana, che presumibilmente doveva trovarsi spostata verso il mare rispetto a questa zona. Sono reperti interessanti, c’è un piano cottura di una fornace e molti contenitori in coccio pesto che fanno pensare che lì si trovasse un magazzino per l’accumulo e la lavorazione degli alimenti».
Dopo il sopralluogo la cooperativa fiorentina Archeologia ha effettuato gli scavi necessari, che appunto hanno fatto emergere gli antichi reperti. «I ritrovamenti sono stati ricoperti - prosegue Esposito - con i materiali adeguati, l’area è stata interdetta ai lavori». Una volta terminata la costruzione del centro benessere i reperti andranno a far parte di un percorso esterno alla struttura. «Pensiamo di evidenziare l’area - dice Taffi -, lasciandola visibile a fianco di un camminamento che si snoderà fuori dal complesso del centro benessere». (a.c.)
"Quella sala da pranzo di Nerone era sul torrione del Palatino"
"Quella sala da pranzo di Nerone era sul torrione del Palatino"
CARLO ALBERTO BUCCI
VENERDÌ, 27 NOVEMBRE 2009 la repubblica - Roma
L´archeologa Maria Antonietta Tomei si difende dalle critiche di Andrea Carandini
"Me la immagino rotante, come il Fungo all´Eur". La prova in un´antica medaglia
«Nella vita di Nerone Svetonio la descrive "Praecipua cenationum rotunda". Precipua vuol dire straordinaria. E io me la immagino così: una sala da pranzo rotante, come quella dei ristoranti moderni, tipo il Fungo all´Eur».
L´archeologa della Soprintendenza Maria Antonietta Tomei dirige gli scavi sul Palatino. E difende dalle critiche di Andrea Carandini l´interpretazione come coenatio rotunda del possente "torrione" ritrovato questa estate sull´angolo del colle che s´affaccia sul Colosseo: piana che, ai tempi di Nerone, era occupata dal lago artificiale inserito nella Domus aurea.
Il professor Carandini la settimana scorsa su queste pagine aveva criticato questa ricostruzione. Per l´archeologo della Sapienza la coenatio va cercata a valle (la domus neroniana a suo avviso non comprendeva le parti alte di Palatino e Oppio) mentre la "torre" è venuta alla luce dove sono citati i giardini di Adone ai tempi di Domiziano, «ma forse già negli anni di Nerone». La Tomei, e l´archeologa Françoise Villedieu, che esegue gli scavi, sono invece convinte che il progredire delle ricerche potrà dire di più e meglio. E si apprestano ad eseguire un carotaggio del corpo centrale per avere una conferma del suo ruolo di perno del tavolato superiore rotante, andato perduto. «Molti altri scavi sul Palatino stanno confermando del resto che la domus di Nerone, come quelle dei suoi predecessori, a partire da Augusto, si trovava sul Palatino - sottolinea l´italiana - . E che senso avrebbe avuto una sala girevole a valle? Doveva essere su un belvedere, e il terrapieno che stiamo scavando lo è».
E i giardini di Adone citati da Carandini? «Si trattava di architetture verdi, leggere, con essenze arboree effimere, nelle quali male si colloca la possente struttura che stiamo liberando dalla terra che l´ha sepolta» spiega la studiosa francese. La Villedieu mette sul tavolo anche una moneta d´età neroriana in cui appare un edificio particolare. «Le lettere MAC secondo alcuni vogliono dire Macellum ma per altri Machina. E Machina Augusti potrebbe essere la "nostra" coenatio. Nella moneta si vede un corpo centrale ed è possibile che sopra ci fosse il piano rotante».
Anche Adriano La Regina era rimasto scettico davanti all´interpretazione dell´importante, inedita, misteriosa "torre" di Nerone. Per l´archeologo, tra l´altro, i 16 metri di diametro sono pochi per quella che Svetonio definisce la «sala da pranzo principale». La Tomei la pensa diversamente. «Proprio perché mobile, non poteva essere troppo pesante. Ma vogliamo andare rapidamente avanti con gli scavi per liberare la torre dai detriti e dai dubbi». Se attaccati alla "torre-ruota" venissero fuori altri ambienti della domus, potrebbe davvero essere la sala che, ricorda Svetonio, «girava continuamente, giorno e notte, su se stessa, come il mondo».
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nel disegno raffigurazione del Monte Palatino (disegno dal nostro archivio)
VENERDÌ, 27 NOVEMBRE 2009 la repubblica - Roma
L´archeologa Maria Antonietta Tomei si difende dalle critiche di Andrea Carandini
"Me la immagino rotante, come il Fungo all´Eur". La prova in un´antica medaglia
«Nella vita di Nerone Svetonio la descrive "Praecipua cenationum rotunda". Precipua vuol dire straordinaria. E io me la immagino così: una sala da pranzo rotante, come quella dei ristoranti moderni, tipo il Fungo all´Eur».
L´archeologa della Soprintendenza Maria Antonietta Tomei dirige gli scavi sul Palatino. E difende dalle critiche di Andrea Carandini l´interpretazione come coenatio rotunda del possente "torrione" ritrovato questa estate sull´angolo del colle che s´affaccia sul Colosseo: piana che, ai tempi di Nerone, era occupata dal lago artificiale inserito nella Domus aurea.
Il professor Carandini la settimana scorsa su queste pagine aveva criticato questa ricostruzione. Per l´archeologo della Sapienza la coenatio va cercata a valle (la domus neroniana a suo avviso non comprendeva le parti alte di Palatino e Oppio) mentre la "torre" è venuta alla luce dove sono citati i giardini di Adone ai tempi di Domiziano, «ma forse già negli anni di Nerone». La Tomei, e l´archeologa Françoise Villedieu, che esegue gli scavi, sono invece convinte che il progredire delle ricerche potrà dire di più e meglio. E si apprestano ad eseguire un carotaggio del corpo centrale per avere una conferma del suo ruolo di perno del tavolato superiore rotante, andato perduto. «Molti altri scavi sul Palatino stanno confermando del resto che la domus di Nerone, come quelle dei suoi predecessori, a partire da Augusto, si trovava sul Palatino - sottolinea l´italiana - . E che senso avrebbe avuto una sala girevole a valle? Doveva essere su un belvedere, e il terrapieno che stiamo scavando lo è».
E i giardini di Adone citati da Carandini? «Si trattava di architetture verdi, leggere, con essenze arboree effimere, nelle quali male si colloca la possente struttura che stiamo liberando dalla terra che l´ha sepolta» spiega la studiosa francese. La Villedieu mette sul tavolo anche una moneta d´età neroriana in cui appare un edificio particolare. «Le lettere MAC secondo alcuni vogliono dire Macellum ma per altri Machina. E Machina Augusti potrebbe essere la "nostra" coenatio. Nella moneta si vede un corpo centrale ed è possibile che sopra ci fosse il piano rotante».
Anche Adriano La Regina era rimasto scettico davanti all´interpretazione dell´importante, inedita, misteriosa "torre" di Nerone. Per l´archeologo, tra l´altro, i 16 metri di diametro sono pochi per quella che Svetonio definisce la «sala da pranzo principale». La Tomei la pensa diversamente. «Proprio perché mobile, non poteva essere troppo pesante. Ma vogliamo andare rapidamente avanti con gli scavi per liberare la torre dai detriti e dai dubbi». Se attaccati alla "torre-ruota" venissero fuori altri ambienti della domus, potrebbe davvero essere la sala che, ricorda Svetonio, «girava continuamente, giorno e notte, su se stessa, come il mondo».
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nel disegno raffigurazione del Monte Palatino (disegno dal nostro archivio)
mercoledì 25 novembre 2009
L’Ara Pacis ritrova i colori. Caleidoscopio con led a basso consumo sui marmi antichi
L’Ara Pacis ritrova i colori. Caleidoscopio con led a basso consumo sui marmi antichi
21-11-2009, CORRIERE DELLA SERA
L’evento Domani sera dalle 22 a mezzanotte l’esperimento di luce che potrà essere ripetuto
L’imperatore Augusto, redivivo per l’occasione, non avrebbe nulla da eccepire. Ammaliato dall’artificio tecnologico, approverebbe il caleidoscopio acceso sui marmi antichi: ne è convinto Umberto Broccoli, sovrintendente capitolino ai Beni culturali, entusiasta del progetto «L’Ara Pacis a colori» che domani (alle 21 per gli addetti ai lavori, dalle 22 a mezzanotte per il grande pubblico) animerà il monumento. L’iniziativa, realizzata con il contributo di Gros (Gruppo romano supermercati), è nel solco di un esperimento analogo: l’animazione del fronte occidentale, il 23 settembre dell’anno scorso, per festeggiare il compleanno di Ottaviano. «Un successo – ricorda Broccoli – con i torpedoni di giapponesi fermi davanti alla teca illuminata. L’evento ha avuto un’eco incredibile sulla stampa internazionale». Motivo in più per tentare il bis e rilanciare: il software con led a basso consumo, messo a punto da un team di esperti, farà rivivere le cromie originarie dei bassorilievi. Bando ai camouflage spettacolari, le tinte si atterranno ai risultati delle analisi svolte dai laboratori scientifici dei Musei Vaticani. Non solo. I test sul reperto sono avvalorati dal confronto con la pittura pompeiana e con opere più tarde. Risultato: la lorica di Marte tornerà a vibrare di un rosso sanguigno, mentre il grande fregio vegetale si accenderà di mille sfumature. Novità, la tavolozza digitale colorerà anche il lato posteriore. Tra le esperienze più affascinanti, la ricostruzione virtuale del pannello con l’effigie della Dea Roma: «È rimasto solo un brandello smozzicato e le figure che si immagina lo affiancassero – anticipa il sovrintendente – appariranno per la prima volta». Vestiti di luci e tonalità, ora timbriche ora scialbate, anche gli altri fregi: di Enea che sacrifica ai Penati, del Lupercale e della Tellus. In dotazione permanente, il nuovo sistema potrà essere utilizzato in circostanze speciali, ad esempio per il Natale di Roma. «Stiamo pensando di sperimentarlo anche sulla Colonna Traiana – rivela Umberto Croppi, titolare della Cultura – per una fruizione stimolante, in linea con le nuove modalità di approccio ai contenuti tradizionali ». Formula vincente, valuta Croppi, se il circuito dei musei romani ha registrato un aumento dei visitatori dell’8 per cento. Francesco Marcolini, presidente di Zètema, plaude al connubio virtuoso pubblico-privato: «Abbiamo concluso un accordo con Federlazio per collaborare al recupero dei monumenti storici e alla valorizzazione del patrimonio ».
