l’Unità 4.6.10
Il servo liberato che divenne tiranno
Andrea Carandini svela il mistero che circondava le origini di Servio Tullio re bastardo dopo Tarquinio Prisco
di Stefano Miliani
Manovre di potere, sangue, appelli al popolo. In una Roma aperta a genti latine, sabine, etrusche, con greci e orientali, tra il616a.C.eil534a.C.,unasequenza regale cambiò la cosa pubblica e gli ordinamenti: prima re Lucio Tarquinio Prisco, greco-etrusco, seguito da Servio Tullio, ex servo che sarebbe stato suo figlio e in quanto tale non poteva di salire al trono, perché la Roma di allora vietava la successione diretta e richiedeva l’interruzione almeno di un regno. Andrea Carandini, archeologo, il maggior studioso delle origini di Roma, presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, ha scritto una saga avvincente di trame, tradimenti e manipolazione del «popolo»: Re Tarquinio e il divino bastardo (Rizzoli, 171 pagine, 18 euro). Fondata su documenti testuali e visivi (come le pitture della tomba etrusca a Vulci detta di François), la narrazione sbroglia, con incursioni nei pensieri e nei sentimenti dei protagonisti, intricate faccende che evocano temi dell’Italia di oggi: costituzioni violate, demagogia, privilegi di oligarchie in discussione. A chi legge, fa pensare anche a Berlusconi.
Professore, perché ha voluto raccontare questa storia con piglio narrativo? «È la prima metà di una grande saga che riguarda la seconda età regia di Roma. Racconterò la seconda parte in un prossimo libro Rizzoli. Ho fatto ricerche su quel tempo e dopo tanti lavori eruditi ho voluto rivolgermi, per una volta, al grande pubblico. In Italia gli studiosi non hanno un rapporto con il popolo, la divulgazione pertanto è generalmente cattiva (salvo Piero Angela in tv): altera date e inventa misteri. Invece il dotto ha il dovere di raccontare quello che sa in modo semplice. Questo ho tentato».
A pagina 100 e oltre lei descrive un tiranno capace di parlare alla «pancia e alla fantasia» del popolo, che lo plasma ambendo a poteri più personali rispetto ai sovrani antichi o alle magistrature repubblicane. Ci ricorda la nostra Italia odierna.
«Questo è un libro sul potere. Generalmente il re trova la sua forza nel rapporto con il popolo favorendolo e manipolandolo perché l’aristocrazia ha beni, una sua autonomia, una libertà privilegiata, e fa la Fronda. È una trama che può esistere anche in forme democratiche: possono esserci gruppi elitari che vogliono conservare il potere e un popolo che si fa trascinare da un leader carismatico». Come Servio Tullio, il figlio bastardo sostiene lei. Alla morte di Lucio Tarquinio, diventerà re reggente, grazie alle manovre della vedova del re Tanaquil, eliminerà il fratello legittimo Gneo facendolo uccidere e dal 578 sarà il primo tiranno di Roma. Il quale si rivolge direttamente ai romani scavalcando tutti.
«Sì, lui cerca un rapporto con il popolo non filtrato dai nobili. È stato un tiranno riformatore, modernizzatore, cui seguirà il superbissimo Tarquinio il Superbo: le tirannidi, anche quelle con le migliori intenzioni, finiscono per degenerare. Prima delle democrazie, solo una tirannide poteva mettere nell’angolo un’oligarchia. Ma anche nelle democrazie possono esserci tendenze più costituzionali e altre tendenti alla rottura delle regole».
Sembra di vedere un ritratto in nuce di Berlusconi, con tutte le differenze del caso. Il premier, almeno fino a poco fa, ha saputo comunicare direttamente ai cittadini, al «popolo» dice lui, e al «popolo» si appella quando travalica le regole.
«Rimango pur sempre uno storico e so bene come i paragoni possono indurre a interpretazioni partigiane. Servio Tullio poteva prendere il potere solo illegalmente, rompendo ogni regola, perché era figlio illegittimo e segreto di re: un servo liberato. Questo potentissimo liberto ha rifondato una Costituzione, superando quella di Romolo. Ha avuto aspetti liberatori, come la cittadinanza basata sulla residenza, e ha creato le basi della futura potenza di Roma. D’altronde ogni rottura delle regole può esser fatta a fin di bene (Servio) e a fin di male (Tarquinio il Superbo)». Ma qualcosa richiama l’attuale premier.
«Un aspetto tipico di tutte personalità carismatiche nella storia è la loro illimitatezza. Starei però molto attento a vedere una metafora dell’oggi nel mio racconto. Se devo fare un paragone con i nostri giorni, vedo l’emergere nuovi ceti, che incontro alle mostre, che popolano gli outlet. È facile dire: ecco i barbari! È come se ci fosse stata una lotta di classe... La vecchia borghesia è stata sconfitta e questo nuovo ceto medio diffuso è antropologicamente diverso. Tutte le vecchie classi hanno visto male l’emergere di nuovi ceti: nei balli parigini sotto Napoleone gli ufficiali avevano mani coperte di diamanti! Ai nuovi ceti bisogna offrire scelte diverse. Loro votano e la storia torna a macinare...».
