Un magnifico cratere. Gli archeologi romani ne hanno rivelato i segreti
Lauretta Colonnelli
Corriere della sera 13 dic 2010 Roma
È dedicata a uno splendido vaso in bronzo, la mostra «L’Italia e il restauro del magnifico cratere», organizzata da Civita e aperta al palazzo del Quirinale fino al 6 febbraio. Ma gli oggetti esposti sono molti: elmi bronzei decorati da applicazioni in oro, bicchieri in argento di raffinatissima fattura, sandali d’oro lavorati a sbalzo. In oro sono anche le imponenti cinture e la maschera funeraria destinata a ricoprire il volto del defunto e a conservarne l’incorruttibilità spirituale. Ci sono anche collane in vetro policromo e statuette in ambra. Appartenevano a un principe sconosciuto, sepolto a Trebeniste intorno al VI secolo avanti Cristo.
Visita Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano mentre visita la mostra; accanto due reperti delle tombe principesche di Trebeniste
Trebeniste è una località nei pressi di Ocrida, Macedonia, a pochi chilometri dal confine con l’Albania. Il grande vaso in bronzo, oggi emblema della collezione greca del Museo nazionale di Belgrado, fu ritrovato da una missione archeologica iugoslava nel 1931. Ma il sito di Trebeniste era entrato nella letteratura archeologica un paio di decenni prima, quando alcuni soldati bulgari scoprirono per caso nelle vicinanze sette tombe con ricchi corredi. Da allora gli scavi sono proseguiti ininterrottamente e sono tuttora in corso. Le numerose sepolture, alcune principesche, risalgono al periodo compreso tra il VI e il IV secolo a. C.
Il cratere è arrivato per la prima volta in Italia nel 2007, in occasione di una mostra sui balcani e le antiche civiltà tra il Danubio e l’Adriatico organizzata ad Adria. Era in precarie condizioni di conservazione e presentava problemi di struttura a causa del supporto poco adatto sul quale erano stati incollati i frammenti di bronzo. Fu perciò stipulato un accordo tra la Soprintendenza per i beni archeologici di Roma e il museo di Belgrado per procedere al restauro e alle indagini scientifiche approfondite che prevedevano, oltre alla necessaria documentazione fotografica, una serie di esami per scoprire la composizione delle leghe metalliche, la provenienza dei residui di terra di fusione, i processi di esecuzione delle varie parti dell’opera. Bisognava inoltre fabbricare un nuovo supporto, più idoneo e storicamente corretto.
Dopo tre anni di lavori il cratere esce dai laboratori completamente trasformato, restituito per quanto possibile a come doveva essere in origine e con qualche segreto in meno. La presenza di biotite e le inclusioni di anfibolo, due minerali identificati nella terra di fusione del vaso, hanno rivelato che non venne fabbricato in Macedonia, ma nell’isola di Egina, una delle più vicine ad Atene e nel V secolo la sua più grande rivale. «La scoperta - nota l’archeologo Louis Godart, curatore della mostra e del catalogo che l’accompagna - apre un nuovo capitolo nella storia complessa dei rapporti tra il mondo greco arcaico e l’intera area balcanica». E la studiosa Vera Krstic aggiunge che mentre finora si riteneva che la maggior parte dei reperti in oro e argento delle tombe principesche di Trebeniste fosse stata importata dall’area di Salonicco, oppure fabbricata sul posto da abili artigiani provenienti dalla Tessaglia, il cratere dimostra che i contatti tra i Balcani e il mondo greco non si limitavano alle zone periferiche dell’Ellade.
Ma soprattutto il cratere ha rivelato la sua bellezza. Alto 81 centimetri e largo 44 e mezzo, racconta storie spettacolari: intorno al collo galoppano quattro cavalieri su destrieri con criniere al vento; al centro delle anse due gorgoni alate fanno linguacce strette in un busti di scaglie di pesce e fiancheggiate da serpenti; sul treppiede altre gorgoni, questa volta a figura intera e circondate da coppie di cani e di volpi.