Maria Egizia Fiaschetti
21-11-2009, CORRIERE DELLA SERA
L’evento Domani sera dalle 22 a mezzanotte l’esperimento di luce che potrà essere ripetuto
L’imperatore Augusto, redivivo per l’occasione, non avrebbe nulla da eccepire. Ammaliato dall’artificio tecnologico, approverebbe il caleidoscopio acceso sui marmi antichi: ne è convinto Umberto Broccoli, sovrintendente capitolino ai Beni culturali, entusiasta del progetto «L’Ara Pacis a colori» che domani (alle 21 per gli addetti ai lavori, dalle 22 a mezzanotte per il grande pubblico) animerà il monumento. L’iniziativa, realizzata con il contributo di Gros (Gruppo romano supermercati), è nel solco di un esperimento analogo: l’animazione del fronte occidentale, il 23 settembre dell’anno scorso, per festeggiare il compleanno di Ottaviano. «Un successo – ricorda Broccoli – con i torpedoni di giapponesi fermi davanti alla teca illuminata. L’evento ha avuto un’eco incredibile sulla stampa internazionale». Motivo in più per tentare il bis e rilanciare: il software con led a basso consumo, messo a punto da un team di esperti, farà rivivere le cromie originarie dei bassorilievi. Bando ai camouflage spettacolari, le tinte si atterranno ai risultati delle analisi svolte dai laboratori scientifici dei Musei Vaticani. Non solo. I test sul reperto sono avvalorati dal confronto con la pittura pompeiana e con opere più tarde. Risultato: la lorica di Marte tornerà a vibrare di un rosso sanguigno, mentre il grande fregio vegetale si accenderà di mille sfumature. Novità, la tavolozza digitale colorerà anche il lato posteriore. Tra le esperienze più affascinanti, la ricostruzione virtuale del pannello con l’effigie della Dea Roma: «È rimasto solo un brandello smozzicato e le figure che si immagina lo affiancassero – anticipa il sovrintendente – appariranno per la prima volta». Vestiti di luci e tonalità, ora timbriche ora scialbate, anche gli altri fregi: di Enea che sacrifica ai Penati, del Lupercale e della Tellus. In dotazione permanente, il nuovo sistema potrà essere utilizzato in circostanze speciali, ad esempio per il Natale di Roma. «Stiamo pensando di sperimentarlo anche sulla Colonna Traiana – rivela Umberto Croppi, titolare della Cultura – per una fruizione stimolante, in linea con le nuove modalità di approccio ai contenuti tradizionali ». Formula vincente, valuta Croppi, se il circuito dei musei romani ha registrato un aumento dei visitatori dell’8 per cento. Francesco Marcolini, presidente di Zètema, plaude al connubio virtuoso pubblico-privato: «Abbiamo concluso un accordo con Federlazio per collaborare al recupero dei monumenti storici e alla valorizzazione del patrimonio ».
Maria Egizia Fiaschetti
I magnifici colori del «divo» Augusto
I magnifici colori del «divo» Augusto
Eleonora Sannibale
Il Tempo (Roma) 23/11/2009
I colori dell'Ara Pacis illuminano Roma. Ieri sera, grazie a un'iniziativa promossa dal Comune in collaborazione con la catena di supermercati Gros e l'azienda capitolina Zetema, gli antichi marmi dell'altare di Augusto sono tornati a splendere. Una folla di turisti, curiosi e nomi del jet set romano non sono mancati a questo imperdibile appuntamento con l'arte. L'evento, a ingresso gratuito, si è diviso in due momenti, il primo dedicato agli addetti al lavori, il secondo ai cittadini. Alle ore 21, l'accensione dei proiettori, sulle note della colonna sonora de «Il gladiatore», alla presenza del sovrintendente Umberto Broccoli. Per mezzo di un sofisticato sistema di illuminazione virtuale, costato 70 mila euro, i rilievi marmorei del recinto esterno hanno riacquistato gli originari colori, o meglio quelle che gli esperti ritengono essere le antiche tonalità delle sculture. Così, i pannelli raffiguranti «Enea sacrificante ai Penati», il «Lupercale», la «Tellus», la «Dea Roma» e ancora il grande fregio vegetale, sono stati ammirati per la prima volta dal pubblico nelle loro sfumature di rosso pompeiano, di verde e di azzurro. L'esperimento, tentato nel biennio 2007/2008, è stato mostrato con successo il 23 settembre dello stesso anno, giorno del Natale di Augusto. L'intenzione dell'assessorato alla Cultura e della sovrintendenza comunale è di illuminare di nuovo le pareti dell'Ara Pacis in altre occasioni legate alla storia della città. È stato proprio il titolare della sovrintendenza ai Beni culturali del Campidoglio, Umberto Broccoli ad auspicare la prossima accensione dei «riflettori» il 21 aprile 2010, in occasione del Simposio delle religioni mediterranee, ipotizzato dal sindaco Gianni Alemanno. Dalla presentazione dell'esperimento nel 2008 a oggi, è stato effettuato un nuovo ciclo di ricerche per affinare la tecnica di proiezione, eseguite dai laboratori scientifici dei Musei Vaticani. Gli esperti, in questo lasso di tempo, hanno potuto verificare senza ombra di dubbio l'esistenza di colore sull'altare e su alcuni suoi frammenti mai restaurati, perché non reinseriti nella ricostruzione eseguita nel 1938. La scelta delle singole tinte è stata operata sulla base di confronti con la pittura romana, specialmente pompeiana, studi condotti su monumenti più recenti e influenzati dall'Ara Pacis, e ricerche cromatiche svolte sulle architetture e sulla scultura grecoromana. In particolare, come precisato dal responsabile delle aree archeologiche del centro storico, Giovanni Caruso, si è scelto di rafforzare l'intensità dei colori come gli azzurri, i verdi del fregio vegetale e i rossi della corazza di Marte e della tunica di Madre Terra. Inoltre, studi approfonditi hanno evidenziato la grande quantità di elementi arborei come ramoscelli, viticci e palmette, tra cui trovano spazio piccoli animali.
Eleonora Sannibale
Il Tempo (Roma) 23/11/2009
I colori dell'Ara Pacis illuminano Roma. Ieri sera, grazie a un'iniziativa promossa dal Comune in collaborazione con la catena di supermercati Gros e l'azienda capitolina Zetema, gli antichi marmi dell'altare di Augusto sono tornati a splendere. Una folla di turisti, curiosi e nomi del jet set romano non sono mancati a questo imperdibile appuntamento con l'arte. L'evento, a ingresso gratuito, si è diviso in due momenti, il primo dedicato agli addetti al lavori, il secondo ai cittadini. Alle ore 21, l'accensione dei proiettori, sulle note della colonna sonora de «Il gladiatore», alla presenza del sovrintendente Umberto Broccoli. Per mezzo di un sofisticato sistema di illuminazione virtuale, costato 70 mila euro, i rilievi marmorei del recinto esterno hanno riacquistato gli originari colori, o meglio quelle che gli esperti ritengono essere le antiche tonalità delle sculture. Così, i pannelli raffiguranti «Enea sacrificante ai Penati», il «Lupercale», la «Tellus», la «Dea Roma» e ancora il grande fregio vegetale, sono stati ammirati per la prima volta dal pubblico nelle loro sfumature di rosso pompeiano, di verde e di azzurro. L'esperimento, tentato nel biennio 2007/2008, è stato mostrato con successo il 23 settembre dello stesso anno, giorno del Natale di Augusto. L'intenzione dell'assessorato alla Cultura e della sovrintendenza comunale è di illuminare di nuovo le pareti dell'Ara Pacis in altre occasioni legate alla storia della città. È stato proprio il titolare della sovrintendenza ai Beni culturali del Campidoglio, Umberto Broccoli ad auspicare la prossima accensione dei «riflettori» il 21 aprile 2010, in occasione del Simposio delle religioni mediterranee, ipotizzato dal sindaco Gianni Alemanno. Dalla presentazione dell'esperimento nel 2008 a oggi, è stato effettuato un nuovo ciclo di ricerche per affinare la tecnica di proiezione, eseguite dai laboratori scientifici dei Musei Vaticani. Gli esperti, in questo lasso di tempo, hanno potuto verificare senza ombra di dubbio l'esistenza di colore sull'altare e su alcuni suoi frammenti mai restaurati, perché non reinseriti nella ricostruzione eseguita nel 1938. La scelta delle singole tinte è stata operata sulla base di confronti con la pittura romana, specialmente pompeiana, studi condotti su monumenti più recenti e influenzati dall'Ara Pacis, e ricerche cromatiche svolte sulle architetture e sulla scultura grecoromana. In particolare, come precisato dal responsabile delle aree archeologiche del centro storico, Giovanni Caruso, si è scelto di rafforzare l'intensità dei colori come gli azzurri, i verdi del fregio vegetale e i rossi della corazza di Marte e della tunica di Madre Terra. Inoltre, studi approfonditi hanno evidenziato la grande quantità di elementi arborei come ramoscelli, viticci e palmette, tra cui trovano spazio piccoli animali.
