La Repubblica 21.12.10
Un libro racconta le radici dell´identità italiana nei centri urbani
Le nostre città costruite sul mito
Il Quirinale che prende il nome dal dio Quirino poi identificato con Romolo è ancora oggi la sede della più alta istituzione
di Marino Niola
Ogni città si trova all´incrocio di tre strade. Il sogno, il desiderio e la memoria. Non ce n´è una che non ripercorra continuamente questi cammini per ritrovare se stessa. Per costruire il suo passato e vivere il suo presente. In altri termini per fondarsi e rifondarsi. Ieri come oggi la città non è che la forma spaziale di un´identità collettiva. Nulla di più concreto e al tempo stesso nulla di più astratto. La materializzazione di un mito.
E proprio ai miti che raccontano l´origine delle principali città italiane è dedicato un bellissimo volume splendidamente illustrato, edito dal Monte dei Paschi di Siena (Miti di città, pagg. 444, euro 28).
Il libro, curato da Maurizio Bettini, Maurizio Boldrini, Omar Calabrese e Gabriella Piccinni, affronta di petto una grande questione. A che servono i miti di fondazione. Sono solo delle fantasie ingenue, dei travisamenti della storia, delle invenzioni poetiche, delle millantate origini?
Per rispondere alla domanda i quattro curatori hanno convocato fior di studiosi. Come Antonio Prete, Donatella Puliga, Maria Cristina La Rocca, Lionello Puppi, Monica Granchi, Luigi Spina. Fino ad Antonio Tabucchi e molti altri.
La risposta è concorde. La città senza mito è come un edificio senza fondamenta. Solo che queste fondamenta non sono poste all´inizio, ma servono a raccontare l´inizio. Sono architettate a posteriori. Come un´introduzione, che viene scritta dopo aver terminato il libro, per valorizzarne dei particolari, per orientarne la lettura. E, quel che più conta, l´inizio non è dato una volta per tutte, ma ogni epoca lo riscrive. E in questo modo rifonda la città, ne ristilizza il passato per adattarlo alle esigenze del presente.
L´esempio più noto è quello del racconto delle origini di Roma, cui Maurizio Bettini dedica un illuminante intervento. La celebre storia di Romolo e Remo, figli del dio Marte e di Rea Silvia, allevati dalla lupa capitolina viene riformulata innumerevoli volte, sia in età repubblicana che in età imperiale. Con una significativa ripresa novecentesca da parte del regime fascista. E sempre per ragioni strategiche e politiche. Come quelle di Augusto, che incarica un drago della poesia come Virgilio di trovare alla sua famiglia un´origine all´altezza delle sue ambizioni imperiali. E il poeta gli serve su un piatto d´argento l´Eneide che fa del divo Cesare il discendente del mitico Enea e di Iulo, figlio dell´eroe troiano, il capostipite della gens iulia. Cioè del lignaggio augusteo.
In questo modo l´intera vicenda di Roma viene ripensata mescolando, in una sorta di bricolage mitologico, storia e leggenda, realtà e immaginazione. Una vera e propria ricerca di padri, un´adozione a distanza. Come dire che sono sempre le ragioni del presente a costruire la narrazione e l´interpretazione del passato. E spesso la sua reinvenzione. Esattamente quel che fa oggi, peraltro senza l´eleganza virgiliana, la Lega Nord quando mescola pezzi del mito di Eridano, antico nome del Po, con brandelli di folklore celtico e frammenti di medioevo comunale per fondare un´identità padana che non ha riscontri nella storia. Ma in compenso ha molta presa politica ed emotiva perché evidentemente supporta l´attuale revisione padanocentrica della vicenda nazionale.
Spesso sono i nomi stessi dei luoghi a far riaffiorare la voce remota del mito alla superficie della città. Come avviene a Roma la cui topografia simbolica affonda nelle radici remote degli inizi. Non a caso il Quirinale, che prende nome dal dio civico Quirino, poi identificato con Romolo, è ancora oggi la residenza della prima istituzione del paese, il luogo simbolo dello Stato.
Anche Napoli è così profondamente abitata dal mito che i Napoletani si chiamano tuttora partenopei dal nome della sirena Partenope, leggendaria fondatrice della città e non si sono mai identificati con il nome del patrono san Gennaro. A differenza dei Bolognesi che si chiamano petroniani per san Petronio e dei Milanesi, ambrosiani da sant´Ambrogio.
Il mito è dunque come un palinsesto. In certi casi conserva, in altri casi sostituisce una memoria ad un´altra. E alla fondazione pagana sovrappone la rifondazione cristiana. A conferma del fatto che l´immagine della città è sempre un secolare compromesso fra memoria e oblio. Di cui il mito ogni volta verbalizza i termini. E tiene aggiornato l´archivio.