Indiana Jones ai Fori Imperiali, il mistero delle 500 casse
Alessandro Fulloni
CORRIERE DELLA SERA 12 set 2010 Roma
Riemergono i reperti catalogati nel 1939: sono in un caveau al Museo della Civiltà romana
Da pagina 1 Proprio come nella scena finale del film «Indiana Jones e i predatori dell’Arca Perduta», dove una «zoomata» riprende un numero incalcolabile di casse che stipano tesori archeologici dimenticati. Solo che qui non è finzione cinematografica. E’ tutto vero e ad aprirle viene fuori uno scoppiettante racconto della vita di tutti i giorni ai tempi dell’antica Roma. Le casse, 500 in totale, sono quelle «riscoperte» dagli «007» della Sovrintendenza capitolina ai beni culturali e in qualche modo « dimenticate » dal 1939, anno in cui vennero sigillate in attesa di capire che farne. Poi venne la guerra e quel patrimonio – «dal valore inestimabile» – è rimasto silenziosamente abbandonato in qualche sotterraneo dell’Urbe. Materiale perlopiù proveniente dagli scavi per la costruzione della via dell’Impero - l’attuale viale dei Fori imperiali - ma anche da ricerche precedenti, che risalgono addirittura alla fine del XIX secolo dalle parti del Celio e del Palatino. Adesso stanno all’Eur, in un gigantesco caveau del Museo della Civiltà romana e se il loro contenuto - marmi, bronzi, utensili domestici, ceramiche, avori, mosaici, affreschi, vetri - sta tornando alla luce è per la decisione del sovrintendente Umberto Broccoli e del direttore dei musei capitolini Claudio Parisi Presicce che vogliono conoscere quel che c’è dentro i contenitori.
Sculture Molte anche le statue e i bassorilievi ritrovati durante gli scavi dell’anteguerra
Il termine esatto, quello utilizzato dagli archeologi per indicare il minuzioso tipo di lavoro che stanno svolgendo, è «processare». Vale a dire che ogni singolo oggetto conservato nelle casse - ne sono state aperte sinora 150 - viene catalogato, fotografato, censito con una specie di scheda riassuntiva, ripulito, restaurato se il caso. Tutte informazioni che finiscono in un data-base digitalizzato che mette a confronto lo studio condotto dagli « archeo-investigatori» all’opera al museo dell’Eur con quello, altrettanto certosino, ultimato dai loro predecessori oltre settant’anni fa. Anche loro «molto, molto bravi», per stessa ammissione di Broccoli. Se oggi, con sufficiente precisione, si riesce a capire da dove vengano quelle migliaia di reperti è anche per merito loro, che di quei ritrovamenti registrarono praticamente tutto, giorno, luogo e profondità del rinvenimento, «inventando, in sostanza, un metodo che prima non c’era» osserva ammirato Parisi Presicce.
La mole delle casse (piuttosto larghe e alte, un paio di metri per uno) accatastate una dopo l’altra è impressionante. E l’effetto suggestione aumenta a guardare le indicazioni misteriose, tracciate sul legno nel 1939, che ne svelano il contenuto. La «M» sta per «marmi», «PI» per «provenienza impero», «PV » per «provenienza varia». Ma le indicazioni possono essere anche più specifiche, come «Foro di Nerva», in altri casi più generiche, «Via dell'Impero». E poi il numero progressivo a conteggiarle, da 1 a 500. Nelle 100 casse «processate» sinora sono stati contati 9 mila reperti, dai tubi idraulici a quelli che servivano per una specie di riscaldamento, con l’acqua calda che arrivava direttamente dalle terme.
Dai sotterranei blindati dell’Eur viene fuori di tutto, anche quel che non t’aspetteresti, come le zanne di un elefante che cinquantamila anni fa pascolava nei pressi della Caput Mundi e una tela di lino perfettamente conservata che sembra una specie di Sindone. «Sappiamo che venne ritrovata dentro un’urna funeraria in una casa patrizia localizzata nei pressi di quella che oggi sarebbe via Genova. E’ un pezzo unico, straordinario - spiega il direttore dei musei capitolino - difficilmente i tessuti resistono al tempo e si conservano soltanto nei climi secchi, come quello egiziano». Proprio per meglio conservarlo, il lenzuolo è stato sigillato tra due lastre di vetro che evitano il contatto con l’aria. Per aprire «l’arca» formata da tutte le casse ci vorranno altri 2 anni. Poi il contenuto potrebbe essere utilizzato per raccontare in giro per il mondo come si viveva a Roma 2 mila anni fa.
