La romana Vesta, custode del- la sacra fiamma del focolare, corrisponde appieno alla greca Estia. Non si tratta qui, come in tanti altri casi, di un processo di identificazione, per cui una divinità romana, per determinate analogie, veniva equiparata ad una divinità greca; Vesta ed Estia, invece, sono identiche sin dal principio, sono la stessa dea. L’identità si riscontra persino nei nomi; un po’ meno pacifica è l’interpretazione del nome. Comunemente lo si mette in rapporto con uro, usta = ardere, e a prima vista l’ipotesi è convincente, in quanto sia Vesta che Estia sono dee del fuoco. Ma se si considera che esse sono dee del fuoco soltanto in quanto il fuoco è simbolo ed espressione del focolare, ossia della casa, sembra più accettabile la derivazione dall’etimo indoeuropeo wes = dimora (cfr. il sanscrito vasati = egli abita, o ancora il tedesco Wesen = fattoria).
L’unica differenza fra la Vesta romana e l’Estia greca non è di ordine mitologico, ma di natura storica: Vesta assurse a ben maggiore importanza diventando la veneratissima dea protettrice dello Stato romano, rango a cui Estia negli staterelli greci non poteva mai aspirare. La figura di Vesta ha particolare risalto, perchè nei tempi antichissimi fu l’unica divinità femminile nella cerchia degli dèi romani. Se ne può dedurre di quanto più austero e virile fosse il carattere dei Romani rispetto a quello più sfaccettato dei Greci.
La fantasia romana non si abbandonava a speculazioni filosofiche, cosmiche ed erotiche; fede austera, rimaneva attaccata alla zolla, al focolare domestico, alla famiglia religiosa e di sani principi morali. Siccome lo Stato romano di allora si considerava una grande famiglia, fu logico che Vesta divenisse il fulcro della comunità, il focolare dello Stato. Il culto di nessun’altra divinità veniva quindi osservato così scrupolosamente e così a lungo come quello di Vesta; la coscienza religiosa sentiva che essa rappresentava il fondamento etnico che non si doveva assolutamente toccare e manomettere.
Sicuramente già in tempi antichissimi, sui quali non siamo più documentati, dovevano esistere stretti rapporti fra Vesta e Giano: ambedue le divinità erano intimamente legate alla casa, Giano custode delle porte, Vesta custode del focolare. Nè c’è da meravigliarsi se Vesta, nell’ambito della casa, veniva venerata assieme ai Penati. Così come la madre di famiglia vegliava amorosamente sulla casa e sul focolare, il servizio statale di Vesta e del suo fuoco perenne era affidato a sei sacerdotesse, le Vestali. Dovevano essere fanciulle di rango patrizio, scelte nell’età fra i sei e i dieci anni, venivano consacrate dal Pontefice massimo e dovevano fare voto di castità. Il loro servizio durava trent’anni: dieci spesi nell’apprendistato, dieci nell’esercizio delle funzioni sacerdotali e dieci nell’istruzione delle nuove Vestali. Passati i trent’anni, la Vestale poteva lasciare il tempio e anche maritarsi; ben poche fecero uso di questa facoltà.
Le Vestali vivevano nel cosiddetto Atrium Vestae accanto al tempio rotondo della dea nel Foro Romano, ma avevano libertà d’uscita. In quel tempio, dove ardeva il fuoco perenne, si conservavano anche oggetti sacri e arcani (pignora imperii), conosciuti, oltre che dalle Vestali stesse, soltanto dal loro capo spirituale, il Pontefice massimo. Si supponeva che si trattasse dei Penati e del Palladio, salvati da Enea dall’incendio di Troia e portati nel Lazio.
Le custodi di questi segreti e del fuoco sacro godevano dei massimi onori e privilegi, ma il loro rigido servizio comportava rinunce e richiedeva la massima attenzione. Guai alla Vestale che sbadatamente avesse lasciato spegnersi il fuoco, presagio funesto per lo Stato! La disgraziata veniva pubblicamente battuta a sangue con le verghe. Quella, poi, che avesse infranto il voto di castità, era condannata senza remissione ad essere sepolta viva.