Cisterna (LT), il tempio fatto a pezzi
Fabio Isman
Il Messaggero 6/11/2010
Non è stato scavato dallo Stato, ma dai tombaroli che hanno venduto i reperti. Una storia emblematica, vicino a Latina
L'Italia violata dei tesori sepolti: a Cisterna, presso Latina, c'era un tempio magnifico del 500 e qualcosa avanti Cristo, «l'età di Tarquinio il Superbo; e l'officina che lo ha innalzato ha decorato dei santuari tra i più prestigiosi nell'Italia centrale e a Roma, come quello di Sant'Omobono nell'Urbe», dice l'archeologo Domenico Palombi, che insegna all'Università La Sapienza e dirige il museo di Cori. La città arcaica di Caprifico, vasta 37 ettari ai limiti delle paludi Pontine, non è mai stata ufficialmente scavata; la zona non è nemmeno vincolata: in parte già costruita, e in parte pronta ad esserlo. Eppure, si sa come era il tempio; che era importantissimo, ed ancora lo è; anzi, l'unico così antico, di cui è possibile ricostruire con esattezza tutto il tetto in terracotta decorata, senza dovere ricorrere ai pressapochismi o alle illazioni, tanto è stato trovato in ogni dettaglio completo. Lo sappiamo, perché il tempio, mai scavato dalle Soprintendenze, dallo Stato, dall'università, lo hanno ritrovato i tombaroli; e vari musei del mondo, con alcune collezioni private, ne hanno acquistato, o ricevuto, oltre 300 frammenti. «Tutto è accaduto ad inizio degli Anni 70», continua Palombi; e per fortuna, 220 di quei reperti sono ritornati: oggi li ha il museo di Cori, al centro di un autentico "caso" archeologico dalla portata mondiale. La storia, incredibile, inizia nel 1968. Quando, vicino a Cisterna, l'archeologa Paola Brandizzi Vittucci vede, in un casale, lastre con corse di cavalieri, e le prime antefisse in terracotta. Trovate durante i lavori nei campi. Lorenzo Quilici, il fratello del regista Folco, docente a Bologna, con la moglie Stefania che insegna a Napoli e con Francesca Melis, identificano l'abitato, che è rigoglioso dal IX al V secolo avanti Cristo. Nel '70, gli oggetti visti nel casale sono però dichiarati rubati; tuttavia, uno ricomparirà ad un'asta Sotheby's di Londra, proveniente da un antiquario svizzero. Finché, ad Oxford, per onorare la memoria d'uno studioso già consulente di Paul Getty, uno dei mercanti più famosi al mondo, Nikolas Koutoulakis, un greco cipriota che vive in Svizzera, regala all'Ashmolean Museum 100 di queste terrecotte. Koutoulakis è famoso: inquisito dalla giustizia a Roma, secondo Peter Watson è in contatto con il maggior "venditore nero", Robin Symes a Londra, e il "trafficante" Giacomo Medici già condannato a 8 anni in appello, il "re" degli scavi in Etruria e in Centro Italia. L'archeologa Ann Brown le studia; ne espone 21; svela che il British Museum ne ha 20, ed altre sono in collezioni private europee; le definisce analoghe a quelle di Caprifico, già descritte nel 1968. Da Oxford 12 pezzi arrivano in prestito a Cori; parte un'inchiesta; il museo inglese per evitare grane preferisce restituire 83 frammenti su 100, con un prestito di 10 anni; il nuovo direttore del museo di Basilea ne rispedisce altri 137 nel 2008: ma per sempre, pur senza rivelare come, e da chi, dal Lazio sono giunti fino in Svizzera: «Qualcuno ha trovato quel santuario», dice Palombi. Patricia Lulof, altra studiosa, ha ricostruito il tetto e i frontoni, le metope e le decorazioni; da Oxford, l'archivio di Ann Brown è finito ad Amsterdam: è pieno di rivelazioni; un'inchiesta, condotta a Roma dal Pm Pierluigi Cipolla, non porta a nulla. Palombi racconta: «Al centro di un frontone. c'era Minerva: il volto era a Basilea; raffigura, come a Sant'Omobono, la presentazione di Eracle all'Olimpo. Ora a Cori esistono gocciolatoi a testa di leone, antefisse dalla forma di testa femminile, sfingi». La ricostruzione mostra una teoria coloratissima (tale era) combattenti, cavalieri, bighe in corsa; processioni e motivi a greca; un frontone assai animato di figure, con al colmo le divinità. I pezzi sono piccolissimi; ma ormai è possibile assemblarli almeno in parte, e ne escono rilievi bellissimi, motivi a rilievo, scanalature e fiori stilizzati. «Solo qui», spiega Palombi, «esiste un angolo di tetto con tutte le congiunzioni e gli agganci», per cui la ricostruzione è comunque fedele, anche precisa: 2.500 anni dopo, torna visibile il tetto d'uno dei più importanti santuari, forse costruito dopo la conquista dei romani ancora sudditi di un re, l'ultimo dei sette. Ma il resto? «Venti pezzi ne ha il British; 21 sono rimasti a Oxford; altri ancora sono al Metropolitan di New York, o al Fogg museum di Cambridge, nel Massachusetts, oppure a Bonn. E in varie collezioni private: almeno sei o sette in tutto il mondo». Il bello è che, anche se le terrecotte non sono pregiate quanto i vasi attici o i marmi, nessuno di questi ha intenzione di restituire proprio nulla. Uno dei templi più maestosi e belli di quando Roma cominciava a crescere; mai scavato: sottratto dai "tombaroli" che l'hanno trovato (e lo Stato no); sminuzzato dal passaggio degli aratri nei campi; ora polverizzato di nuovo, e sparso in mezzo mondo; ma il Ministero non fa nulla, e nulla lo Stato. Ancor prima che un reato ed un delitto contro la proprietà (almeno dal 1909, quanto è sottoterra appartiene allo Stato), questo è un vero crimine contro l'intelligenza e la cultura. O no?