Il servo liberato che divenne tiranno
Andrea Carandini svela il mistero che circondava le origini di Servio Tullio re bastardo dopo Tarquinio Prisco
di Stefano Miliani
Manovre di potere, sangue, appelli al popolo. In una Roma aperta a genti latine, sabine, etrusche, con greci e orientali, tra il616a.C.eil534a.C.,unasequenza regale cambiò la cosa pubblica e gli ordinamenti: prima re Lucio Tarquinio Prisco, greco-etrusco, seguito da Servio Tullio, ex servo che sarebbe stato suo figlio e in quanto tale non poteva di salire al trono, perché la Roma di allora vietava la successione diretta e richiedeva l’interruzione almeno di un regno. Andrea Carandini, archeologo, il maggior studioso delle origini di Roma, presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, ha scritto una saga avvincente di trame, tradimenti e manipolazione del «popolo»: Re Tarquinio e il divino bastardo (Rizzoli, 171 pagine, 18 euro). Fondata su documenti testuali e visivi (come le pitture della tomba etrusca a Vulci detta di François), la narrazione sbroglia, con incursioni nei pensieri e nei sentimenti dei protagonisti, intricate faccende che evocano temi dell’Italia di oggi: costituzioni violate, demagogia, privilegi di oligarchie in discussione. A chi legge, fa pensare anche a Berlusconi.
Professore, perché ha voluto raccontare questa storia con piglio narrativo? «È la prima metà di una grande saga che riguarda la seconda età regia di Roma. Racconterò la seconda parte in un prossimo libro Rizzoli. Ho fatto ricerche su quel tempo e dopo tanti lavori eruditi ho voluto rivolgermi, per una volta, al grande pubblico. In Italia gli studiosi non hanno un rapporto con il popolo, la divulgazione pertanto è generalmente cattiva (salvo Piero Angela in tv): altera date e inventa misteri. Invece il dotto ha il dovere di raccontare quello che sa in modo semplice. Questo ho tentato».
A pagina 100 e oltre lei descrive un tiranno capace di parlare alla «pancia e alla fantasia» del popolo, che lo plasma ambendo a poteri più personali rispetto ai sovrani antichi o alle magistrature repubblicane. Ci ricorda la nostra Italia odierna.
«Questo è un libro sul potere. Generalmente il re trova la sua forza nel rapporto con il popolo favorendolo e manipolandolo perché l’aristocrazia ha beni, una sua autonomia, una libertà privilegiata, e fa la Fronda. È una trama che può esistere anche in forme democratiche: possono esserci gruppi elitari che vogliono conservare il potere e un popolo che si fa trascinare da un leader carismatico». Come Servio Tullio, il figlio bastardo sostiene lei. Alla morte di Lucio Tarquinio, diventerà re reggente, grazie alle manovre della vedova del re Tanaquil, eliminerà il fratello legittimo Gneo facendolo uccidere e dal 578 sarà il primo tiranno di Roma. Il quale si rivolge direttamente ai romani scavalcando tutti.
«Sì, lui cerca un rapporto con il popolo non filtrato dai nobili. È stato un tiranno riformatore, modernizzatore, cui seguirà il superbissimo Tarquinio il Superbo: le tirannidi, anche quelle con le migliori intenzioni, finiscono per degenerare. Prima delle democrazie, solo una tirannide poteva mettere nell’angolo un’oligarchia. Ma anche nelle democrazie possono esserci tendenze più costituzionali e altre tendenti alla rottura delle regole».
Sembra di vedere un ritratto in nuce di Berlusconi, con tutte le differenze del caso. Il premier, almeno fino a poco fa, ha saputo comunicare direttamente ai cittadini, al «popolo» dice lui, e al «popolo» si appella quando travalica le regole.
«Rimango pur sempre uno storico e so bene come i paragoni possono indurre a interpretazioni partigiane. Servio Tullio poteva prendere il potere solo illegalmente, rompendo ogni regola, perché era figlio illegittimo e segreto di re: un servo liberato. Questo potentissimo liberto ha rifondato una Costituzione, superando quella di Romolo. Ha avuto aspetti liberatori, come la cittadinanza basata sulla residenza, e ha creato le basi della futura potenza di Roma. D’altronde ogni rottura delle regole può esser fatta a fin di bene (Servio) e a fin di male (Tarquinio il Superbo)». Ma qualcosa richiama l’attuale premier.
«Un aspetto tipico di tutte personalità carismatiche nella storia è la loro illimitatezza. Starei però molto attento a vedere una metafora dell’oggi nel mio racconto. Se devo fare un paragone con i nostri giorni, vedo l’emergere nuovi ceti, che incontro alle mostre, che popolano gli outlet. È facile dire: ecco i barbari! È come se ci fosse stata una lotta di classe... La vecchia borghesia è stata sconfitta e questo nuovo ceto medio diffuso è antropologicamente diverso. Tutte le vecchie classi hanno visto male l’emergere di nuovi ceti: nei balli parigini sotto Napoleone gli ufficiali avevano mani coperte di diamanti! Ai nuovi ceti bisogna offrire scelte diverse. Loro votano e la storia torna a macinare...».