Navi romane a picco tra scavi fermi e restauri a singhiozzo
LUCIANO DONZELLA
LUNEDÌ, 27 DICEMBRE 2010 IL TIRRENO - PISA
Entri nel cantiere delle navi romane e ti viene da pensare cosa farebbero gli americani se scoprissero un porto di duemila anni fa con 30 imbarcazioni e il loro carico ben conservato. Loro che intorno a una palude di acque stagnanti o a incerti graffiti sulle rocce vecchi di 7 secoli hanno costruito parchi nazionali come l’Everglades o il Canyon de Chelly, attirando milioni di turisti. Dietro la stazione di San Rossore gli scavi archeologici sono deserti, il cantiere è fermo da molti mesi. Nei laboratori all’interno gli archeologi e i restauratori, - pochi per l’enorme massa di reperti restituiti dallo scavo - continuano a lavorare stoicamente, con i liberi professionisti in scadenza di contratto, e consapevoli che ben difficilmente ci saranno i soldi per andare avanti. Altro che attrezzatissimi visitor center con musei, mostre, negozi e librerie, o lodge e villaggi di alberghi sorti intorno al sito per ospitare i turisti.
Qui non si mette insieme il pranzo con la cena, e il problema non è la miglior gestione dei reperti ritrovati in termini di marketing, ma evitare che dopo esser sopravvissuti duemila anni, questi tesori vadano distrutti da qui a pochi mesi. Con l’amara consapevolezza che sarebbe già molto riuscire a salvaguardare quanto recuperato fino ad oggi. E con la certezza che lo scavo non è esaurito, e lì intorno ci sono altre meraviglie.
“Il Tirreno” ha promosso una raccolta di firme sul sito internet (arrivate già a oltre 1600) perché il cantiere sia inserito nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità.
C’era di tutto, sulle antiche navi romane: anfore ancora sigillate e piene dei cibi dell’epoca e statue di grande bellezza, oggetti di uso quotidiano dei marinai e intere partite di prodotti “industriali”, dai balsami ai vasi di terracotta ai cesti in vimini pronti per la spedizione in porti lontani. Un mondo intero che torna a vivere nell’ordinato caos dei magazzini adiacenti agli scavi. Parte del materiale andrà a costituire il museo “in progress” (navi romane e anche dei secoli successivi) che aprirà a fine gennaio negli Arsenali medicei. Migliaia di altri pezzi sono oggetto di restauro, a partire dalle grandi navi, quelle più a rischio degrado. Perché nonostante la crisi, e grazie ai finanziamenti (14 milioni) arrivati negli anni passati, il Porto delle meraviglie oggi è comunque una realtà. Cosa che non era per niente scontata. Una realtà che ruota intorno a tre elementi, una sorta di circo a tre piste: gli scavi archeologici, il Centro di restauro del legno bagnato e il museo. Se uno solo dei tre anelli salta, rischia di saltare l’intera catena. Lo conferma il professor Camilli, direttore degli scavi archeologici. «Non può esistere uno senza l’altro. Il fatto che il museo sia stato finanziato e siamo in grado esporre la prima parte degli oggetti restaurati, non esclude, anzi implica che sia necessario continuare a scavare quanto sta ancora sotto».
Allestire il museo è costato circa un milione, più i lavori strutturali fatti dalla sovrintendenza ai monumenti. Per completarlo serve un milione e mezzo «Ma è molto più facile trovare soldi e sponsor per il museo, che è un qualcosa di tangibile, che far capire qual è la necessità reale del cantiere: e se non si manda avanti il cantiere si ferma anche il museo».
Il cantiere è fermo già da oltre un anno. I restauri invece stanno andando avanti col personale disponibile e i pochi materiali che è possibile acquistare. «Per una corretta gestione - va avanti Camilli - lo scavo dovrebbe esser chiuso in 5 anni con una spesa di un milione e 200 mila euro l’anno. E’ frustrante arrivare quasi alla meta e non poter proseguire, basterebbe poco ormai».
«Per evitarlo basterebbe appunto reperire un milione e 200 mila euro l’anno per 5 anni. Una volta finito lo scavo se si riuscisse a traformare il centro di restauro del legno bagnato in uno spin off, un ente che possa esser pagato per lavori all’esterno, l’intero complesso potrebbe essere quasi autosufficiente. È un passaggio che richiede attenzione, anche politica. Ma in Italia purtroppo i beni culturali sono considerati un semplice peso non produttivo. Il problema è che per evitare il degrado, i tempi sono ristretti: mancano i soldi per il restauro dei pezzi, che è indispensabile, ma anche per la manutenzione. Ci sono materiali che vanno trattati in tempi brevi altrimenti si rovinano. Ci sono quintali di ceramica da restaurare, ma il problema più grosso è quello dei materiali organici, a partire dal legno, che necessita di risorse urgenti.
«Se in primavera non riapriamo gli scavi - avverte Camilli - alcune imbarcazioni, soprattutto la D, sono in serio pericolo: temo il collasso del legno. L’intero patrimionio è a forte rischio, eppure manca così poco per concludere lo scavo. Però bisogna essere realisti, è impensabile continuare ad espandere il cantiere ad libitum. Meglio non mettere altra carne al fuoco, lasciare ulteriori scoperte ad ere future quando ci saranno disponbilità maggiori». Ricapitolando, nell’anno del signore 2010 il museo delle navi romane sta per aprire i battenti con 4 delle 9 sezioni visitabili, dal 16 luglio scorso dopo 6 anni di attività non è più possibile effettuare visite guidate agli scavi e ai laboratori, lo scavo archeologico è fermo da oltre un anno, il Centro di restauro del legno bagnato va avanti a scartamento ridotto e con molta fatica.