L'originaria policromia del monumento ricostruita attraverso la luce. I marmi dell'Ara Pacis s'illuminano di colori.
L'originaria policromia del monumento ricostruita attraverso la luce. I marmi dell'Ara Pacis s'illuminano di colori.
ANTONIO VENDITTI e CINZIA DAL MASO
ITALIA SERA – 24 novembre 2009
L'algido nitore di statue e monumenti antichi cui l'azione scialbante del tempo e il gusto neoclassico ci hanno abituato non rispecchia il gusto dei nostri progenitori: quello dei romani era un mondo a colori, dal momento che monumenti e opere d'arte erano dipinti. Proprio come l'Ara Pacis di Augusto, che domenica sera ha suscitato emozione e meraviglia in tutti coloro che l'hanno potuta ammirare in una policromia vicina a quella originaria, grazie a una nuovo sistema di illuminazione. Sull'ipotesi della colorazione originaria dell'Ara Pacis ha lavorato un gruppo di studio formatosi in occasione dell'allestimento del museo progettato da Richard Meier, che ha realizzato un modello tridimensionale dell'altare su cui è stata applicata una restituzione del colore realizzata in base a criteri filologici e storico-stilistici. Da questo modello è nata l'idea di proiettare direttamente sulle superfici dell'altare raggi di luce colorata, in modo tale da far rivivere, senza rischio per la conservazione del monumento, l'aspetto del monumento in epoca antica. Dopo le prime prove di proiezione del 2007 e del 2008, ora sono stati illuminati a colori sia il fronte occidentale, con i pannelli di Enea sacrificante ai Penati e del Lupercale, sia quello orientale con i pannelli della Tellus e della Dea Roma sul fronte orientale, oltre al grande fregio vegetale su entrambi i fronti. La tecnica di proiezione è stata aggiornata e rinnovata grazie a proiettori digitali che consentono di modificare e modulare i profili e i colori in tempo reale. Anche se gli oltre mille anni di permanenza nel sottosuolo del Campo Marzio hanno cancellato dal monumento dell'Ara Pacis il colore, è stato possibile reperirne le tracce attraverso analisi chimiche e spettroscopiche eseguite dai laboratori scientifici dei Musei Vaticani per conto della Sovraintendenza ai Beni culturali del Comune di Roma sull'altare e su alcuni suoi frammenti mai restaurati in quanto non inseriti nella ricostruzione del 1938. La scelta delle singole tinte per l'Ara Pacis a colori è stata operata sulla base di confronti con la pittura romana, specialmente pompeiana, studi condotti su monumenti più tardi ma influenzati dall'Ara Pacis e ricerche cromatiche svolte sulle architetture e sulla scultura grecoromana. Particolare attenzione è stata dedicata al grande fregio vegetale, capolavoro assoluto dell'arte decorativa romana. Per questo, la cattedra di Botanica dell'Università degli Studi di Roma Tre si è impegnata in un dettagliato riconoscimento delle specie rappresentate, riuscendo a individuarne oltre settanta. La colorazione, quindi, risulta impostata su una base di veridicità, rispettando i colori naturali delle piante raffigurate. Lo scopo dell'iniziativa, promossa dal Comune di Roma, assessorato alle Politiche culturali della Comunicazione, Sovraintendenza ai Beni culturali e realizzata grazie al contributo del GROS - Gruppo Romano Supermercati, con l'organizzazione di Zètema Progetto Cultura, è stato restituire, seppure in via ipotetica, l'aspetto originale dell'Ara Pacis: non è stato proiettato sulle superfici solo il colore delle parti pervenute, ma sono state anche completate le parti perdute secondo ipotesi condivise e acquisizioni consolidate. Ora l'Ara Pacis ha spiegato Umberto Broccoli, sovrintendente ai Beni culturali del Comune di Roma ha questo sistema di illuminazione fisso, che si potrà nuovamente accendere in particolari occasioni. La ricostruzione ipotetica del colore per ciascuno dei quattro principali pannelli dell'Ara ha coinvolto numerose competenze: Orietta Rossini per l'ideazione della ricostruzione del colore e delle proiezioni; Stefano Borghini, Raffaele Carlani per lo studio del colore; Giulia Caneva, Paolo Liverani, Eugenio La Rocca, Alessandro Viscogliosi quali consulenti; Ulderico Santamaria per le analisi scientifiche e di laboratorio; Angelo Merante per la restituzione in grafica digitale; Renata Piccininni per il coordinamento; Enzo Serrani per l'allestimento; Stefano Castellani per il rilievo fotografico; Gianluca Zanzi per la collaborazione tecnico-scientifica; Studio V7 per la realizzazione. Dell'argomento si parlerà a Nuova Spazio Radio (88.100 Mz), nel corso dell'Intervista possibile di Questa è Roma, il programma ideato e condotto da Maria Pia Partisani, in studio con Livia Ventimiglia il sabato dalle 10 alle 11.
ANTONIO VENDITTI e CINZIA DAL MASO
ITALIA SERA – 24 novembre 2009
L'algido nitore di statue e monumenti antichi cui l'azione scialbante del tempo e il gusto neoclassico ci hanno abituato non rispecchia il gusto dei nostri progenitori: quello dei romani era un mondo a colori, dal momento che monumenti e opere d'arte erano dipinti. Proprio come l'Ara Pacis di Augusto, che domenica sera ha suscitato emozione e meraviglia in tutti coloro che l'hanno potuta ammirare in una policromia vicina a quella originaria, grazie a una nuovo sistema di illuminazione. Sull'ipotesi della colorazione originaria dell'Ara Pacis ha lavorato un gruppo di studio formatosi in occasione dell'allestimento del museo progettato da Richard Meier, che ha realizzato un modello tridimensionale dell'altare su cui è stata applicata una restituzione del colore realizzata in base a criteri filologici e storico-stilistici. Da questo modello è nata l'idea di proiettare direttamente sulle superfici dell'altare raggi di luce colorata, in modo tale da far rivivere, senza rischio per la conservazione del monumento, l'aspetto del monumento in epoca antica. Dopo le prime prove di proiezione del 2007 e del 2008, ora sono stati illuminati a colori sia il fronte occidentale, con i pannelli di Enea sacrificante ai Penati e del Lupercale, sia quello orientale con i pannelli della Tellus e della Dea Roma sul fronte orientale, oltre al grande fregio vegetale su entrambi i fronti. La tecnica di proiezione è stata aggiornata e rinnovata grazie a proiettori digitali che consentono di modificare e modulare i profili e i colori in tempo reale. Anche se gli oltre mille anni di permanenza nel sottosuolo del Campo Marzio hanno cancellato dal monumento dell'Ara Pacis il colore, è stato possibile reperirne le tracce attraverso analisi chimiche e spettroscopiche eseguite dai laboratori scientifici dei Musei Vaticani per conto della Sovraintendenza ai Beni culturali del Comune di Roma sull'altare e su alcuni suoi frammenti mai restaurati in quanto non inseriti nella ricostruzione del 1938. La scelta delle singole tinte per l'Ara Pacis a colori è stata operata sulla base di confronti con la pittura romana, specialmente pompeiana, studi condotti su monumenti più tardi ma influenzati dall'Ara Pacis e ricerche cromatiche svolte sulle architetture e sulla scultura grecoromana. Particolare attenzione è stata dedicata al grande fregio vegetale, capolavoro assoluto dell'arte decorativa romana. Per questo, la cattedra di Botanica dell'Università degli Studi di Roma Tre si è impegnata in un dettagliato riconoscimento delle specie rappresentate, riuscendo a individuarne oltre settanta. La colorazione, quindi, risulta impostata su una base di veridicità, rispettando i colori naturali delle piante raffigurate. Lo scopo dell'iniziativa, promossa dal Comune di Roma, assessorato alle Politiche culturali della Comunicazione, Sovraintendenza ai Beni culturali e realizzata grazie al contributo del GROS - Gruppo Romano Supermercati, con l'organizzazione di Zètema Progetto Cultura, è stato restituire, seppure in via ipotetica, l'aspetto originale dell'Ara Pacis: non è stato proiettato sulle superfici solo il colore delle parti pervenute, ma sono state anche completate le parti perdute secondo ipotesi condivise e acquisizioni consolidate. Ora l'Ara Pacis ha spiegato Umberto Broccoli, sovrintendente ai Beni culturali del Comune di Roma ha questo sistema di illuminazione fisso, che si potrà nuovamente accendere in particolari occasioni. La ricostruzione ipotetica del colore per ciascuno dei quattro principali pannelli dell'Ara ha coinvolto numerose competenze: Orietta Rossini per l'ideazione della ricostruzione del colore e delle proiezioni; Stefano Borghini, Raffaele Carlani per lo studio del colore; Giulia Caneva, Paolo Liverani, Eugenio La Rocca, Alessandro Viscogliosi quali consulenti; Ulderico Santamaria per le analisi scientifiche e di laboratorio; Angelo Merante per la restituzione in grafica digitale; Renata Piccininni per il coordinamento; Enzo Serrani per l'allestimento; Stefano Castellani per il rilievo fotografico; Gianluca Zanzi per la collaborazione tecnico-scientifica; Studio V7 per la realizzazione. Dell'argomento si parlerà a Nuova Spazio Radio (88.100 Mz), nel corso dell'Intervista possibile di Questa è Roma, il programma ideato e condotto da Maria Pia Partisani, in studio con Livia Ventimiglia il sabato dalle 10 alle 11.