Alessandro Fulloni
CORRIERE DELLA SERA 12 set 2010 Roma
Riemergono i reperti catalogati nel 1939: sono in un caveau al Museo della Civiltà romana
Da pagina 1 Proprio come nella scena finale del film «Indiana Jones e i predatori dell’Arca Perduta», dove una «zoomata» riprende un numero incalcolabile di casse che stipano tesori archeologici dimenticati. Solo che qui non è finzione cinematografica. E’ tutto vero e ad aprirle viene fuori uno scoppiettante racconto della vita di tutti i giorni ai tempi dell’antica Roma. Le casse, 500 in totale, sono quelle «riscoperte» dagli «007» della Sovrintendenza capitolina ai beni culturali e in qualche modo « dimenticate » dal 1939, anno in cui vennero sigillate in attesa di capire che farne. Poi venne la guerra e quel patrimonio – «dal valore inestimabile» – è rimasto silenziosamente abbandonato in qualche sotterraneo dell’Urbe. Materiale perlopiù proveniente dagli scavi per la costruzione della via dell’Impero - l’attuale viale dei Fori imperiali - ma anche da ricerche precedenti, che risalgono addirittura alla fine del XIX secolo dalle parti del Celio e del Palatino. Adesso stanno all’Eur, in un gigantesco caveau del Museo della Civiltà romana e se il loro contenuto - marmi, bronzi, utensili domestici, ceramiche, avori, mosaici, affreschi, vetri - sta tornando alla luce è per la decisione del sovrintendente Umberto Broccoli e del direttore dei musei capitolini Claudio Parisi Presicce che vogliono conoscere quel che c’è dentro i contenitori.
Sculture Molte anche le statue e i bassorilievi ritrovati durante gli scavi dell’anteguerra
Il termine esatto, quello utilizzato dagli archeologi per indicare il minuzioso tipo di lavoro che stanno svolgendo, è «processare». Vale a dire che ogni singolo oggetto conservato nelle casse - ne sono state aperte sinora 150 - viene catalogato, fotografato, censito con una specie di scheda riassuntiva, ripulito, restaurato se il caso. Tutte informazioni che finiscono in un data-base digitalizzato che mette a confronto lo studio condotto dagli « archeo-investigatori» all’opera al museo dell’Eur con quello, altrettanto certosino, ultimato dai loro predecessori oltre settant’anni fa. Anche loro «molto, molto bravi», per stessa ammissione di Broccoli. Se oggi, con sufficiente precisione, si riesce a capire da dove vengano quelle migliaia di reperti è anche per merito loro, che di quei ritrovamenti registrarono praticamente tutto, giorno, luogo e profondità del rinvenimento, «inventando, in sostanza, un metodo che prima non c’era» osserva ammirato Parisi Presicce.
La mole delle casse (piuttosto larghe e alte, un paio di metri per uno) accatastate una dopo l’altra è impressionante. E l’effetto suggestione aumenta a guardare le indicazioni misteriose, tracciate sul legno nel 1939, che ne svelano il contenuto. La «M» sta per «marmi», «PI» per «provenienza impero», «PV » per «provenienza varia». Ma le indicazioni possono essere anche più specifiche, come «Foro di Nerva», in altri casi più generiche, «Via dell'Impero». E poi il numero progressivo a conteggiarle, da 1 a 500. Nelle 100 casse «processate» sinora sono stati contati 9 mila reperti, dai tubi idraulici a quelli che servivano per una specie di riscaldamento, con l’acqua calda che arrivava direttamente dalle terme.
Dai sotterranei blindati dell’Eur viene fuori di tutto, anche quel che non t’aspetteresti, come le zanne di un elefante che cinquantamila anni fa pascolava nei pressi della Caput Mundi e una tela di lino perfettamente conservata che sembra una specie di Sindone. «Sappiamo che venne ritrovata dentro un’urna funeraria in una casa patrizia localizzata nei pressi di quella che oggi sarebbe via Genova. E’ un pezzo unico, straordinario - spiega il direttore dei musei capitolino - difficilmente i tessuti resistono al tempo e si conservano soltanto nei climi secchi, come quello egiziano». Proprio per meglio conservarlo, il lenzuolo è stato sigillato tra due lastre di vetro che evitano il contatto con l’aria. Per aprire «l’arca» formata da tutte le casse ci vorranno altri 2 anni. Poi il contenuto potrebbe essere utilizzato per raccontare in giro per il mondo come si viveva a Roma 2 mila anni fa.