mercoledì 9 settembre 2020

i lari e il genius

 A Pompei, questi Lari accompagnano spesso il Genius, nella figura di un uomo in toga: cosi è evocato, in modo appena passabile, il “dèmone personale” del padrone di casa, che nasce e muore con lui, e rappresenta per cosi dire la coscienza divina che un vivo ha di se stesso. La grande festa del Genius è il giorno del compleanno del paterfamilias.

Ma originariamente il Genius è ben altro: principio di fecondità genetica, come indica il nome, che garantisce mediante l’individuo a cui è legato il perpetuarsi delle generazioni. Si coglie ancora questo valore, completamente offuscato, in aneddoti come quello di Sempronio, padre dei Gracchi. Un giorno fu catturata in casa sua una coppia di serpenti (si credeva che il Genius talvolta apparisse sotto questa forma); l’augure prescrisse di ucciderne uno, aggiungendo che la morte del maschio avrebbe causato quella di Sempronio, quella della femmina la morte della moglie; e Sempronio volle che sopravvivesse la moglie, la cui giovinezza prometteva altre maternità. Si diceva anche (ma qui è evidente il ricordo greco di Alessandro Magno) che un serpente avesse procreato Scipione l’Africano. Al Genio era consacrato il letto nuziale (lectus genialis). E quando, con progresso senza dubbio tardo, si volle assicurare alla donna una protezione analoga a quella che il Genius assicurava all’uomo, le si mise a fianco una Giunone individuale: bizzarra moltiplicazione della dea, del matrimonio e del parto (Iuno Lucina).

Dalla porta alla scopa che puliva intorno al focolare, al pestello che frantumava il grano, la casa aveva molti altri “dèmoni” familiari, appena sentiti, indubbiamente, tranne quando un rito ancestrale li mobilitava o un incidente tecnico richiedeva il loro aiuto. Al focolare, ai Penati, ai Lari, al Genio, si rivolgeva invece un culto regolare, completo, chiuso per cosi dire, con i suoi umili strumenti, la patera, la saliera, la scatola dei profumi, l’ampolla;

 

Jean Bayet, la religione romana – storia, politica e psicologia, Bollati boringhieri, Torino, 1992, pagina71