Via al cantiere del nuovo ospedale. Sopralluogo nell’area del ritrovamento delle fornaci romane.
Via al cantiere del nuovo ospedale. Sopralluogo nell’area del ritrovamento delle fornaci romane. La soprintendente Poggesi: «Scoperta importante»
MARTINA ALTIGERI
MERCOLEDÌ, 25 NOVEMBRE 2009 IL TIRRENO - Prato
Tra un mese partiranno i lavori che potrebbero terminare in due anni e mezzo
Le strutture saranno restaurate e messe in sicurezza ma dipenderà dai finanziamenti se sarannno lasciate alla fruizione pubblica
PRATO. Via libera alla costruzione del nuovo ospedale di Prato. Dopo anni di attesa e inaspettate scoperte archeologiche, entro un mese partiranno i lavori di scavo e la successiva posa della prima pietra. L’annuncio è stato fatto ieri dal direttore generale dell’Asl, Bruno Cravedi, in occasione della presentazione degli antichi reperti rinvenuti a San Paolo nello spazio di realizzazione della struttura sanitaria.
«L’area è stata tutta bonificata, è stata liberata dalle piante che erano presenti e sono state già tracciate le vie di cantiere - ha detto il direttore Cravedi - Nei prossimi giorni saranno avviati i lavori per l’alloggiamento degli operai e poi saremo pronti per partire». Se tutto filerà liscio come oggi, senza avere cioè vincoli né da parte del Comune né della Soprintendenza ai beni archeologici, tra due anni e mezzo Prato potrebbe già avere il suo nuovo ospedale.
I ritrovamenti archeologici, venuti alla luce in seguito ai saggi nel terreno della scorsa estate, sono di importante valore storico e fortunatamente non intralceranno la creazione del grande edificio ospedaliero.
La soprintendente Gabriella Poggesi ha infatti spiegato che «le situazioni archeologiche sono collocate in due zone in cui non è prevista la costruzione, ma destinate invece già dal progetto ad aree verdi» e questo consentirà di procedere e di decidere con serenità la loro futura destinazione.
Qui sono stati trovati un percorso stradale della lunghezza di 120 metri di età romano-imperiale e un gruppo di fornaci, sempre di epoca romana, per la realizzazione di laterizi e di ceramica di uso comune.
«Si tratta di un’importante scoperta - ha commentato Poggesi - poiché queste sono le uniche fornaci note e così ben conservate nell’area tra Firenze, Prato e Pistoia destinate a questo tipo di materiali». Un esempio simile è stato rinvenuto nella zona di Scandicci, ma veniva utilizzato solo per la produzione di anfore da vino.
I ritrovamenti sono stati possibili grazie alle procedure di bonifica che regolarmente la Soprintendenza deve compiere quando si avviano grandi cantieri.
L’intercettazione di eventuali ordigni bellici ha portato questa volta a individuare un “tesoro sotterraneo” di cui si ignorava l’esistenza e ha permesso di aggiungere un tassello al percorso della storia pratese. La strada non è in un buono stato di conservazione e così è stato deciso di ricoprirla, le fornaci invece hanno una bella struttura riconoscibile e vede il gruppo di esperti della Società Archeologica del Centro Italia lavorare con attenzione per la ripulitura degli antichi ambienti.
«E’ molto probabile che qui esistesse un quartiere artigianale di produzione della ceramica con una strada limitrofa per far arrivare il materiale - ha detto la soprintendente - Non siamo distanti neppure dalla località di Sant’Ippolito in Strada e già il nome fa pensare che vi fosse la vicinanza di un asse stradale o addirittura della Cassia. E’ probabile che questo fosse un luogo comodo per i collegamenti».
Il futuro di questi resti archeologici dipenderà molto dalle finanze pubbliche. E’ certo che i ritrovamenti verranno tutelati attraverso il restauro, la documentazione e la loro messa in sicurezza, ma è prematuro dire se saranno valorizzati e lasciati alla fruizione del pubblico.
La soprintendente e il direttore generale non si sbilanciano, ma la possibilità di poter creare un’integrazione tra i servizi ospedalieri e l’ambiente esterno, con attività didattiche rivolte anche alle scuole, solletica i loro pensieri.
MARTINA ALTIGERI
MERCOLEDÌ, 25 NOVEMBRE 2009 IL TIRRENO - Prato
Tra un mese partiranno i lavori che potrebbero terminare in due anni e mezzo
Le strutture saranno restaurate e messe in sicurezza ma dipenderà dai finanziamenti se sarannno lasciate alla fruizione pubblica
PRATO. Via libera alla costruzione del nuovo ospedale di Prato. Dopo anni di attesa e inaspettate scoperte archeologiche, entro un mese partiranno i lavori di scavo e la successiva posa della prima pietra. L’annuncio è stato fatto ieri dal direttore generale dell’Asl, Bruno Cravedi, in occasione della presentazione degli antichi reperti rinvenuti a San Paolo nello spazio di realizzazione della struttura sanitaria.
«L’area è stata tutta bonificata, è stata liberata dalle piante che erano presenti e sono state già tracciate le vie di cantiere - ha detto il direttore Cravedi - Nei prossimi giorni saranno avviati i lavori per l’alloggiamento degli operai e poi saremo pronti per partire». Se tutto filerà liscio come oggi, senza avere cioè vincoli né da parte del Comune né della Soprintendenza ai beni archeologici, tra due anni e mezzo Prato potrebbe già avere il suo nuovo ospedale.
I ritrovamenti archeologici, venuti alla luce in seguito ai saggi nel terreno della scorsa estate, sono di importante valore storico e fortunatamente non intralceranno la creazione del grande edificio ospedaliero.
La soprintendente Gabriella Poggesi ha infatti spiegato che «le situazioni archeologiche sono collocate in due zone in cui non è prevista la costruzione, ma destinate invece già dal progetto ad aree verdi» e questo consentirà di procedere e di decidere con serenità la loro futura destinazione.
Qui sono stati trovati un percorso stradale della lunghezza di 120 metri di età romano-imperiale e un gruppo di fornaci, sempre di epoca romana, per la realizzazione di laterizi e di ceramica di uso comune.
«Si tratta di un’importante scoperta - ha commentato Poggesi - poiché queste sono le uniche fornaci note e così ben conservate nell’area tra Firenze, Prato e Pistoia destinate a questo tipo di materiali». Un esempio simile è stato rinvenuto nella zona di Scandicci, ma veniva utilizzato solo per la produzione di anfore da vino.
I ritrovamenti sono stati possibili grazie alle procedure di bonifica che regolarmente la Soprintendenza deve compiere quando si avviano grandi cantieri.
L’intercettazione di eventuali ordigni bellici ha portato questa volta a individuare un “tesoro sotterraneo” di cui si ignorava l’esistenza e ha permesso di aggiungere un tassello al percorso della storia pratese. La strada non è in un buono stato di conservazione e così è stato deciso di ricoprirla, le fornaci invece hanno una bella struttura riconoscibile e vede il gruppo di esperti della Società Archeologica del Centro Italia lavorare con attenzione per la ripulitura degli antichi ambienti.
«E’ molto probabile che qui esistesse un quartiere artigianale di produzione della ceramica con una strada limitrofa per far arrivare il materiale - ha detto la soprintendente - Non siamo distanti neppure dalla località di Sant’Ippolito in Strada e già il nome fa pensare che vi fosse la vicinanza di un asse stradale o addirittura della Cassia. E’ probabile che questo fosse un luogo comodo per i collegamenti».
Il futuro di questi resti archeologici dipenderà molto dalle finanze pubbliche. E’ certo che i ritrovamenti verranno tutelati attraverso il restauro, la documentazione e la loro messa in sicurezza, ma è prematuro dire se saranno valorizzati e lasciati alla fruizione del pubblico.
La soprintendente e il direttore generale non si sbilanciano, ma la possibilità di poter creare un’integrazione tra i servizi ospedalieri e l’ambiente esterno, con attività didattiche rivolte anche alle scuole, solletica i loro pensieri.
venerdì 20 novembre 2009
Carandini: "Ma quale Domus aurea nella torre il culto della bellezza"
Carandini: "Ma quale Domus aurea nella torre il culto della bellezza"
CARLO ALBERTO BUCCI
MERCOLEDÌ, 18 NOVEMBRE 2009 LA REPUBBLICA - Roma
La tesi dell´archeologo che ha scavato il colle dove ebbe origine Roma. Che avverte: "L´importanza del ritrovamento non si discute. Però non era la sala da pranzo di Nerone"
Carandini: "Ma quale Nerone. Nella torre il culto della bellezza"
L´importanza del ritrovamento non si discute. «No, la struttura dal punto di vista edilizio è straordinaria e lo scavo è di grande importanza perché getta nuova luce su quell´angolo del Palatino» dice Andrea Carandini. Ma secondo l´archeologo la torre venuta alla luce a fine estate non è la sala da pranzo rotante (coenatio rotunda) di Nerone, come ipotizzato da altri studiosi. Ma forse la macchina per dare forma al rito di morte e resurrezione del dio della bellezza: Adone amato da Venere e venerato dalle donne romane.
Professore, perché smonta l´ipotesi di una sala rotante?
«L´idea delle sfere di ferro su cui avrebbe dovuto girare il piano in legno per me non regge. Di sale che ruotano le fonti ne ricordano bene due: quella descritta da Varrone nella sua villa a Cassino e il triclinio di Trimalcione raccontato da Petronio. E in entrambi i casi a girare era il soffitto, il cielo, non il pavimento».
