Paradossalmente, nel mondo nuovo essa sopravvisse a se stessa nei suoi
caratteri più latini; i più umili e più materiali come i più astratti.
È appassionante ritrovare nelle feste e nelle usanze cristiane il
calendario e perfino le tradizioni pagane: non soltanto i nomi divini,
persistenti, dei mesi e dei giorni della settimana, ma anche le date solari di
Natale e dell’Epifania, con in mezzo la trasposizione dei Saturnali; gli
Ambarvalia, i Robigalia e forse gli Amburbia nella processione delle Rogazioni,
nelle litanie maggiori della festa di san Marco, nella festa della
Purificazione: i ricordi incoscienti dei culti della casa e del focolare nei
gesti rustici di ieri; le pratiche degli onori d’oltretomba, fiori, palme e
corone; talvolta, nelle campagne, anche quella dei pasti funebri, certo
interamente desacralizzati, ma praticati ancora con ingenua docilità sulle loro
tombe dai cristiani dell’Africa alla fine del quarto secolo; forse perfino le
libae dei Liberalia nelle “frittelle” di san Giuseppe in Italia... Senza
parlare dei particolari delle leggende dei santi, né di tutto ciò che
conservano del paganesimo (talvolta con sfumature provinciali antiche) la
scultura medioevale e il folclore. Dopo gli studi di F. Dalger, la ricerca di
queste sopravvivenze, che dànno una misura della prolungata eco e, più spesso,
della popolarità o della profonda infiltrazione degli antichi culti, è sempre feconda.
Jan Bayet, la religione romana