Svetonio cita però la coenatio rotunda di Nerone...
«Sì, ma la indica altrove. Andrebbe cercata a valle non sulla sommità dei due colli della Domus Aurea: il Palatino e l´Oppio».
E allora a cosa serviva la torre appena scoperta?
«Era una torre, per l´appunto. Parte di un santuario. Di torri ai lati di giardini pensili se ne conoscono molte, basti pensare alla Rocca Bruna a villa Adriana. E anche questo angolo del Palatino, a ridosso della Vigna Barberini, era uno spazio verde dedicato al culto di Adone almeno dai tempi di Domiziano».
E Nerone?
«Lo scavo condotto da Françoise Villedieu dimostra che già sotto il suo impero fu realizzato un muro di terrazzamento, una struttura pensile con affaccio sul lago artificiale dove poi i Flavi eressero il Colosseo. Allora mi chiedo: ma non sarà che fu di Nerone il primo allestimento dei giardini di Adone?»
Che aggancio c´è con l´imperatore che nel 64 incendiò Roma?
«È Svetonio a dirci che Nerone aveva una passione smodata per la dea Siria. E Siria è Afrodite, ossia Venere ...»
Torniamo sulla torre ancora in parte interrata, se non è il perno di una sala che gira cosa può essere?
«Io ho un´ipotesi ma tutta da verificare e quindi sono pronto a rimangiarmela. Adone, come Osiride e come Cristo, muore e risorge. E i riti legati al suo culto prevedevano la presenza di una statua che veniva calata in una grotta per poi tornare alla luce, rinascere come il dio. Nello scavo sul Palatino c´è effettivamente una stanza che si apre al secondo piano ... Basta, è solo un´immagine di fantasia. Aspettiamo che gli archeologi finiscano il loro importante lavoro e poi potremo tornare a ragionare intorno a questo straordinario cilindro. Però non chiamiamolo coenatio rotunda».
CARLO ALBERTO BUCCI
MERCOLEDÌ, 18 NOVEMBRE 2009 LA REPUBBLICA - Roma
La tesi dell´archeologo che ha scavato il colle dove ebbe origine Roma. Che avverte: "L´importanza del ritrovamento non si discute. Però non era la sala da pranzo di Nerone"
Carandini: "Ma quale Nerone. Nella torre il culto della bellezza"
L´importanza del ritrovamento non si discute. «No, la struttura dal punto di vista edilizio è straordinaria e lo scavo è di grande importanza perché getta nuova luce su quell´angolo del Palatino» dice Andrea Carandini. Ma secondo l´archeologo la torre venuta alla luce a fine estate non è la sala da pranzo rotante (coenatio rotunda) di Nerone, come ipotizzato da altri studiosi. Ma forse la macchina per dare forma al rito di morte e resurrezione del dio della bellezza: Adone amato da Venere e venerato dalle donne romane.
Professore, perché smonta l´ipotesi di una sala rotante?
«L´idea delle sfere di ferro su cui avrebbe dovuto girare il piano in legno per me non regge. Di sale che ruotano le fonti ne ricordano bene due: quella descritta da Varrone nella sua villa a Cassino e il triclinio di Trimalcione raccontato da Petronio. E in entrambi i casi a girare era il soffitto, il cielo, non il pavimento».
Svetonio cita però la coenatio rotunda di Nerone...
«Sì, ma la indica altrove. Andrebbe cercata a valle non sulla sommità dei due colli della Domus Aurea: il Palatino e l´Oppio».
E allora a cosa serviva la torre appena scoperta?
«Era una torre, per l´appunto. Parte di un santuario. Di torri ai lati di giardini pensili se ne conoscono molte, basti pensare alla Rocca Bruna a villa Adriana. E anche questo angolo del Palatino, a ridosso della Vigna Barberini, era uno spazio verde dedicato al culto di Adone almeno dai tempi di Domiziano».
E Nerone?
«Lo scavo condotto da Françoise Villedieu dimostra che già sotto il suo impero fu realizzato un muro di terrazzamento, una struttura pensile con affaccio sul lago artificiale dove poi i Flavi eressero il Colosseo. Allora mi chiedo: ma non sarà che fu di Nerone il primo allestimento dei giardini di Adone?»
Che aggancio c´è con l´imperatore che nel 64 incendiò Roma?
«È Svetonio a dirci che Nerone aveva una passione smodata per la dea Siria. E Siria è Afrodite, ossia Venere ...»
Torniamo sulla torre ancora in parte interrata, se non è il perno di una sala che gira cosa può essere?
«Io ho un´ipotesi ma tutta da verificare e quindi sono pronto a rimangiarmela. Adone, come Osiride e come Cristo, muore e risorge. E i riti legati al suo culto prevedevano la presenza di una statua che veniva calata in una grotta per poi tornare alla luce, rinascere come il dio. Nello scavo sul Palatino c´è effettivamente una stanza che si apre al secondo piano ... Basta, è solo un´immagine di fantasia. Aspettiamo che gli archeologi finiscano il loro importante lavoro e poi potremo tornare a ragionare intorno a questo straordinario cilindro. Però non chiamiamolo coenatio rotunda».
domenica 15 novembre 2009
Un altro po' di Palatino. Apre (con riserva) la terrazza imperiale
Un altro po' di Palatino. Apre (con riserva) la terrazza imperiale
IL TEMPO 13/11/2009
Dice Andrea Carandini: «Che bello tornare qua, non ci venivo dal '47, quando avevo sette anni»
E batte con la mano la spalla del sovrintendente archeologico Bottini, l'uomo che ha lanciato l'sos dei Fori favorendone il commissariamento. Continua Carandini, avvicinandosi al parapetto: «Guarda là, il Circo Massimo. In che stato è il più grande monumento di Roma. E laggiù quel monte. C'era Albalonga, il luogo più sacro del Lazio. Ogni anno si andava a sacrificare un bue bianco. Ora c'è solo un'antenna militare». Ore 15, sole, un palcoscenico inibito al passeggio da più di mezzo secolo: è la terrazza nata dall'ampliamento del Palazzo Flavio, 4 mila metri quadrati dei 9 mila e passa complessivi. Un piazzale tra i ruderi, «il panorama più bello di Roma» - s'entusiasma Maria Antonietta Tomei, direttrice del Palatino - un percorso messo in sicurezza e finanziato con 156 mila euro, intervento terminato in 60 giorni. Ci sono i vertici dei Beni Culturali a salutare il nuovo itinerario, che si unisce a quello di Vigna Barberini, lo scenario mozzafiato di fronte al Colosseo dove poche settimane fa è stata rinvenuta la «camera da pranzo» di Nerone. Oltre a Carandini e a Bottini, il sottosegretario Giro, il commissario ai Fori, Cecchi, il direttore per la valorizzazione Mario Resca. Lo spiazzo si regge sulle arcate severiane, i grandi fornici che salgono su dal Circo Massimo, creati appunto per sostenere la terrazza. Accanto, le Terme, aggiunte da Settimio Severo. Una meraviglia che «aprirà presto», promettono gli archeologi. Ma quando non si sa: mancano i custodi.
IL TEMPO 13/11/2009
Dice Andrea Carandini: «Che bello tornare qua, non ci venivo dal '47, quando avevo sette anni»
E batte con la mano la spalla del sovrintendente archeologico Bottini, l'uomo che ha lanciato l'sos dei Fori favorendone il commissariamento. Continua Carandini, avvicinandosi al parapetto: «Guarda là, il Circo Massimo. In che stato è il più grande monumento di Roma. E laggiù quel monte. C'era Albalonga, il luogo più sacro del Lazio. Ogni anno si andava a sacrificare un bue bianco. Ora c'è solo un'antenna militare». Ore 15, sole, un palcoscenico inibito al passeggio da più di mezzo secolo: è la terrazza nata dall'ampliamento del Palazzo Flavio, 4 mila metri quadrati dei 9 mila e passa complessivi. Un piazzale tra i ruderi, «il panorama più bello di Roma» - s'entusiasma Maria Antonietta Tomei, direttrice del Palatino - un percorso messo in sicurezza e finanziato con 156 mila euro, intervento terminato in 60 giorni. Ci sono i vertici dei Beni Culturali a salutare il nuovo itinerario, che si unisce a quello di Vigna Barberini, lo scenario mozzafiato di fronte al Colosseo dove poche settimane fa è stata rinvenuta la «camera da pranzo» di Nerone. Oltre a Carandini e a Bottini, il sottosegretario Giro, il commissario ai Fori, Cecchi, il direttore per la valorizzazione Mario Resca. Lo spiazzo si regge sulle arcate severiane, i grandi fornici che salgono su dal Circo Massimo, creati appunto per sostenere la terrazza. Accanto, le Terme, aggiunte da Settimio Severo. Una meraviglia che «aprirà presto», promettono gli archeologi. Ma quando non si sa: mancano i custodi.
mercoledì 11 novembre 2009
Necropoli scoperta (e subito risotterrata)
Necropoli scoperta (e subito risotterrata)
CORRIERE DELLA SERA 9-11-2009
Cisterna Le 150 tombe non possono restare alla luce per mancanza di fondi
Affiorano i resti di una necropoli lungo la via Appia, nelle campagne di Cisterna di Latina. Centocinquanta tombe di epoca romana, resti umani molto ben conservati, e poi monete, anfore, vasi. Un tesoro scoperto qualche settimana fa, quando in un fondo privato sono stati avviati i sondaggi per la realizzazione di un impianto fotovoltaico, ma poi subito risotterrato per nasconderlo alla tentazione dei tombaroli. Forse verrà riesumato in primavera, quando smetterà di piovere e, soprattutto, ci sarà qualche soldo in più da investire negli scavi.
Siamo quasi all'ingresso del paese, in via Bufolareccia, sessanta chilometri da Roma. Poche centinaia di metri più in là ci sono gli antichi resti di Tres Tabernae, una stazione di posta risalente anch'essa al periodo romano e poi distrutta dai barbari nell'868. Vi soggiornò più volte anche Cicerone, che citò Tres Tabernae in alcune lettere. Ma in quel fazzoletto di terra lungo la via Appia si fermò anche San Paolo durante il viaggio da Tarso a Roma.
E proprio l'esempio di Tres Tabernae, un gioiello scoperto solo agli inizi degli anni Ottanta e depredato dai tombaroli, ha consigliato alla Soprintendenza ai beni archeologici di procedere con cautela: la necropoli per adesso resterà sotto terra, i lavori di scavo e valorizzazione dell' area verranno eseguiti più avanti. Dovrebbero interessare una superficie di circa due ettari.
Le tombe, secondo i primi rilievi effettuati dagli studiosi, sarebbero quasi tutte realizzate secondo uno schema alla cappuccina, che caratterizza i sepolcri più poveri: ogni tomba ha una copertura in laterizi disposti a doppio spiovente. Ma a ridosso della necropoli potrebbero esserci anche delle costruzioni, forse un insediamento con ricoveri per animali, ed è quello che stanno cercando di appurare in questa fase gli archeologi della Soprintendenza. «Certo avremmo preferito tenere nascosta la notizia per evitare di dare riferimenti ai cacciatori di reperti- spiega il sindaco di Cisterna, Antonello Merolla -. Stiamo valutando insieme alla Soprintendenza quali passi compiere. Ma servono soldi per scavare e adesso dobbiamo cercarli in fretta».
Paolo Sarandrea
CORRIERE DELLA SERA 9-11-2009
Cisterna Le 150 tombe non possono restare alla luce per mancanza di fondi
Affiorano i resti di una necropoli lungo la via Appia, nelle campagne di Cisterna di Latina. Centocinquanta tombe di epoca romana, resti umani molto ben conservati, e poi monete, anfore, vasi. Un tesoro scoperto qualche settimana fa, quando in un fondo privato sono stati avviati i sondaggi per la realizzazione di un impianto fotovoltaico, ma poi subito risotterrato per nasconderlo alla tentazione dei tombaroli. Forse verrà riesumato in primavera, quando smetterà di piovere e, soprattutto, ci sarà qualche soldo in più da investire negli scavi.
Siamo quasi all'ingresso del paese, in via Bufolareccia, sessanta chilometri da Roma. Poche centinaia di metri più in là ci sono gli antichi resti di Tres Tabernae, una stazione di posta risalente anch'essa al periodo romano e poi distrutta dai barbari nell'868. Vi soggiornò più volte anche Cicerone, che citò Tres Tabernae in alcune lettere. Ma in quel fazzoletto di terra lungo la via Appia si fermò anche San Paolo durante il viaggio da Tarso a Roma.
E proprio l'esempio di Tres Tabernae, un gioiello scoperto solo agli inizi degli anni Ottanta e depredato dai tombaroli, ha consigliato alla Soprintendenza ai beni archeologici di procedere con cautela: la necropoli per adesso resterà sotto terra, i lavori di scavo e valorizzazione dell' area verranno eseguiti più avanti. Dovrebbero interessare una superficie di circa due ettari.
Le tombe, secondo i primi rilievi effettuati dagli studiosi, sarebbero quasi tutte realizzate secondo uno schema alla cappuccina, che caratterizza i sepolcri più poveri: ogni tomba ha una copertura in laterizi disposti a doppio spiovente. Ma a ridosso della necropoli potrebbero esserci anche delle costruzioni, forse un insediamento con ricoveri per animali, ed è quello che stanno cercando di appurare in questa fase gli archeologi della Soprintendenza. «Certo avremmo preferito tenere nascosta la notizia per evitare di dare riferimenti ai cacciatori di reperti- spiega il sindaco di Cisterna, Antonello Merolla -. Stiamo valutando insieme alla Soprintendenza quali passi compiere. Ma servono soldi per scavare e adesso dobbiamo cercarli in fretta».
Paolo Sarandrea
Provincia, aprono nuovi scavi
Provincia, aprono nuovi scavi
IL TEMPO 11/11/2009
Palazzo Valentini Il 3 dicembre cerimonia con Napolitano
LONDRA Una grande area archeologica, un tesoro dell'antichità dal valore inestimabile, aprirà le porte ai turisti il prossimo 3 dicembre. A Palazzo Valentini, nei sotterranei della sede della Provincia di Roma. Il taglio del nastro sarà affidato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. A svelare il patrimonio archeologico risalente al II-IV secolo avanti Cristo è stato il presidente della Provincia Nicola Zingaretti che, accompagnato dall'assessore Patrizia Prestipino, ha presentato le ultime novità dell'offerta turistica romana al World Travel Market di Londra. Quest'area archeologica non è altro che l'ampliamento dei 1.800 metri quadrati aperti al pubblico nel 2004 che comprendevano già due domus romane e le «piccole terme di Traiano». La nuova scoperta, invece, ha portato alla luce un «frigidarium», struttura che si inserisce nel complesso termale, e un ambiente ad esso collegato con materiali preziosissimi in porfido, serpentino e marmo africano. Il tutto abbellito da decorazioni che ricalcano le domus più antiche di Ostia, come quella dell'Amore e Psiche del IV secolo. L'intero percorso sarà «multimediale»: grazie alla tecnica del «computer graphic» sarà possibile immergersi in un viaggio nelle radici della romanità con la voce in sottofondo di Piero Angela. È grazie alla cultura, quindi, che la Provincia intende investire sul turismo. «Perché le ricchezze del nostro territorio rappresentano un forte attrattore - sostiene Zingaretti - e solo valorizzando le immense risorse artistiche torneremo ad esercitare un ruolo di primo piano nel settore». Non a caso l'assessore al Turismo Prestipino ha rilanciato l'iniziativa «Roma più pass» che permette di acquistare una «card della cultura» con cui è possibile visitare musei e località come le tre ville di Tivoli (Adriana, D'Este e Gregoriana), il Museo delle navi di Nemi, la necropoli di Cerveteri e il tempio della Fortuna di Palestrina. Chi compra questa card, già attiva dal 2007, può usufruire di sconti e convenzioni con Atac, Cotral e Trenitalia.
Dar. Mar.
IL TEMPO 11/11/2009
Palazzo Valentini Il 3 dicembre cerimonia con Napolitano
LONDRA Una grande area archeologica, un tesoro dell'antichità dal valore inestimabile, aprirà le porte ai turisti il prossimo 3 dicembre. A Palazzo Valentini, nei sotterranei della sede della Provincia di Roma. Il taglio del nastro sarà affidato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. A svelare il patrimonio archeologico risalente al II-IV secolo avanti Cristo è stato il presidente della Provincia Nicola Zingaretti che, accompagnato dall'assessore Patrizia Prestipino, ha presentato le ultime novità dell'offerta turistica romana al World Travel Market di Londra. Quest'area archeologica non è altro che l'ampliamento dei 1.800 metri quadrati aperti al pubblico nel 2004 che comprendevano già due domus romane e le «piccole terme di Traiano». La nuova scoperta, invece, ha portato alla luce un «frigidarium», struttura che si inserisce nel complesso termale, e un ambiente ad esso collegato con materiali preziosissimi in porfido, serpentino e marmo africano. Il tutto abbellito da decorazioni che ricalcano le domus più antiche di Ostia, come quella dell'Amore e Psiche del IV secolo. L'intero percorso sarà «multimediale»: grazie alla tecnica del «computer graphic» sarà possibile immergersi in un viaggio nelle radici della romanità con la voce in sottofondo di Piero Angela. È grazie alla cultura, quindi, che la Provincia intende investire sul turismo. «Perché le ricchezze del nostro territorio rappresentano un forte attrattore - sostiene Zingaretti - e solo valorizzando le immense risorse artistiche torneremo ad esercitare un ruolo di primo piano nel settore». Non a caso l'assessore al Turismo Prestipino ha rilanciato l'iniziativa «Roma più pass» che permette di acquistare una «card della cultura» con cui è possibile visitare musei e località come le tre ville di Tivoli (Adriana, D'Este e Gregoriana), il Museo delle navi di Nemi, la necropoli di Cerveteri e il tempio della Fortuna di Palestrina. Chi compra questa card, già attiva dal 2007, può usufruire di sconti e convenzioni con Atac, Cotral e Trenitalia.
Dar. Mar.
venerdì 6 novembre 2009
A caccia dell'antico vallo romano sotto il cortile del Museo Egizio
A caccia dell'antico vallo romano sotto il cortile del Museo Egizio
Maurizio Lupo
La Stampa (Torino) 05/11/2009
Sono incominciati ieri scavi archeologici nel cortile del Museo Egizio, nell'ambito delle opere che dovranno ampliarne gli spazi espositivi. Gli archeologi indagano il terreno nella speranza d'intercettare il vallo che proteggeva le mura di Torino romana. Una sua sezione era già stata identificata nel 2001, all'interno dei Giardini Reali, dietro l'Armeria Reale. Nel cortile dell'Egizio potrebbe venire alla luce un altro tratto, quello che proteggeva la cortina muraria orientale della città, di cui sopravvivono le fondazioni nelle sale già utilizzate dal Museo sotto l'ala Schiapparelli. Le indagini archeologiche sono preliminari allo sbancamento dell'area che, secondo il progetto di «Isola Architetti», dovrà ricavare sotto il cortile le nuove sale destinate ai servizi museali di accoglienza. Le ruspe, appena entrate in azione, stanno effettuando un primo scavo di appena un metro di profondità, alla presenza degli archeologi coordinati da Frida Occelli, sotto la direzione di Luisella Peyrani, in rappresentanza della Soprintendenza guidata da Egle Micheletto. L'operazione serve a togliere lo strato di terriccio più recente, che già si rivela pregno di resti edilizi moderni. Raggiunti gli strati di terra ancora vergini, la ricerca procederà con sondaggi condotti da piccoli escavatori. Quando intercettano presenze archeologiche intervengono a mano gli archeologi, che le mettono a nudo e le rilevano. Si procederà così fino a raggiungere i quattro metri di profondità. Il cantiere del Museo mette in conto per l'indagine quattro mesi di lavoro, che potrebbero ottenere qualche proroga in caso di scoperte interessanti. Quali? Forse l'antico vallo urbano. Fu scavato a circa dieci metri di distanza dalle mura, verso il terzo secolo dell'era cristiana, quando la dominazione romana incominciava a temere incursioni nemiche, impensabili ai tempi della «Pace Augustea». Non si esclude nemmeno di trovare oltre il vallo qualche resto umano. Fuori mura non erano rare le necropoli, oppure povere sepolture pi tarde, databili all'alto Medio Evo. Nell'attesa il Museo procede già ad alcuni traslochi. Da lunedì prossimo la «Sala 1» del primo piano verrà chiusa, per svuotarla. Perché qui, in via provvisoria, traslocheranno gli uffici della «Fondazione Antichità Egizie», al fine di liberare i locali dell'ala Schiapparelli, dove i progetti prevedono la futura sistemazione di caffetteria, biblioteca e book-shop.
Maurizio Lupo
La Stampa (Torino) 05/11/2009
Sono incominciati ieri scavi archeologici nel cortile del Museo Egizio, nell'ambito delle opere che dovranno ampliarne gli spazi espositivi. Gli archeologi indagano il terreno nella speranza d'intercettare il vallo che proteggeva le mura di Torino romana. Una sua sezione era già stata identificata nel 2001, all'interno dei Giardini Reali, dietro l'Armeria Reale. Nel cortile dell'Egizio potrebbe venire alla luce un altro tratto, quello che proteggeva la cortina muraria orientale della città, di cui sopravvivono le fondazioni nelle sale già utilizzate dal Museo sotto l'ala Schiapparelli. Le indagini archeologiche sono preliminari allo sbancamento dell'area che, secondo il progetto di «Isola Architetti», dovrà ricavare sotto il cortile le nuove sale destinate ai servizi museali di accoglienza. Le ruspe, appena entrate in azione, stanno effettuando un primo scavo di appena un metro di profondità, alla presenza degli archeologi coordinati da Frida Occelli, sotto la direzione di Luisella Peyrani, in rappresentanza della Soprintendenza guidata da Egle Micheletto. L'operazione serve a togliere lo strato di terriccio più recente, che già si rivela pregno di resti edilizi moderni. Raggiunti gli strati di terra ancora vergini, la ricerca procederà con sondaggi condotti da piccoli escavatori. Quando intercettano presenze archeologiche intervengono a mano gli archeologi, che le mettono a nudo e le rilevano. Si procederà così fino a raggiungere i quattro metri di profondità. Il cantiere del Museo mette in conto per l'indagine quattro mesi di lavoro, che potrebbero ottenere qualche proroga in caso di scoperte interessanti. Quali? Forse l'antico vallo urbano. Fu scavato a circa dieci metri di distanza dalle mura, verso il terzo secolo dell'era cristiana, quando la dominazione romana incominciava a temere incursioni nemiche, impensabili ai tempi della «Pace Augustea». Non si esclude nemmeno di trovare oltre il vallo qualche resto umano. Fuori mura non erano rare le necropoli, oppure povere sepolture pi tarde, databili all'alto Medio Evo. Nell'attesa il Museo procede già ad alcuni traslochi. Da lunedì prossimo la «Sala 1» del primo piano verrà chiusa, per svuotarla. Perché qui, in via provvisoria, traslocheranno gli uffici della «Fondazione Antichità Egizie», al fine di liberare i locali dell'ala Schiapparelli, dove i progetti prevedono la futura sistemazione di caffetteria, biblioteca e book-shop.
Il museo delle navi romane diventa realtà
Il museo delle navi romane diventa realtà
CARLO VENTURINI
VENERDÌ, 06 NOVEMBRE 2009 il tirreno - Pisa
Ad aprile l’apertura di una prima sezione all’interno degli Arsenali medicei
Ad aprile, il museo delle navi romane «molla gli ormeggi» e Pisa, dopo 12 anni dal ritrovamento delle 16 navi romane, si fregerà di un nuovo e prestigioso centro espositvo. Lo spazio museale non si chiamerà più museo delle navi romane bensì museo delle navi antiche di Pisa. Rimane invariata invece la location degli Arsenali Medicei che trovandosi sul lungarno Sonnino, vanno ad incastonarsi, come felicemente intuito dall’ex sindaco Paolo Fontanelli, sull’asse museale dei lungarni già composto da Palazzo Reale, il museo di San Matteo ed il museo della Grafica del Lanfranchi.
«Ad aprile apriremo al pubblico il primo lotto del museo - dice Andrea Camilli direttore scientifico del cantiere di scavo delle navi - per una superfice pari a 4500 m/q sui 14 mila complessivi degli Arsenali Medicei».
Tanto per intendersi, delle sette campate che compongono lo spazio degli arsenali, saranno due quelle che verranno aperte al pubblico.
«In realtà avremmo potuto aprire anche a dicembre - spiega Camilli - ma pastoie burocratiche e tempi tecnici per l’assegnazione dei lavori, ci hanno consigliato per un’apertura posticipata».
Ma che cosa si vedrà esposto agli Arsenali Medicei? «Già ad aprile - dice Camilli -, si potranno vedere la nave ellenistica, la nave «D» ed un modello a grandezza naturale della nave Alkedo oltre naturalmente a tutta una serie di reperti archeologici a corredo, ed attinenti alle attività commerciali a cui erano dedite le navi». La nave «D» ha uno scafo di circa 14 metri a doppio fasciame, la nave ellenistica risale al IIº secolo A.C. ed è di media grandezza ed è stata rinvenuta totalmente smontata. Il modello in scala 1:1 della nave Alkedo è lungo circa 14 metri e dell’imbarcazione sono stati ritrovati elementi strutturali come chiglia, cassa mastra e scassa dell’albero.
«Quella di aprile - ci tiene a sottolineare Camilli - non sarà un’apertura provvisoria in attesa di una eventuale successiva riapertura per gli altri lotti degli arsenali». «Il museo - spiega sempre Camilli - sarà sempre in continuo arricchimento, si animerà di volta in volta di mostre temporanee e man mano che gli scavi ed i restauri procederanno, si arricchiranno gli allestimenti e gli spazi espositivi del museo». Sarà dunque un museo vivo e vivace non solo dunque per un pubblico di eruditi come all’inizio si paventava. Il museo vivrà infatti in stretta collaborazione con il cantiere delle navi romane situato in prossimità della stazione di Pisa San Rossore e sarà legato con un «cordone ombelicale» al centro per il restauro del legno bagnato che è annesso allo scavo. «Questo centro - spiega Camilli - è di per sé, un patrimonio eccezionale tant’è che le nostre competenze vengono richieste anche dall’estero, in particolare da paesi asiatici».
L’investimento economico per l’operazione di scavo e restauro degli Arsenali Medicei si aggira per ora intorno ai 10 milioni di euro, ben poca cosa rispetto ai 25 milioni di euro previsti dal progetto di fattibilità del 2005.
CARLO VENTURINI
VENERDÌ, 06 NOVEMBRE 2009 il tirreno - Pisa
Ad aprile l’apertura di una prima sezione all’interno degli Arsenali medicei
Ad aprile, il museo delle navi romane «molla gli ormeggi» e Pisa, dopo 12 anni dal ritrovamento delle 16 navi romane, si fregerà di un nuovo e prestigioso centro espositvo. Lo spazio museale non si chiamerà più museo delle navi romane bensì museo delle navi antiche di Pisa. Rimane invariata invece la location degli Arsenali Medicei che trovandosi sul lungarno Sonnino, vanno ad incastonarsi, come felicemente intuito dall’ex sindaco Paolo Fontanelli, sull’asse museale dei lungarni già composto da Palazzo Reale, il museo di San Matteo ed il museo della Grafica del Lanfranchi.
«Ad aprile apriremo al pubblico il primo lotto del museo - dice Andrea Camilli direttore scientifico del cantiere di scavo delle navi - per una superfice pari a 4500 m/q sui 14 mila complessivi degli Arsenali Medicei».
Tanto per intendersi, delle sette campate che compongono lo spazio degli arsenali, saranno due quelle che verranno aperte al pubblico.
«In realtà avremmo potuto aprire anche a dicembre - spiega Camilli - ma pastoie burocratiche e tempi tecnici per l’assegnazione dei lavori, ci hanno consigliato per un’apertura posticipata».
Ma che cosa si vedrà esposto agli Arsenali Medicei? «Già ad aprile - dice Camilli -, si potranno vedere la nave ellenistica, la nave «D» ed un modello a grandezza naturale della nave Alkedo oltre naturalmente a tutta una serie di reperti archeologici a corredo, ed attinenti alle attività commerciali a cui erano dedite le navi». La nave «D» ha uno scafo di circa 14 metri a doppio fasciame, la nave ellenistica risale al IIº secolo A.C. ed è di media grandezza ed è stata rinvenuta totalmente smontata. Il modello in scala 1:1 della nave Alkedo è lungo circa 14 metri e dell’imbarcazione sono stati ritrovati elementi strutturali come chiglia, cassa mastra e scassa dell’albero.
«Quella di aprile - ci tiene a sottolineare Camilli - non sarà un’apertura provvisoria in attesa di una eventuale successiva riapertura per gli altri lotti degli arsenali». «Il museo - spiega sempre Camilli - sarà sempre in continuo arricchimento, si animerà di volta in volta di mostre temporanee e man mano che gli scavi ed i restauri procederanno, si arricchiranno gli allestimenti e gli spazi espositivi del museo». Sarà dunque un museo vivo e vivace non solo dunque per un pubblico di eruditi come all’inizio si paventava. Il museo vivrà infatti in stretta collaborazione con il cantiere delle navi romane situato in prossimità della stazione di Pisa San Rossore e sarà legato con un «cordone ombelicale» al centro per il restauro del legno bagnato che è annesso allo scavo. «Questo centro - spiega Camilli - è di per sé, un patrimonio eccezionale tant’è che le nostre competenze vengono richieste anche dall’estero, in particolare da paesi asiatici».
L’investimento economico per l’operazione di scavo e restauro degli Arsenali Medicei si aggira per ora intorno ai 10 milioni di euro, ben poca cosa rispetto ai 25 milioni di euro previsti dal progetto di fattibilità del 2005.
martedì 3 novembre 2009
I resti romani di Via da Tolentino non erano solo nel cantiere sotto accusa. Le case sull'acquedotto (metà salvato, metà no)
I resti romani di Via da Tolentino non erano solo nel cantiere sotto accusa. Le case sull'acquedotto (metà salvato, metà no).
ALESSIO GAGGIOLI
LA NAZIONE – 3 novembre 2009
L'archeologa «Lì siamo riusciti a recuperarlo, ma il tratto in via Grifeo è andato perso: abbiamo trovato i pezzi nelle macerie».
Aveva tenuto botta per duemila anni, perché il calcestruzzo fatto dai romani, dicono gli archeologi dello studio professionale Ares, «è quello meglio di tutti e infatti l'acquedotto è perfettamente conservato». L’acquedotto è quello lungo sedici chilometri, unico a Firenze, che dalla Chiusa di Legri arriva fino in centro, in via delle Terme. Ha resistito duemila anni, ma è sulle colline di Careggi che ha rischiato di essere cancellato. Perché se all'interno del condominio tra via Niccolò da Tolentino e via di Quarto firmato dalla società «Le Quinte» dei costruttori Giudici (titolare del progetto l'architetto Riccardo Bartoloni, ai domiciliari nell'ambito dell'inchiesta su Quadra, mentre Lorenzo Giudici è indagato) l'acquedotto della Firenze romana è stato salvato, è andata peggio pochi metri più avanti. Nel 2007, a febbraio, i tecnici della Soprintendenza per i beni archeologici si accorsero di un grande piccolo dramma. In via Grifeo, dove una nota agenzia immobiliare (non collegata all'inchiesta Quadra) aveva in progetto poi portato a termine di costruire un edificio residenziale trovarono tra i cumuli di macerie il calcestruzzo dell'acquedotto. «Era tutto distrutto e scattò una denuncia penale per danno al patrimonio pubblico e archeologico racconta Carlotta Bigaglia, archeologa dello studio Ares che ha seguito assieme ad altri tra colleghi e restauratori la rinascita del vecchio acquedotto tra l'altro il processo è ancora in corso. In quella occasione arrivammo tardi, forse la Sovrintendenza non sapeva che si stesse scavando, diversamente dai condomini di via Niccolò da Tolentino. Il danno è inestimabile, il valore dell'acquedotto è altissimo». Già, i due condomini dove l'acquedotto è stato in parte riportato alla luce senza che il cantiere (i lavori sono cominciati nell'ottobre del 2006 e finiti due anni dopo circa) si interrompesse nemmeno per un giorno e lasciato in esposizione come fosse in una teca e in piccola parte lasciato senza copertura, con alcuni punti che sembrano addirittura entrare nel giardino degli appartamenti privati. «Alcune porzioni dell'acquedotto le abbiamo ritrovate intatte anche per una lunghezza di 12 0 14 metri, altre le abbiamo dovute ricostruire», spiega l'archeologa. Di solito quando viene un ritrovamento così importante la colpa del blocco dei cantieri la si attribuisce sempre agli archeologi. Ma perché in questo caso il cantiere è andato avanti così spedito? E perché è stato dato il permesso di costruire? «Ci siamo accorti dell'acquedotto quando abbiamo cominciato a scavare e a quel punto i costruttori hanno fatto tantissime varianti al progetto originario perché non si pensava che l'acquedotto andasse lungo via Niccolò da Tolentino sottolinea Bigagli e d'accordo con la Sovrintendenza è stato deciso di non spostarlo, ma di lasciarlo nella sua sede originaria, protetto dalla teca». La Sovrintendenza aveva diverse opzioni: spostare e ricostruire l'acquedotto nella zona verde, dietro ai condomini o ricostruirlo altrove. L'ultima porzione restaurata è stata terminata a febbraio di quest'anno. «Quel pezzo nel giardino di una casa? Ma in realtà è una zona aperta al pubblico poi è chiaro, ci sono le leggi del mercato continua Bigagli se fosse dipeso da noi archeologi lì non si sarebbe costruito nulla. A lavoro finito dico che sono combattuta: da un lato mi intriga che un manufatto di duemila anni corra sotto un edificio duemila anni dopo, nell'attualità. Dall'altro vorrei che in prima linea ci fossero sempre i reperti archeologici, specie se hanno un valore del genere».
ALESSIO GAGGIOLI
LA NAZIONE – 3 novembre 2009
L'archeologa «Lì siamo riusciti a recuperarlo, ma il tratto in via Grifeo è andato perso: abbiamo trovato i pezzi nelle macerie».
Aveva tenuto botta per duemila anni, perché il calcestruzzo fatto dai romani, dicono gli archeologi dello studio professionale Ares, «è quello meglio di tutti e infatti l'acquedotto è perfettamente conservato». L’acquedotto è quello lungo sedici chilometri, unico a Firenze, che dalla Chiusa di Legri arriva fino in centro, in via delle Terme. Ha resistito duemila anni, ma è sulle colline di Careggi che ha rischiato di essere cancellato. Perché se all'interno del condominio tra via Niccolò da Tolentino e via di Quarto firmato dalla società «Le Quinte» dei costruttori Giudici (titolare del progetto l'architetto Riccardo Bartoloni, ai domiciliari nell'ambito dell'inchiesta su Quadra, mentre Lorenzo Giudici è indagato) l'acquedotto della Firenze romana è stato salvato, è andata peggio pochi metri più avanti. Nel 2007, a febbraio, i tecnici della Soprintendenza per i beni archeologici si accorsero di un grande piccolo dramma. In via Grifeo, dove una nota agenzia immobiliare (non collegata all'inchiesta Quadra) aveva in progetto poi portato a termine di costruire un edificio residenziale trovarono tra i cumuli di macerie il calcestruzzo dell'acquedotto. «Era tutto distrutto e scattò una denuncia penale per danno al patrimonio pubblico e archeologico racconta Carlotta Bigaglia, archeologa dello studio Ares che ha seguito assieme ad altri tra colleghi e restauratori la rinascita del vecchio acquedotto tra l'altro il processo è ancora in corso. In quella occasione arrivammo tardi, forse la Sovrintendenza non sapeva che si stesse scavando, diversamente dai condomini di via Niccolò da Tolentino. Il danno è inestimabile, il valore dell'acquedotto è altissimo». Già, i due condomini dove l'acquedotto è stato in parte riportato alla luce senza che il cantiere (i lavori sono cominciati nell'ottobre del 2006 e finiti due anni dopo circa) si interrompesse nemmeno per un giorno e lasciato in esposizione come fosse in una teca e in piccola parte lasciato senza copertura, con alcuni punti che sembrano addirittura entrare nel giardino degli appartamenti privati. «Alcune porzioni dell'acquedotto le abbiamo ritrovate intatte anche per una lunghezza di 12 0 14 metri, altre le abbiamo dovute ricostruire», spiega l'archeologa. Di solito quando viene un ritrovamento così importante la colpa del blocco dei cantieri la si attribuisce sempre agli archeologi. Ma perché in questo caso il cantiere è andato avanti così spedito? E perché è stato dato il permesso di costruire? «Ci siamo accorti dell'acquedotto quando abbiamo cominciato a scavare e a quel punto i costruttori hanno fatto tantissime varianti al progetto originario perché non si pensava che l'acquedotto andasse lungo via Niccolò da Tolentino sottolinea Bigagli e d'accordo con la Sovrintendenza è stato deciso di non spostarlo, ma di lasciarlo nella sua sede originaria, protetto dalla teca». La Sovrintendenza aveva diverse opzioni: spostare e ricostruire l'acquedotto nella zona verde, dietro ai condomini o ricostruirlo altrove. L'ultima porzione restaurata è stata terminata a febbraio di quest'anno. «Quel pezzo nel giardino di una casa? Ma in realtà è una zona aperta al pubblico poi è chiaro, ci sono le leggi del mercato continua Bigagli se fosse dipeso da noi archeologi lì non si sarebbe costruito nulla. A lavoro finito dico che sono combattuta: da un lato mi intriga che un manufatto di duemila anni corra sotto un edificio duemila anni dopo, nell'attualità. Dall'altro vorrei che in prima linea ci fossero sempre i reperti archeologici, specie se hanno un valore del genere».
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